«I mediocri hanno preso il potere»: basterebbe questo a riassumere il Sergio Rizzo – pensiero sull’Italia. I nostri mali vengono da lontano e forse siamo persino stufi di sentirceli ripetere: corruzione, malaffare, incompetenza, sprechi pubblici. Ma l’analisi di Sergio Rizzo, giornalista del Corriere della Sera e scrittore in libreria con La Repubblica dei brocchi (Feltrinelli, 2016, 16€), costringe intere categorie ad un esame di coscienza o, per lo meno, a guardarsi allo specchio, proprio come nove anni fa il libro-inchiesta La Casta, scritto da Rizzo assieme a Gian Antonio Stella, aveva messo con le spalle al muro la classe politica.
Sergio Rizzo, lei definisce l’Italia “la Repubblica dei brocchi”. Che cosa significa?
Significa che la nostra élite – la classe politica, i vertici industriali, i sindacati, la giustizia, persino il giornalismo – è sprofondata nella mediocrità. È un processo in corso da decenni, accelerato di volta in volta da alcune manovre scellerate, basti pensare al Porcellum e a chi è entrato in parlamento, per dirne una. Significa avere imprenditori che fanno strada grazie alle relazioni, anziché alle idee, significa avere una burocrazia arrogante assoggettata alla politica, significa non avere grandi scuole di classe dirigente. Un Paese, insomma, dove si ha la sensazione che vadano avanti solo i mediocri.
E come ne usciamo?
È una questione di educazione civica, certo, ma prima ancora bisogna ritrovare l’amore per il Paese e prendere coscienza del problema. Poi c’è il tema della trasparenza: bandi pubblici per le nomine nelle aziende dello Stato, codici etici seri per le professioni, regole chiare sulle assunzioni in università.
Non è singolare che nella politica italiana consideriamo normale dover scegliere tra competenza e onestà?
Ci sono anche competenti onesti, ma sono come fuori dai radar. Essere competenti ed onesti insieme diventa quasi un problema in un sistema in cui regna l’affarismo, si è malvisti perché si costringe gli incompetenti a fare i conti con chi è più bravo.
A proposito di merito e competenza, con il governo Renzi è cambiato qualcosa?
Mi aspettavo qualcosa di più. Ho visto molte chiacchiere e poca sostanza, mi sembra che i vecchi schemi si siano messi indosso vestiti nuovi. Credo che lo stesso Renzi abbia sottovalutato il sistema in cui si sarebbe dovuto muovere e non sia riuscito a fare quello che voleva.
In questo quadro, cosa ha rappresentato l’ascesa dei 5 Stelle?
Anche il MoVimento ha deluso le aspettative, basti vedere la paralisi di Roma che dura ormai da diversi mesi. La domanda da porsi è: quando cresceranno? E, soprattutto, vorranno davvero crescere? Mi sembra che quando ci sia stata occasione per un salto di qualità il MoVimento abbia mancato l’appuntamento. Alcune personalità che potevano aiutare, come Pizzarotti, sono state persino cacciate, dunque non è chiaro cosa vogliano fare da grandi.
Renzi delude, il MoVimento pure, e a destra che succede?
Chiariamo: il vecchio centro-destra non ci manca per niente. Quello che manca, piuttosto, è una destra liberale moderna. Per usare una terminologia renziana, la destra italiana è – ed è stata – un accozzaglia: come puoi tenere insieme i nazionalisti e i secessionisti? Funziona solo quando c’è da opporsi alla sinistra o al nemico di turno.
O se ci si riunisce ad una figura forte, come lo era Berlusconi. Parisi può essere l’uomo giusto per la nuova fase?
Può essere una soluzione, a patto che, come ha detto lui stesso, si distacchi dalla Lega. Parisi rappresenta una destra liberale, europeista, moderata, niente di più diverso dal Carroccio.
Parisi ce la farà a diventare leader nazionale?
Sta facendo un lavoro encomiabile, ma il centro-destra è un terreno scivoloso: se avrà i colonnelli del partito contro sarà difficile per lui diventare leader, ma la sua impostazione e la sua preparazione avrebbero largo consenso tra quegli stessi moderati che adesso, sostanzialmente, stanno con Renzi.
Non mi è piaciuto l’atteggiamento di Massimo D’Alema e di altri appartenenti alla vecchia leadership del PD. Il problema non è avere idee diverse dal partito a cui si appartiene, ma non è possibile che ci siano parlamentari che hanno votato per sei volte la riforma e adesso fanno i comitati per il No
Come giudica la riforma costituzionale?
Poteva essere fatta meglio, ma non dobbiamo dimenticarci l’insolita composizione del parlamento e della stessa maggioranza, figlia di un governo di coalizione e con il partito guida spaccato al suo interno. In altre condizioni si sarebbe potuto osare di più, abolendo il Senato o rendendolo un vero Senato delle autonomie, simile a quello tedesco.La vittoria del Sì sarebbe comunque un passo avanti rispetto alla situazione attuale?
Come ho detto non è una riforma eccellente, ma ho sempre sostenuto che il bicameralismo paritario andasse superato e non cambio idea. Dunque sì: questa riforma sarebbe un passo avanti, se non altro perché altrimenti è facile immaginare che per 20 o 30 anni sarebbe molto difficile intervenire di nuovo sulla Costituzione.Veniamo da una campagna elettorale sfiancante, iniziata in estate e non ancora terminata. Come ha funzionato la comunicazione politica in questi mesi?
È stata una campagna pessima, condotta in modo confusionario da entrambe le parti. Da qualche settimana, poi, si va avanti solo per slogan. Mi metto nei panni di chi si ascolta qualche dibattito in tv: sembrano aver ragione tutti quanti, si ascolta Travaglio e si voterebbe No, si ascolta Renzi e si voterebbe Sì.Si spieghi meglio.
Prendiamo i tagli ai costi della politica, uno dei vessilli del Sì. E’ una parte irrisoria del quesito, oltre che dei costi del parlamento, e senza dubbio una delle meno importanti, eppure lo slogan è efficacissimo, dunque si punta su quello. Ma vale anche per il fronte del No: come si fa a dire che il ping pong tra Camera e Senato verrà mantenuto? Eppure lo slogan funziona, ma in questo modo non si entra quasi mai nel merito.A proposito di campagna elettorale, come vede la spaccatura del Partito Democratico?
Non mi è piaciuto l’atteggiamento di Massimo D’Alema e di altri appartenenti alla vecchia leadership del PD. Il problema non è avere idee diverse dal partito a cui si appartiene, ma non è possibile che ci siano parlamentari che hanno votato per sei volte la riforma e adesso fanno i comitati per il No. Questo vale anche per la legge elettorale: capisco l’ostruzionismo dei 5 Stelle, ma trovo assurdo l’atteggiamento di chi aveva tutti gli strumenti possibili per contrastare la riforma in parlamento e non lo ha fatto, per poi cavalcare l’ondata del Sì in campagna elettorale.