“Un Parlamento più snello, funzionale […], dove le deliberazioni, come avviene in tutti i parlamenti moderni, potessero venire prese con procedure e tempi ragionevoli“.
E ancora: “Un sistema, naturalmente, sottratto al regime del vecchio bicameralismo perfetto, e dunque con una sola Camera deputata a votare la fiducia al governo e l’altra impegnata prevalentemente in attività di garanzia e tutela della libertà. Funzioni diverse, quindi, per rendere finalmente rapida ed efficace l’azione legislativa”.
Lo riconoscete? No, non è Matteo Renzi, non è un recente dibattito televisivo e non è neanche un riferimento al prossimo referendum del 4 dicembre.
È Massimo D’Alema, che oggi è tra i più ardenti sostenitori del No e presenta il suo ddl alternativo di riforma, ma un tempo presiedeva la Bicamerale incaricata di riformare la Costituzione. Era il 1997 e gli obiettivi erano chiari: superamento del bicameralismo perfetto, distinzione dei compiti delle Camere, semipresidenzialismo (o premierato, il dibattito era acceso), revisione della composizione della Corte Costituzionale e delle carriere dei magistrati.
D’Alema metteva tutto nero su bianco in un libro, La grande occasione (Mondadori, 1997), scritto a quattro mani con Gianni Cuperlo.
Scriveva D’Alema, ma potrebbe esser Renzi, che “quel meccanismo – il bicameralismo perfetto – si è retto per anni sul presupposto che qualunque proposta del governo si poteva bloccare, magari presentando diecimila emendamenti paralizzanti”.
Avete presente le critiche di Renzi alla vecchia leadership del centrosinistra, quelle incapaci di vincere? Niente di nuovo, niente di innovativo. Anche su questo D’Alema aveva anticipato il premier, parlando dei vecchi compagni come “geneticamente incapaci di pensarsi come forza di governo”
O ancora, che “il rispetto di alcune regole formale si traduce in una serie inutile di lungaggini procedurali prive di significato. Purtroppo, la nuova ondata di deputati e senatori catapultati dalla società civile nelle aule di Camera e Senato ha […] privilegiato spesso le tecniche dell’ostruzionismo. […] C’è qualcosa di irrazionale nella votazione di centinaia di emendamenti pressoché identici”. Sembra un’arringa contro i 5 Stelle, eppure Grillo nel ’97 faceva ancora il comico e il Movimento non era neanche un lontano progetto cosmico. D’Alema parlava di Forza Italia, probabilmente. Magari di qualcuno che oggi sta con lui nel fronte del No, ma non ci è dato saperlo, perché non fa nomi.
Però, prosegue D’Alema, è importante che “chi vince governa, chi perde si oppone e si prepara alla possibile alternanza”, perchè in fondo l’esigenza di sapere chi vince la sera delle elezioni era già in agenda tempo fa. Solo che allora era D’Alema a correre per la premiership. Oggi il candidato è Renzi, e D’Alema invece è quello che si scaglia contro l’Italicum, evidenziando che il combinato disposto con la riforma costituzionale provochi una deriva autoritaria e che il ballottaggio sia uno “strumento pericoloso, perché può portare a governare anche con percentuali molto basse”. Vero, eppure il doppio turno – di coalizione e di collegio, per la verità – è da sempre uno dei cavalli di battaglia di D’Alema, assieme al sistema maggioritario. Lo sosteneva nel 1997, l’ha ripetuto più volte negli anni successivi e forse lo pensa anche oggi, ma vien da chiedersi se il sistema maggioritario non presenti lo stesso rischio del ballottaggio, ovvero quello di affidare la maggioranza assoluta ad un partito che ha preso un 20-25% dei voti.
Allora non solo non gli importava, ma anzi, riteneva che sarebbe stata cosa buona e giusta: “Con il doppio turno – diceva – Berlusconi avrebbe vinto comunque le elezioni del ’94, ma avrebbe potuto governare anche senza la Lega. Allo stesso modo, due anni dopo, l’Ulivo avrebbe disposto di una maggioranza parlamentare autonoma da Rifondazione. E per la democrazia italiana sarebbe stato un bene”. Un bene. Avete letto bene.
Non finisce qui, però: avete presente le critiche di Renzi alla vecchia leadership del centrosinistra, quelle incapaci di vincere? Niente di nuovo, niente di innovativo. Anche su questo D’Alema aveva anticipato il premier, parlando dei vecchi compagni come “geneticamente incapaci di pensarsi come forza di governo” e aggiungendo che “per la filosofia da salotto di una certa sinistra aristocratica e snob il fatto stesso di governare ha in sé qualcosa di immorale”. Idee sulle quali il D’Alema di oggi, quello del 2016, avrebbe molto da ridire. Disciamo.