Siamo sempre i terroni (o i migranti) di qualcun altro. Stavolta tocca a noi italiani fare la parte degli esclusi, dato che il Canton Ticino ha votato la modifica alla Costituzione che dovrebbe introdurre limitazioni all’entrata dei frontalieri.
Sono più di 60.000 le persone che ogni giorno attraversano il confine svizzero per lavorare nel Canton Ticino, ma, a quanto pare, sembra essere arrivato il momento di darci un taglio. Il giorno dopo il voto, Paolo Clemente Wicht, ex presidente dell’Udc cantonale, il partito che ha promosso il referendum “Prima i nostri”, ha l’aria soddisfatta.
Che cosa ha detto ai frontalieri italiani che ha incontrato oggi?
Ne ho visti diversi e non sono arrabbiati, anzi, hanno capito la situazione. Ho incontrato un benzinaio che lavora in Svizzera da trent’anni che mi ha detto esattamente quello che sostengo: qui è il far west, c’è una concorrenza sleale che danneggia tutti, compresi i frontalieri stessi, perché c’è sempre chi se ne approfitta facendo il furbo sui contratti…
Che interpretazione dà del voto?
Al di là del merito, è una forma di provocazione. Il Canton Ticino è uno degli Stati che formano la Confederazione e non potrà decidere direttamente quali vincoli stabilire con l’Italia, però il referendum è un invito allo Stato centrale a muoversi in una direzione bel precisa
Ci avevate già provato due anni fa…
Ma il voto del 9 febbraio del 2014 era caduto nel vuoto. Già allora volevamo limitare la libera circolazione, ma siamo stati ignorati e proprio questa mancanza di attenzione ha scatenato una reazione ancora più forte. Adesso poi, con la Brexit, il nostro caso era passato ancor più in secondo piano, dunque era necessario fare qualcosa
Le vostre aziende però non possono vivere senza i frontalieri. Come mai escluderli?
Lo sappiamo bene e infatti abbiamo bisogno di loro. La questione non è se avere i frontalieri oppure no, ma quanti averne. Possiamo tollerare un po’ di esubero, ma non l’eccesso di oggi, anche perchè rischiamo di svalutare la manodopera
Siamo un Paese condannato all’apertura, però ci vogliono dei limiti, altrimenti viene meno il guadagno reciproco tra noi e i frontalieri
Gli slogan e le ragioni sembrano lo stesse della Lega Nord, non vi sembra di essere simili?
No, non credo si possa fare un paragone e le dichiarazioni di Maroni dimostrano che non siamo sulla stessa linea. Invece di fare polemica con noi, si chieda come mai ogni giorno decine di migliaia di lavoratori lombardi devono attraversare il confine per lavorare. Conosco decine di persone che vorrebbero lavorare in Italia, ma sono costretti a venire qui. Non è solo un fatto di guadagni migliori, a volte si tratta soltanto di sopravvivenza, dato che in Italia questa gente non avrebbe un lavoro
Oggi prendete questa decisione, ma non crede che un giorno il Canton Ticino possa di nuovo aver bisogno di più frontalieri? Sarà tutto come prima?
E’ una questione di equilibrio. E’ sempre stato un rapporto proficuo per entrambi, per noi e per i frontalieri. Per la nostra conformazione siamo condannati all’apertura, perché gli indigeni non bastano a soddisfare il fabbisogno di manodopera. Fino a che l’equilibrio ha retto, c’era un guadagno reciproco, ma adesso il sistema non si regge più e c’è bisogno di darsi dei limiti
Il governo centrale è obbligato a mettere in pratica ciò che è stato deciso?
In teoria lo era anche nel 2014. Questo è un ulteriore allarme che spingerà il governo centrale, speriamo, a trattare con Bruxelles. Sappiamo che sarà dura, anche perché il Presidente Jucker ha già detto più di una volta che sulla libera circolazione non può esistere trattativa: o c’è, senza restrizioni, o non c’è
Il voto, allora, rischia di rimanere sulla carta anche stavolta?
Potrebbe non essere applicabile, ma in ogni caso è un segnale molto forte che è andato ben oltre quello che può dare una piazza o un giornale, tanto è vero che siamo andati sulle prime pagine anche in Italia. Il senso è che bisogna rivedere alcuni principi assoluti dell’Europa, ci sono troppe cose che non funzionano e che non vengono mai ridiscusse. Se si fa così, ci si lascia indietro focolai di malcontento che poi diventano referendum o chissà cos’altro