Un esempio per cominciare: se, andando a comprare un’agenda che costa 12 euro, il cartolaio confessasse che nel negozio accanto lo stesso modello è venduto a 3 euro, in pochi resisterebbero alla tentazione di girare i tacchi e cambiare negozio (non senza aver ringraziato il generoso cartolaio). Lo stesso, però, è difficile che avvenga se, al momento dell’acquisto di un iPhone da 923 euro, la cassiera vi segnalasse che, nel solito negozio vicino, lo stesso modello costa 914 euro. Che differenza fa, ci si chiede. Eppure è la stessa cifra, gli stessi nove euro.
Nel primo caso si decide di cambiare negozio e nel secondo no, e la ragione è molto semplice: è il principio di relatività, che non ha nulla a che fare con Einstein ma molto con la percezione del denaro e del suo valore. È relativa, appunto, e non assoluta. Per questo la semplice cifra di nove euro non è percepita allo stesso modo in contesti diversi, ed è sempre per questo motivo che, mentre si compra un’automobile da 30mila euro, l’aggiunta di un accessorio che costa “solo mille euro” appare una sciocchezza. Eppure, in altri contesti, mille euro “pesano” di più.
È solo uno dei casi raccolti da Luciano Canova, docente (tra le varie cose) di Economia Comportamentale alla Scuola Enrico Mattei, ricercatore al CRESA e in altre università italiane, e raccontati nel suo libro Scelgo dunque sono, edito da Egea. Si tratta di un manuale divulgativo, o meglio “una guida galattica per gli irrazionali in economia”. Perché nonostante le convinzioni degli economisti classici, l’homo oeconomicus non è oeconomicus per la semplice ragione che dovrebbe essere razionale ma, purtroppo, non lo è.
Il libro dimostra che in ogni scelta economica l’uomo è guidato (se non proprio dominato) da una serie di convinzioni, automatismi, vere e proprie fallacie che gli impediscono di fare la scelta più corretta (almeno dal punto di vista economico). Ad esempio, a nessuno piace pagare. È un fenomeno noto e studiato, che si chiama pain of paying: l’atto stesso di sborsare del denaro è vissuto con difficoltà, provoca dolore. Pagare è quasi “una tassa morale sui consumi”. Per questo conta molto il tempo che viene richiesto e le sue modalità: il dolore si ridurrà quando il tempo impiegato è poco e il contatto con il denaro meno forte. Si capisce allora che usare le carte di credito, che quasi annullano il pain of paying, condiziona gli acquisti. Lo stesso effetto vale per le fiches nei casinò (chi giocherebbe con la stessa spregiudicatezza se fossero soldi veri?) e, soprattutto, per i prodotti finanziari, che rendono immateriale il denaro, elevandolo quasi a concetto astratto (con tutti i rischi che ne conseguono).
Nonostante le convinzioni degli economisti classici, l’homo oeconomicus non è oeconomicus per la semplice ragione che dovrebbe essere razionale ma, purtroppo, non lo è
La scelta razionale in economia è condizionata dall’incapacità di mantenere, come si è visto sopra, una percezione assoluta del denaro. O dal fatto che si è influenzati dal dolore della perdita. O dal fatto che non si è in grado di mantenere una visione temporale di lungo periodo (altro esempio: preferite mezzo pacchetto di caramelle oggi o uno intero tra una settimana? In molti sceglieranno la prima opzione. Ma cosa accade se si offre mezzo pacchetto tra un anno e un pacchetto intero tra un anno e una settimana? Tutti sceglieranno la seconda. Eppure è lo stesso periodo di differenza). Oppure ancora, dal fatto che un oggetto che ci appartiene tende a essere sopravvalutato (per non parlare di un oggetto costruito da noi – è l’effetto Ikea). O ancora, dalla motivazione nel compiere un progetto e dalla fatica che si mostra nel farlo (si tende a pagare con più soddisfazione, per lo stesso lavoro, coloro che mostrano di averci faticato di più).
L’irrazionalità, insomma, appartiene al dominio del quotidiano – anche se non ce ne si accorge. Non fare errori, cioè agire in modo razionale, diventa sempre più difficile (soprattutto in un mondo sempre più complicato) con il rischio di danneggiare le scelte economiche, sia personali che aziendali. Alcuni, come Google, tentano di resistere: per contrastare la tendenza dei “creativi” di Google Labs ad innamorarsi dei propri progetti (che può essere virtuosa se giusta, ma dannosa se significa insistere nel progetto/idea sbagliati), ha scelto di pagarli per ogni idea che mettono da parte. È un modo per compensare la difficoltà di abbandonare un progetto. Altri, invece, hanno adottato una politica di nudge (cioè di piccoli incoraggiamenti) per spingere le persone a comportarsi in un modo anziché in un altro – e il maestro di questa politica è l’americano Cass Sunstein, a capo dell’Ufficio per le Informazioni e le regole.
In ogni scelta economica l’uomo è guidato (se non proprio dominato) da una serie di convinzioni, automatismi, vere e proprie fallacie che gli impediscono di fare la scelta più corretta
Ma è solo l’inizio. Conoscere il comportamento delle persone e capire i motivi per cui, spesso, si fanno scelte non razionali è importante. Da un lato, perché permette di evitare errori fatali, specie in campo finanziario – e capita già che gli investimenti operati da un software si rivelino del tutto diversi da quelli compiuti dagli esseri umani, dal momento che non si lasciano influenzare dalle perdite momentanee ma agiscono sul lungo periodo – dall’altro perché permette di pensare politiche nuove e più efficaci. L’obiettivo, come ricorda di continuo Canova, è la felicità (qualsiasi cosa sia: l’agiatezza economica è solo un criterio). Raggiungerla appare un miraggio. Ma avvicinarsi, ecco, forse quello si può. Facendo, ogni tanto, qualche scelta strana e razionale.