Le preferenze non vanno di moda. I sistemi elettorali Europei sono molto diversi tra loro, ma, almeno nei principali Paesi dell’Unione, nessuno consente di esprimere preferenze libere agli elettori.Come mai questa scelta? Fino al 1991 in Italia si potevano esprimere 4 preferenze, poi un referendum spazzò via il sistema elettorale e sancì che, al massimo, si potesse esprimere un solo voto al candidato. E’ la fine delle preferenze in Italia a livello nazionale: il Mattarellum, votato nel ’94, prevedeva liste bloccate, così come il Porcellum di Calderoli, votato nel 2005 e bocciato lo scorso anno dalla Corte Costituzionale.
Adesso l’Italicum: la legge elettorale prevede capilista bloccati e due preferenze (purchè di genere diverso l’uno dall’altra) per ogni collegio, ma secondo le simulazioni la percentuale di eletti tramite preferenza sarebbe irrisoria, proprio a causa dei capilista, eletti automaticamente.Questa poca confidenza con le preferenze non è un’anomalia italiana. Nei sistemi maggioritari uninominali, come quelli in vigore in Francia e Regno Unito, la preferenza non ha senso di esistere: ogni partito presenta un candidato in ogni collegio, dove si assegna soltanto un seggio.I proporzionali, invece, si basano sulle preferenze, ma quasi ovunque si usano liste bloccate: in Germania, in Svezia, in Portogallo, in Spagna. In pratica, si vota il partito e il partito decide l’ordine in cui i candidati vanno in parlamento, al di là di quante preferenze avrebbero preso.
L’Italicum ha un sistema di preferenze, ma gli eletti saranno quasi tutti nominati. Anche nel resto d’Europa, però, dominano le liste bloccate
La sfortuna recente delle preferenze si deve al fatto che esse siano il primo veicolo del voto di scambio. Sarebbe facilissimo muovere migliaia di voti e spingere in parlamento, senza alcun filtro, persone legate alla criminalità. Certo, non che i listini bloccati abbiano fatto di meglio. In teoria, infatti, il partito dovrebbe fornire una rosa di nomi tra cui dare la preferenza e dunque vigilare su eventuali malintenzionati che volesssero infiltrarsi in politica. In pratica, lo sappiamo, sono stati spesso gli stessi partiti a far entrare in parlamento pregiudicati o post-giudicati la cui fedina penale aveva perso l’illibatezza da un po’. In questo caso viene meno l’utilità del listino bloccato e dell’eliminazione delle preferenze. Proprio perchè negli ultimi anni è montato un certo (giustificato) clima di antipolitica, si è tornati spesso a parlare di preferenze a garanzia dei cittadini. La sfiducia nei confronti dei partiti è talmente alta che la garanzia contro la corruzione è diventata un pericoloso abuso di potere. Chi controllerà i guardiani?, si chiedeva Platone. Oggi se lo chiedono gli elettori, convinti che le liste bloccate siano sinonimo di amici, amici di amici e, soprattutto, amici di appaltatori. La soluzione sarebbe un sistema misto: mini-rose di cinque o sei candidati per ogni partito in ogni collegio tra cui esprimere la preferenza, senza capilista. Chi propone di tornare alle preferenze selvagge o è un illuso o un nostalgico della prima Repubblica. In entrambi i casi, sarebbe meglio ripensarci.