Mettiamocelo in testa: Roberto Benigni non è più il ragazzaccio che bestemmiava per tre minuti in Berlinguer ti voglio bene o molestava Raffaella Carrà e Pippo Baudo in diretta nazionale.
Forse è solo l’ennesima versione del vecchio adagio per cui si nasce incendiari e si finisce pompieri, fatto sta che è inutile continuare a sorprendersi che ora il comico toscano parli di Bibbia e Costituzione.
Il problema è che, dopo le sue dichiarazioni di sostegno al Sì al Referendum di dicembre, Benigni è stato sommerso di critiche. Qualcuno ne fa anche un discorso più generico: i comici non dovrebbero parlare di politica, o quanto meno non gli si dovrebbe dare così tanto risalto, essendo, appunto, dei semplici comici.
In realtà quella dei comici che parlano di politica non è un’anomalia dei nostri giorni, e forse non è neanche un’anomalia. Magari Alberto Sordi non si lanciava in esplicite dichiarazioni elettorali, ma, per dirne una, quando l’Italia si scaldava sul tema del divorzio, se ne usciva con film come Scusi, lei è favorevole o contrario? o Buonanotte…avvocato!, evidenziando l’ipocrisia del pensiero bigotto italiano.
Ma come ci si può lamentare adesso di Benigni, quando la sua stessa comicità lo ha reso per anni paladino dell’anti-Berlusconismo, con le sue staffilate che facevano imbestialire il Cav?
La verità è che il suo parere politico dà fastidio a chi non è d’accordo con lui e non tollera che qualcuno possa pensarla diversamente, per cui se lo fa è o un venduto o un incompetente. Si può parlare di incoerenza, certo, ricordando i fasti de La più bella del mondo, ma lo spettacolo di Benigni, a dirla tutta, si riferiva ai primi 12 articoli della Costituzione, quelli sui principi fondamentali, non certo alle competenze Stato-Regioni o al bicameralismo.
Se vogliamo zittire i comici dovremmo zittire anche i giornalisti, gli imprenditori, gli studenti, ma pure il grande popolo della rete
Per anni i comici hanno fatto politica (e i politici i comici, ma questo è altro discorso) e nessuno si è scandalizzato, anzi. Serena Dandini, Daniele Luttazzi, Enrico Brignano, Dario Vergassola, Enrico Bertolino, Sabina Guzzanti, Luciana Littizzetto: hanno tutti fatto politica (e qualcuno continua a farla). Paolo Rossi si è espresso per il No al referendum, eppure nessuno ha gridato alla vergogna. Persino Grillo, ancor prima di metter su il Movimento, faceva politica nei suoi spettacoli e una bella fetta di elettorato oggi ringrazia il cielo che lo abbia fatto.
L’equivoco nasce dal fatto che qualcuno pensa che la politica non sia quotidiana e non riguardi tutti i cittadini (notizia: i comici sono cittadini). In realtà la politica non è argomento da élite, altrimenti vivremmo nell’eterno governo dei tecnici, in cui i medici si occupano di Sanità, i giuristi di Giustizia, gli ingegneri di Infrastrutture e magari il più simpatico fa il Presidente del Consiglio. Invece le cose vanno diversamente, purtroppo o per fortuna, con il rischio che qualche volta un fuffaro parli di cose che non sa e, soprattutto, qualcuno gli vada dietro, ma con il vantaggio che tutti sono stimolati a una partecipazione attiva.
Parlino pure i comici, i cantanti (non dimentichiamo le polemiche ad ogni uscita pubblica di Celentano) e i politici, che non è detto siano sempre i più indicati ad aprir bocca.
Si può discutere sul fatto che si dia troppa importanza a Benigni e soci, ma è una polemica sterile: i comici non rubano spazio a chi ne dovrebbe sapere più di loro, dal momento che Gustavo Zagrebelsky e Stefano Rodotà, per dirne due, hanno il meritato posto sulle prime pagine dei principali quotidiani o nelle prime serate televisive in merito al referendum.
Se non ci piace che i comici parlino di politica, dobbiamo ricordarcene anche quando la pensano come noi, proprio come quando la maggior parte del Paese non eccepiva nulla durante gli anni Berlusconiani. E poi, soprattutto, se vogliamo zittire i comici dovremmo zittire anche i giornalisti, gli imprenditori, gli studenti, ma pure il grande popolo della rete. In fondo, questo gioco, non conviene a nessuno.