Cronaca dell’accoglienza fallita: il disastro del centro InOpera a Milano

Bandi fantasma, condizioni igieniche disastrose, uffici che diventano dormitori: il centro d'accoglienza gestito dalla cooperativa InOpera a Milano è l'ennesimo scandalo del business dei migranti. Ci sono voluti più di due anni per chiuderlo, ma ora il centro rischia di riaprire

Il sottoscala sarà largo quattro metri al massimo. Per terra ci sono dei pezzi di cartone messi lì ad ammorbidire il contatto con il pavimento, perché qualcuno, sdraiato sopra quel pavimento, è costretto a passarci la notte. Tutto intorno è pieno di bottiglie utilizzate per urinare, mentre una porticina fa da ingresso ad uno stanzino che in un qualsiasi condominio sarebbe considerato troppo piccolo pure per essere il deposito dei rifiuti. Lì, invece, è steso un materasso e lì dorme il più fortunato di un gruppo di ragazzi africani.

Non siamo in qualche periferia degradata né in un campo rom abusivo di provincia, ma nella civilissima Milano, nel bel mezzo di un quartiere, quello tra corso Lodi e lo scalo ferroviario di Romana, in piena riqualificazione urbana, anche grazie alla recente apertura di una grande sede espositiva da parte di Fondazione Prada e all’imminente costruzione del nuovo quartier generale di Fastweb. Eppure basta girare l’angolo di via Balduccio da Pisa per trovarsi di fronte allo scempio di un sottoscala adibito a dormitorio, ciò che rimane del centro di accoglienza straordinario gestito dalla cooperativa InOpera chiuso lo scorso 12 ottobre, con almeno un paio d’anni di ritardo.

Un passo indietro. I centri d’accoglienza straordinaria sono il modo più diretto che il Ministero dell’Interno ha per smistare quote di migranti in giro per l’Italia. Succede che la Prefettura, in questo caso la Prefettura di Milano, istituisce un bando di assegnazione a cui partecipano solitamente cooperative private che presentano le loro condizioni: un costo giornaliero per ogni migrante, uno stabile in cui alloggiarli, standard minimi di servizi offerti. Alla fine è un affare un po’ per tutti: il Ministero riesce a collocare migliaia di persone, le cooperative guadagnano e, in teoria, i migranti si sistemano almeno per qualche mese, ricevendo pure una minima diaria al giorno.

Da ottobre 2013 a oggi, sul sito della Prefettura di Milano, risultano quattro bandi relativi all’affidamento di servizi di accoglienza di cittadini stranieri richiedenti protezione internazionale: uno a luglio 2014, uno a febbraio 2015, uno a gennaio 2016 e uno a giugno 2016. Il nome di InOpera, però, non compare mai. Le assegnazioni di cittadini stranieri sono state fatte senza bando tramite una procedura negoziale. Il sito della prefettura ne riporta otto dal 2014 ad oggi e, per altro, l’ultima procedura è di ottobre scorso, proprio il mese in cui il centro è stato chiuso.

Ma non è soltanto una questione di poca trasparenza. Il centro di via Balduccio non ha mai avuto i requisiti per restare aperto. Al momento della sua chiusura, lo scorso ottobre, Prefettura e Ats (l’ex Asl di Milano) hanno parlato di irregolarità contabili e grosse carenze igienico-sanitarie. Servivano due anni per accorgersene? L’avvocato Paolo Corti, amministratore di condominio nello stesso stabile che, al primo piano, era affittato a InOpera, fa sapere che gli esposti alla Ats erano stati diversi e che vi era un evidente stato di degrado e sporcizia. D’altra parte lo spazio adibito all’accoglienza ospitava uffici fino a poco prima che arrivassero i migranti. Visto il rapporto dell’ex Asl si può immaginare che la conversione di quegli uffici a dormitori, con l’installazione di letti e bagni, fosse stata frettolosa e insufficiente.

Non solo: lo scorso giugno Simona Bordonali, assessore regionale alla Sicurezza, Protezione civile e immigrazione, era stata proprio in via Balduccio da Pisa per un sopralluogo, evidenziando le condizioni disastrose della struttura e facendo notare che, per altro, mantenere aperto quel centro, pur totalmente inadeguato, costasse circa un milione di euro l’anno. Il calcolo è presto fatto: solitamente le cooperative percepiscono circa 35 euro al giorno di soldi pubblici per ogni migrante ospitato, dunque per via Balduccio, in cui si ospitavano un centinaio di persone, si arriva all’incirca alla cifra stimata dall’assessore Bordonali.

