Giorgio Galli: “Comanda la finanza: o la controlliamo politicamente o siamo finiti”

Il decano dei politologi italiani: «Le leggi le fanno gli uffici legali delle multinazionali. Dovremmo poter entrare nei loro consigli di amministrazione. Le riforme di Renzi? Il cittadino è meno rappresentato di prima»

«I cittadini non si sentono più rappresentati perché non sono rappresentati dove vengono prese veramente le decisioni». Il voto di protesta ha diversi modi di esprimersi: rafforzare i partiti anti-sistema (genericamente, populisti) o nascondersi nell’astensione sempre crescente, che sta marcando una profonda distanza fra gli elettori e le élite di governo. Ma per Giorgio Galli, politologo fra i massimi conoscitori delle vicende italiane, il principale problema è che ormai da tempo il voto così organizzato con consente più ai cittadini dei Paesi occidentali di compartecipare alle decisioni importanti. E l’orientamento generale delle riforme in questi Paesi, comprese quelle più recenti del Governo di Matteo Renzi, non starebbe che consolidando questo arretramento.

In un colloquio con Linkiesta.it, Galli osserva che è soprattutto la finanza internazionale, e non tanto la competizione elettorale, a orientare le scelte politiche di fondo a scopi speculativi (la staffetta Berlusconi-Monti, a cui l’Italia ha assistito cinque anni fa proprio di questi tempi, lo potrebbe dimostrare). Oltretutto, afferma rievocando la lunga storia dei partiti italiani nel salotto della sua casa di Brera ricolma di libri e appunti, c’è un progressivo «svuotamento dei partiti, che raccolgono il consenso ma per gestire un potere molto debole, diventando di fatto dei comitati d’affari». A Galli, che ha 88 anni, non manca il coraggio visionario: teorizza infatti un pieno ritorno alla legittimazione democratica attraverso la facoltà dei cittadini di eleggere non solo i Parlamenti ma anche propri rappresentanti nei consigli di amministrazione delle principali multinazionali. Anche se questa è una prospettiva al limite dell’utopia, la sua analisi aiuta intanto a capire come anche tutto il dibattito politico in corso sulla riforma costituzionale possa nascondere un rischio non calcolato: che alla lotteria dei sì e dei no al referendum del 4 dicembre, con qualunque risultato il potere decisionale dei cittadini non aumenterà. Perché chi prende le decisioni sarà sempre altrove.

Professor Galli, ma chi rappresenta oggi i cittadini?
Non li rappresenta nessuno. Siamo proprio di fronte a una crisi della rappresentanza: i cittadini eleggono Parlamenti o presidenti il cui potere è fortemente ridotto”.

E che cosa lo ha ridotto?
Il vero potere oggi è concentrato nelle multinazionali. Guardi le multinazionali informatiche: inventate pochi anni fa, sono diventate rapidamente dei colossi che hanno un prodotto superiore a quello di molti Stati. O guardi il destino del Monte dei Paschi e forse di tutto il nostro sistema finanziario, che è affidato alla JP Morgan e alle grandi multinazionali bancarie. Robert Dahl, il maggiore politologo dello scorso secolo, diceva già vent’anni fa che la democrazia rappresentativa soffriva proprio di una crisi di rappresentanza per la divisione marcata fra un potere politico che conta sempre meno e un potere economico che conta sempre di più. Che cosa vuole che facciano a Roma con un miliardo di debiti? Non è che scegliendo un assessore al Bilancio o un altro la situazione cambi. Lo abbiamo visto già in Grecia, che ha votato più volte e poi ha dovuto piegarsi. Penso che se l’Europa non diventa un vero soggetto politico federale la situazione non cambierà.

In Italia c’è un momento in cui possiamo collocare l’inizio di questa crisi della politica?
In Italia il cambiamento è avvenuto negli anni fra i Sessanta e i Settanta, quando si sarebbe dovuto fare un patto dei produttori e invece è stato fatto un patto dei corruttori. Oggi c’è un sistema ormai strutturato per il quale, secondo la mia interpretazione, i valori del familismo amorale hanno completamente soverchiato i valori della cultura civica. E quindi, in un contesto generale in cui l’economia è diventata economia finanziaria, in Italia più che la corruzione ci sono dei clan che comandano, che si dividono il potere e ritengono che l’economia sia questa, non lavorare per la collettività. Alla fine i partiti sono stati svuotati e conquistati da questi ceti che chiamo finanziari e parassitari. Prima la Dc. Poi il Psi: quando Craxi è entrato in difficoltà, lui è andato a morire ammalato ad Hammamet e questi ceti si sono trasferiti con Berlusconi e hanno continuato a comandare. E anche Berlusconi si è trovato a sua volta nella stessa situazione: quando lui è stato cacciato dal Senato, gli altri che tenevano i suoi medesimi comportamenti sono rimasti e sono andati a condizionare gli eredi del Pci.

