Matteo Salvini ci aveva messo il cappello molto tempo fa, bisogna ammetterlo. Il segretario della Lega, insieme a pochi altri, ha tifato Donald Trump fin dalle prime battute della campagna elettorale per le presidenziali Usa. Ha scommesso sul magnate di New York quando la stampa americana lo trattava ancora come una macchietta. Questione di posizionamento politico da leader anti-sistema, forse. Ma anche simpatia personale per un personaggio che in questi mesi si è permesso di dire e fare quasi tutto quello che ha voluto. Anche ammettere di non conoscere lo stesso Salvini, che si era presentato al suo fianco per una photo-opportunity durante la campagna elettorale a Filadelfia.
Non stupisce dunque che dopo la vittoria di Trump su Hillary Clinton, il leader della Lega passi subito all’incasso. Di primo mattino The Donald deve ancora pronunciare il suo primo discorso da presidente e Salvini è già a Radio Padania. Una fretta giustificata dall’imprevisto (per gli altri, dirà lui) risultato d’Oltreoceano. “Questa è stata la rivincita del popolo contro il sistema – racconta in radio -. Ora per la Lega è il momento di osare, di andare oltre i vecchi partiti. Non è più il tempo dei tentennamenti, chi ci ama ci segua”. Con un po’ di presunzione e parecchio ottimismo, Salvini vuole accreditarsi come il Trump italiano. Non solo per la Lega, ovviamente, ma anche per la leaderhsip del centrodestra che verrà.
Appeso il telefono con Radio Padania, alle 11.30 di mattina il leader leghista arriva a Montecitorio. Il suo staff ha organizzato un incontro con i giornalisti per celebrare la vittoria del nuovo inquilino della Casa Bianca. In platea ci sono diversi deputati padani, al suo fianco siede il volto istituzionale del Carroccio, il vice-segretario Giancarlo Giorgetti, che è uno che parla solo quando serve. “Adesso sarà difficile ridicolizzare le idee della Lega”, attaccano. “Noi stiamo già lavorando alla squadra di governo”, insiste Salvini.
E’ un messaggio per gli alleati del centrodestra – il capogruppo forzista Renato Brunetta è lì in sala stampa ad assistere – e per gli scontenti del suo partito. Soprattutto, il leader leghista si rivolge al Movimento 5 Stelle e al suo elettorato (e qui sta la nuova scommessa di Salvini). Non è un caso se nella corsa a salire sul carro del vincitore americano ci sia anche Beppe Grillo. In mattinata l’ex comico genovese si affida al solito blog. Racconta le evidenti similitudini tra la corsa del neopresidente Usa e il MoVimento. “E’ la delflagrazione di un’epoca – scrive – è un vaffanculo generale, Trump ha fatto un VDay pazzesco”. Dichiarazioni che fanno discutere, anche perché per tutta la campagna elettorale i grillini si erano ben guardati dal prendere posizione tra Hillary e Trump. Il risultato è a tratti grottesco. Nel giro di qualche minuto parte una gara per stabilire chi è il trumpista più puro. Quasi un derby tra populisti. “Grillo sale sul carro del vincitore dopo aver sputato il giorno prima su Trump – attacca Salvini – Troppo facile così. Questa non è coerenza”.
Inevitabilmente l’attenzione si sposta sulla scena italiana. E’ sempre un po’ provinciale sbirciare le vicende internazionali dal cortile di casa, però è evidente che il fattore Trump rischia di influenzare l’ultimo scampolo della campagna referendaria, una campagna che più mediatica non si può. Sul fronte del No alla riforma costituzionale è già partita la competizione per rappresentare il trumpismo di casa nostra, usando il No per far cadere Matteo Renzi. Ma nel frattempo Salvini è impegnato anche nella difficile partita nel campo del centrodestra. Il leader del Carroccio si immagina infatti alla guida di uno schieramento totalmente diverso da quello che sogna Stefano Parisi: uno schieramento antisistema, un po’ bossiano, un po’ lepenista, un po’ trumpista, La prova generale sarà già sabato, a Firenze, la città di Renzi. E’ lì che Salvini ha convocato la sua manifestazione nazionale a sostegno del No. E tra i possibili alleati chi non ci sarà, ha detto, “si autoesclude”.
La sfida non è facile. Che cosa farà per esempio Silvio Berlusconi, che molti associano alla figura di Trump ma che resta lontano dalla scena? In mattinata, molti esponenti del centrodestra si sono affrettati a elogiare il prossimo presidente americano – da Giorgia Meloni a diversi berlusconiani -, ma non è così scontato che Salvini conquisti il fattore Trump. Anzitutto perché il grosso del consenso anti-sistema, in Italia, resta ben saldo nelle mani di Grillo e dei grillini. Senza dimenticare che tra il leader leghista e il magnate americano restano enormi differenze. Salvini non è un outsider come il successore di Obama, ma un politico di professione dal 1993. Trump è stato in parte disconosciuto dal partito Repubblicano. Salvini è il leader di un partito che difficilmente potrà accreditarsi come alternativo all’establishment. Sognare però costa poco. E qualche volta ci si azzecca pure.