Il dato è di quelli che fa rumore, il classico boom: nel 2015 in Italia i divorzi sono aumentati del 57% rispetto all’anno precedente. Lo rivela l’Istat, nel suo ultimo report su Matrimoni, separazioni e divorzi, che segnala anche un inatteso incremento dei matrimoni e la conferma del fenomeno delle spose dell’Est europa, di gran lunga le preferite dagli uomini italiani.
Partiamo dal dato più clamoroso, quello dei divorzi. La spiegazione è semplice: nel 2015 è entrata in vigore la legge sul divorzio breve, che si è sommata alla legge del 2014 volta a semplificare le procedure extragiudiziali in caso di divorzi consensuali. Ma le nuove regole stanno portando a una disgregazione della famiglia tradizionale? No, a leggere i dati sulle separazioni per mille matrimoni, che aumentano sì ma con la stessa dinamica degli ultimi 20 anni.
Il numero medio separazioni e di divorzi per mille matrimoni
Il rapporto riserva anche alcune soprese, come l’aumento di matrimoni nel 2015, per la prima volta dopo un calo continuo a partire dal 2008. Lo scorso anno ce ne sono stati 4.600 in più (il totale è 194.377), mentre dal 2008 la discesa era stata in media di 10mila nozze all’anno. Che cos’è successo? Gli stranieri non c’entrano, perché una metà buona dell’aumento (+2.000 matrimoni) si deve a cerimonie tra sposi entrambi italiani. Non che l’Istat illumini eccessivamente sulle cause, e anzi invita a essere prudenti prima di parlare di una ripresa, perché le condizioni strutturali per la discesa dei matrimoni ci sono tutte, a partire dalla diminuzione delle persone tra i 16 e i 34 anni per effetto della denatalità che va avanti dalla metà degli anni Settanta. Ma questi dati «suggeriscono che il lieve aumento della primo-nuzialità del 2015 sia in parte attribuibile al “recupero” di parte della consistente posticipazione delle nozze messa in atto negli ultimi anni, forse anche condizionata dal prolungarsi della crisi economica». Insomma, non ci si sposava in attesa che la recessione finisse. Il più 0,8% di Pil del 2015 un minimo di inversione di tendenza l’ha prodotto.
Il rito civile è la nuova normalità
Nuove conferme vengono invece dall’affermarsi del rito civile . Nel 2015 sono stati 88mila, l’8% in più rispetto all’anno precedente e ormai il 45,3% del totale dei matrimoni. Gran parte di questo aumento si deve alle seconde nozze, ma il rito civile è sempre più scelto anche nei primi matrimoni di coppie solo italiane. Se guardiamo solo agli italiani, nel 2008 era civile il 20% dei primi riti; nel 2015 si è passati al 30 per cento. I più “secolarizzati” sono gli italiani del Nord-Est e del Centro, che si sposano in comune in un caso su quattro. Segue il Nord-Ovest (32%), mentre il Sud è il bastione della tradizione, con l’80 per cento delle prime nozze che viene celebrato davanti all’altare. Se invece uno dei due sposi è straniero, la percentuale sale all’87%. In caso di seconde nozze al 93 per cento. Chi si sposa in chiesa ha però un vantaggio, rispetto agli altri: il tasso di divorzio è molto inferiore, anche in questi tempi incerti.
Se guardiamo solo agli italiani, nel 2008 era civile il 20% dei primi riti; nel 2015 si è passati al 30 per cento. I più “secolarizzati” sono gli italiani del Nord-Est e del Centro
La sposa viene dall’Est
Le nozze in cui uno dei due sposi è straniero sono stabili, con una discesa di appena 200 casi nel 2015. Nelle coppie miste la tipologia più frequente è quella in cui lo sposo è italiano e la sposa è straniera: stiamo parlando del 7% di tutti i matrimoni in Italia e del 9% di quelli nel Nord e nel Centro. Chi sono le spose? Europee dell’Est nella metà dei casi: romene (20%), ucraine (12%), russe (6,2%) e moldave (5,5%) precedono albanesi, brasiliane, polacche e marocchine. Se sono rose fioriranno, ma un’avvertenza è d’obbligo: le separazioni tra coppie miste sono più frequenti (il 9,4% del totale) e in sette casi su dieci a separarsi è la tipologia di coppia mista con marito italiano e moglie straniera. Meno diffuso (4mila matrimoni contro 13mila) è il caso di donne italiane che sposano uomini stranieri. I prediletti sono i cittadini di Marocco, Albania, Romania e Tunisia, le etnie più diffuse in Italia.
Il divorzio è breve e fuori dal tribunale
Lo scorso anno il 40% dei divorzi definiti presso gli uffici di stato civile e il 10% di quelli definiti presso i tribunali sono stati divorzi “brevi”: l’intervallo di tempo intercorso tra la separazione legale e la successiva domanda di divorzio è stato cioè inferiore ai tre anni previsto dalla precedente normativa. Come spiega l’Istat, c’è stata quindi un’anticipazione di divorzi che sarebbero altrimenti avvenuti nel 2016 e 2017. Oltre alla legge sul divorzio breve (legge 6 maggio 2015, n. 55) lo scorso anno ha visto gli effetti della legge 132/2014, che ha semplificato le procedure, in particolare favorendo il ricorso agli accordi extra-giudiziali nei casi di separazione e divorzi consensuali. L’effetto si è sentito: la diminuzione delle “procedure giudiziarie consensuali” è stata di 17mila unità. Il calo c’è stato soprattutto nelle separazioni. I divorzi sono scesi meno, ma bisogna considerare due aspetti: il boom di numeri assoluti dei divorzi e l’arretrato accumulato dai tribunali. E se il divorzio è breve, arriva sempre più tardi. Ormai si parla di crisi del 17esimo anno, perché è di 17 anni la durata media dei matrimoni al momento della separazione e la quota delle separazioni riferite ai matrimoni di lunga durata è raddoppiata negli ultimi anni (ormai è quasi uno su quattro).
L’affido è condiviso
Un segno da leggere positivamente riguarda i gli affidi condivisi. Dieci anni fa, prima dell’entrata in vigore della legge 54/2006, i figli minori erano affidati solo alla madre dopo l’82,7% dei divorzi. Dal 2006 la quota di affidamenti concessi alla madre si è fortemente ridotta a vantaggio dell’affido condiviso. Nel 2015 le separazioni con figli in affido condiviso sono l’89%, contro l’8,9% di quelle con figli affidati esclusivamente alla madre.