Chi comanda insomma?
Le élite che comandano in Italia sono quelle che comandano nelle nostre multinazionali tascabili. E poi…

E poi?
E poi in fondo Berlusconi ha anticipato Trump, un miliardario che con un linguaggio populistico ha trasferito il suo potere economico e mediatico direttamente nella sfera politica. Un miliardario che si vanta di aver trovato degli espedienti per non pagare le tasse ma che prende anche i voti degli operai, dopo otto anni dell’amministrazione più progressista che hanno avuto gli Stati Uniti d’America, quella di Barack Obama, che ha fatto appunto la riforma più progressista di tutte. Succede che, proprio a causa di questa riforma progressista della sanità, i cittadini devono pagare polizze molto elevate alle grandi multinazionali delle assicurazioni, che hanno mantenuto profitti elevati nonostante la crisi”.

«I cittadini potrebbero eleggere quote dei consigli di amministrazione delle 376 multinazionali più importanti, nei paesi in cui hanno sede, perché è lì dove ci sono le risorse. Il Parlamento ha tuttora il potere di fare le leggi, certo. Ma le leggi, più che i Parlamenti, le fanno gli uffici legali delle multinazionali»


Giorgio Galli

Una delle contraddizioni che spostano voti nel campo di Trump…
Esatto. Questa e tante altre, però. Soprattutto, la perdita di posti di lavoro, la delocalizzazione. In tutto l’Occidente, questa è la prima generazione nella quale si sa che i figli guadagneranno meno dei nonni e dei padri. E qui parliamo dell’Italia: ha letto la notizia? Centomila fra i più bravi nostri laureati vanno in Germania e in Inghilterra: quindi, nonostante abbiamo ancora delle ottime università, investiamo per prepararli, ma poi non abbiamo lavoro da offrire. Non è un segno di libertà di circolazione, è un segno di impoverimento del Paese. Quindi, per tornare alla domanda iniziale, i cittadini si sentono meno rappresentati perché il potere decisionale sta altrove. I cittadini non hanno più rappresentanza perché non sono rappresentati dove veramente si prendono decisioni.

La proposta che ha delineato nei suoi ultimi studi è quella di far eleggere quote dei consigli di amministrazione delle grandi aziende ai cittadini. Un’idea un po’ utopica.
Utopica… Molti mi dicono che è impossibile farlo, ma è come quando nel Quattrocento si pensava che i re fossero al potere per grazia di Dio e quindi era impensabile eleggere un Parlamento. Eppure è successo. Secondo me, siamo di fronte a un salto culturale dello stesso tipo. I cittadini potrebbero eleggere i consigli di amministrazione delle 376 multinazionali più importanti, nei paesi in cui hanno sede, perché è lì dove ci sono le risorse. Il Parlamento ha tuttora il potere di fare le leggi, certo. Ma le leggi, come ha scritto in un suo bellissimo libro Guido Rossi, più che i Parlamenti le fanno gli uffici legali delle multinazionali, che impongono quella che Rossi chiama la lex mercatoria. Se dunque la rappresentanza fosse distribuita, le leggi si farebbero nell’interesse generale e non di una superclass auto-selezionatasi, che in parte è composta dalle vecchie famiglie e in parte da un nuovo ceto manageriale che nessuno elegge.

Torniamo al caso italiano. Se il potere delle istituzioni è così debole, allora anche le riforme, a partire da quelle costituzionali, di cui continua ad alimentarsi il nostro dibattito politico, rischiano di essere inutili…
Dahl sosteneva che la democrazia dei nostri successori non sarà comunque la democrazia dei nostri predecessori: o si amplia o si restringe. Cambierà in meglio se aumenterà il controllo del potere da parte dei cittadini, in peggio se questo controllo si ridurrà. Quindi, la democrazia cambierà comunque, anche Renzi lo dice. Solo che il problema è: come cambierà? In Italia con queste proposte di riforme in tutti i campi, dal Jobs act alla cosiddetta Buona scuola, finora è tutto un cambiamento verso chi il potere ce l’ha già. Perché il Jobs act aumenta il potere delle aziende e riduce quello del lavoratore, mentre la Buona scuola aumenta il potere dei presidi indipendentemente dalla qualità dell’insegnamento. Quindi se il cambiamento va in questa direzione, il cittadino è meno rappresentato di prima. Renzi rappresenta una tendenza generale in tutto l’Occidente.