Oltre a non avere i requisiti igienico-sanitari per restare aperto a Milano, InOpera era già stato al centro di casi controversi in altre città d’Italia: ad Avellino tre centri erano stati chiusi e a Roma il centro Best House Rom, gestito dalla cooperativa, era finito persino in un’interrogazione parlamentare a causa delle condizioni disumane a cui erano costretti i migranti

Quel posto, insomma, non era adatto a ospitare nessuno. Ma se non bastassero le molte segnalazioni e l’interessamento di un assessore regionale, c’è un altro elemento chiave che getta un’ombra su InOpera: alcuni centri della cooperativa, infatti, erano già stati chiusi in altre città d’Italia. Lo scorso febbraio, per esempio, i carabinieri del Nas di Salerno hanno chiuso tre centri d’accoglienza riconducibili proprio a InOpera nella provincia di Avellino, per «scarse condizioni igieniche e un’opaca gestione generale». Ma il caso più eclatante riguarda Roma: nel dicembre 2015, infatti, ha chiuso per sempre Best House Rom, un centro gestito da InOpera nella capitale per il quale la cooperativa ha percepito soldi pubblici per oltre 5 milioni di euro in tre anni.

La questione di Roma è particolarmente intricata: nel novembre 2015 l’Autorità Anticorruzione di Raffaele Cantone, in un documento inviato al Dipartimento Politiche Sociali del Comune di Roma e all’allora Commissario Straordinario Francesco Paolo Tronca, evidenzia «un pressoché generalizzato e indiscriminato ricorso a procedure sottratte all’evidenza pubblica in palese contrasto con le regole». Un lucido escamotage – si legge – che ha orientato l’attività contrattuale degli uffici verso un percorso di distorsioni anche di carattere corruttivo. In uno stabile adatto a raccogliere 66 persone, InOpera ne aveva ospitate 235. Il tutto, come evidenziato, senza bandi regolari, ma con assegnazioni dirette.

C’è perfino un’interrogazione parlamentare a riguardo: il 19 dicembre 2014 alcuni senatori dei Radicali rendono conto di una loro visita al Best House Rom, raccontando come nella struttura gestita dalla cooperativa Inopera «gli spazi destinati agli ospiti siano inadatti e lontani da condizioni di vita accettabili: ogni nucleo familiare, composto in media da 5 persone, dispone di fatto della sola zona notte, che svolge anche funzioni di zona giorno e studio per i minori, composta da un’unica stanza di circa 12 metri quadrati priva di fonte di luce e aria naturale».

Best House Rom era stato inaugurato nel 2012 con una determinazione dirigenziale a firma di Angelo Scozzafava, ex direttore del Dipartimento delle Politiche sociali e della salute di Roma Capitale, che finirà in manette nell’ambito di Mafia Capitale, indagato per associazione di tipo mafioso e corruzione aggravata. Nessuno dei responsabili di InOpera è indagato per lo scandalo che ha colpito la capitale, anche se Alberto Picarelli, personalità legata alla cooperativa, compare in un’intercettazione telefonica con Salvatore Buzzi in cui i due delineano uno scambio di favori per non intralciare la cooperativa di Buzzi nella gara per un bando.

Adesso anche il centro di Milano è stato chiuso, ma la Prefettura ha fatto sapere che un’altra cooperativa, al Sinergy Società Cooperativa, prenderà il posto di InOpera.

Alla luce di tutto questo, però, restano in sospeso diverse domande. Come mai InOpera è rimasta per anni a Milano, senza che nessuno avesse niente da dire? Dobbiamo pensare che le Prefetture non si parlino tra di loro, o che anche nessuno abbia mai neanche scritto su Google il nome di InOpera, prima di versarle il lauto compenso mensile? E ancora: quanto si vigilerà su Sinergy, la cooperativa che prenderà il posto di InOpera, e sul centro di via Balduccio da Pisa? A quanto pare, ad esempio, c’è un problema che la chiusura del centro non ha risolto, se un gruppetto di persone è ancora costretto a dormire in un sottoscala. Non solo: le prime notizie, non proprio confortanti, relative al passaggio a Sinergy dicono che i migranti potrebbero essere collocati esattamente dove erano prima, nello stesso stabile più volte giudicato inidoneo. Insomma, un pasticcio che, tra qualche mese, rischia di farci piombare di nuovo al punto di partenza, in un momento in cui il sistema dell’accoglienza, in Italia, fa sempre più rima con business, e meno con solidarietà.

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