La crescita delle vendite online in Italia registra nel 2016 una decisa accelerazione con un +18%, per un valore di 19,6 miliardi di euro, contro una media dell’11% degli ultimi cinque anni. Ma testimonia ancora del ritardo dell’e-commerce nel nostro Paese rispetto ai cugini europei. I 300 euro all’anno per abitante spesi online si confrontano infatti con i 1600 euro per abitante del Regno Unito, i 900 della Francia e gli 850 della Germania. È un gap imputabile ancora all’immaturità della domanda (i web shopper italiani sono 19 milioni contro i circa 40 milioni degli altri tre Paesi) oppure è una responsabilità dell’offerta, come lascia intendere la School of Management del Politecnico di Milano nel suo Osservatorio appena presentato “eCommerce B2c in Italia: esame di maturità per l’offerta”?
I numeri del commercio online
Nel 2016 la crescita delle vendite online è stata di 3 miliardi di euro, di cui una parte consistente da siti senza operatività in Italia (prevalentemente per servizi). Tuttavia l’Osservatorio registra una crescita più elevata dei prodotti (+32%) rispetto ai servizi, un dato che modifica il paniere dell’e-commerce B2C nel nostro Paese, rendendolo più simile al resto del mondo.
Sono 45 milioni gli ordini nel 2016 che riguardano i servizi, per uno scontrino medio pari a 236 euro, mentre 120 milioni sono gli ordini di prodotti, i tre quarti del totale, con uno scontrino medio di 75 euro, un terzo di quello dei servizi.
Nei servizi la parte del leone la fa come sempre il turismo (+10% sul 2015 con un valore di 8.561 milioni di euro), mentre nei prodotti l’elettronica di consumo (+28% per 2.923 milioni) e l’abbigliamento (+27% per 1.898 milioni) fanno da traino, anche se comincia a essere significativo il contributo alla crescita dell’arredamento e home living (+48% per 652 milioni).
Il food grocery, che vale secondo l’Osservatorio, 575 milioni di euro, cresce del 30%, «grazie all’avvio e al potenziamento di iniziative della grande distribuzione e allo sviluppo di interessanti progetti in ambito gastronomia (Primotaglio.it, svinando.it, Tannico.it) e al lancio di servizi innovativi, come Amazon Prime Now e Eataly Today», oltre alle decine di iniziative relative all’offerta e alla consegna di piatti pronti.
Il food grocery, che vale 575 milioni di euro, cresce del 30%: si è mossa la grande distribuzione, a progetti come Primotaglio.it, svinando.it, Tannico.it, al lancio di servizi come Amazon Prime Now e Eataly Today, oltre alle decine di iniziative relative all’offerta e alla consegna di piatti pronti
Con questi dati, la penetrazione dell’e-commerce B2C sul totale delle vendite retail si avvicina al 5%, con i servizi al 9% e i prodotti al 3%. Ovviamente all’interno di quest’ultimo valore ci sono differenze sostanziali: il turismo sale al 29% e l’informatica passa dal 13% al 16%. In crescita di un punto percentuale gli altri settori. Nonostante il dinamismo, nel food grocery la penetrazione delle vendite online si ferma allo 0,35%. Ma la marcia è ancora lunga per l’e-commerce B2C in generale, visto che il tasso di penetrazione nei Paesi più maturi varia dal 15 al 20%.
L’acquisto online degli italiani è di tipo ricorrente: dei 19 milioni di web shopper, 12, 9 milioni (cioè il 41% degli utenti internet) generano il 91% delle vendite.
L’e-commerce italiano cresce anche nel segno della mobilità: lo smartphone da solo vale il 17% delle vendite online, e il tablet il 9%: più di un quarto quindi degli acquisti sono effettuati damobile, ma molto più frequente è il caso di processi d’acquisto iniziati su un device e completati sul computer o viceversa. Ciò che Roberto Liscia, presidente di Netcomm, identifica come cross device: «Insieme cross canalità e cross border, questi nuovi termini del commercio elettronicoraccontano l’evoluzione a partire dai nuovi modi di comportamento degli shopper. Gli acquirenti comprano da siti italiani e stranieri, confrontano i prodotti sia nel canale fisico che in quello digitale e lo fanno attraverso smartphone e PC». Liscia pone l’attenzione in particolare sulla difficoltà di approccio verso la compliance normativa: per il 50% delle imprese europee la maggiore difficoltà allo sviluppo del digitale in Europa è la disomogeneità delle leggi. «L’assenza di omogeneità delle regole di tutela del cliente, gli eccessivi costi di logistica, le differenze nazionali in tema di protezione dei dati personali, e privacy esistenti fino a pochi mesi fa, le nuove norme sui sistemi di pagamento, nonché le tematiche connesse alla fiscalità sono questioni che non possono essere trascurate ma, al contrario, devono trovare interesse da parte delle istituzioni e delle autorità di settore, nazionali e comunitarie», afferma il presidente di Netcomm.
L’offerta è adeguata?
Analizzando le vendite (in Italia e all’estero) da siti con operatività italiana, che valgono 17,7 miliardi di euro, queste crescono del 20% spinte prevalentemente dai prodotti. In questo caso tra i comparti emergenti si affermano food grocery, arredamento e beauty. L’export a sua volta, rappresentato prevalentemente da turismo e abbigliamento, cresce del 17% e supera i 3,4 miliardi di euro. Ancora marginale ma in prospettiva interessante il contributo di arredamento e food.
Sempre sul lato offerta, le prime 20 iniziative di e-commerce italiane generano il 71% delle vendite, con un’offerta composta da prodotti e servizi di decine di migliaia di operatori tradizionali (produttori, retailer, esercizi commerciali). I primi 50 operatori a loro volta rappresentano l’86% delle vendite e i primi 250 il 95%. L’e-commerce è un mercato concentrato, tanto che la coda lunga, del 5% delle vendite, è costituita da decine di migliaia di attività (25 mila sono solo le strutture ricettive), di cui solo un migliaio vende mediamente per 500 mila euro, mentre tuti gli altri incassano poche migliaia di euro. Con le conseguenze in termini operativi e strategici connessi.