Ma secondo lei, fra i problemi che ha sin qui elencato, che cosa ha ostacolato le vere riforme nel nostro Paese?
Credo che sia l’insufficienza di questo ceto politico. La nostra Costituzione è nata perché la società italiana ha avuto un trauma, la guerra e poi la guerra civile. E così è emerso un ceto politico di un certo livello, con una grande tensione morale, che ha vissuto tutti i drammi degli anni Trenta, il fascismo, il nazismo, il comunismo. Un ceto che aveva un forte senso dell’impegno per la collettività, pur con ideologie molto diverse. E infatti, nonostante la rottura drammatica della guerra fredda, grazie alla sua formazione e alla sua maturità in anni tragici quel ceto politico riuscì a fare una Costituzione che fino agli anni Settanta ha sviluppato l’Italia come mai prima e che era stata votata dal 95% della Costituente. Oggi abbiamo invece un ceto politico cresciuto nella bambagia e nelle risse di cortile, non nelle grandi battaglie ideali. Quindi ha fatto quello che può fare con le sue esperienze pratiche e la sua dimensione culturale, che non è elevatissima.

Mi pare di capire che secondo lei queste riforme non cambieranno nulla.
Infatti. Si è visto come ha cambiato idea persino il Financial Times, che sei mesi fa aveva apprezzato le riforme di Renzi e ora, prima del referendum, ha scritto che sono riforme verso il nulla. Il problema è il sistema politico, non le modifiche istituzionali fatte e scritte anche con un italiano mediocre e poco comprensibile.

Cinque anni fa eravamo nella tempesta del 2011, l’estate dello spread, l’autunno del cambio Berlusconi-Monti. Quel 2011 secondo lei ha peggiorato il quadro politico italiano?
A livello economico non è successo nulla. Hanno tenuto un po’ a freno il debito pubblico, questo sì. Ma l’Italia non era sull’orlo del baratro esattamente come diceva Monti: l’economia italiana è stagnante dagli anni Novanta. Da venticinque anni, da un’intera generazione, l’Italia cresce di uno zero virgola qualcosa. Quindi che cosa è cambiato nel 2011? Secondo me ha reso evidente che non era solo Berlusconi il problema. Berlusconi era un personaggio che aveva anche delle idee brillanti come imprenditore, ma fuori da questi ambiti non è riuscito a costruire niente. Nel 2011 è capitato, ormai lo raccontano tutti, che parte delle multinazionali hanno visto che alcune economie, quella italiana e quella spagnola in particolare, erano in difficoltà. E hanno spostato risorse e investimenti dai titoli pubblici di questi Paesi ad altri settori o ad altri rami produttivi. Si sono comportati secondo il loro interesse. E’ vero che c’è stata una speculazione, ma non per far cadere Berlusconi, se ne fregavano di questo.

Insomma, una dimostrazione di come il potere economico-finanziario può indirizzare quello politico.
Semplicemente hanno fatto vedere che Berlusconi poteva anche andarsene, tornare alle sue aziende e non governare a nome di tutti.

C’è chi sostiene che allora si potesse tornare a elezioni, al posto di sostituire quel Governo con un Governo tecnico. Sarebbe stata una storia diversa…
Probabilmente senza Napolitano si sarebbe andati alle elezioni più rapidamente. E probabilmente la coalizione di centrosinistra avrebbe vinto più largamente se si fosse votato allora. Ma rispetto al quadro generale questo non è molto importante. Un centrosinistra vittorioso ma già largamente inquinato da questi ceti speculativi probabilmente non sarebbe stato egualmente all’altezza di affrontare i problemi di fondo. Insomma, lo ripeto: per tornare a dare più potere di controllo ai cittadini va ridotto, in generale, il potere delle multinazionali e, sul piano italiano, il potere di questi ceti incapaci di sviluppare il Paese.

@ilbrontolo

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