La guerra dichiarata da Facebook alle notizie false continua. Cominciata qualche mese fa dopo le accuse piovute sull’azienda americana durante la campagna elettorale americana, dopo tante dichiarazioni di intenti e condanne, ora arrivano le prime dichiarazioni operative. Il 15 dicembre 2016, infatti, Mark Zuckerberg ha pubblicato un post sulla sua bacheca in cui annunciava una novità in arrivo su Facebook.
«Stiamo rendendo più facile segnalare le bufale», ha scritto il fondatore di Facebook «e, se molte persone segnalano una storia, noi la faremo verificare a una organizzazione terza di fact checking. Se verrà confermato che la storia è in realtà una bufala, vedrete apparire una bandierina che segnala che quella storia è stata contestata e quella storia sarà mostrata con meno frequenza sul News Feed. Avrete sempre la possibilità di condividerla, ma saprete se i fact checker la credono accurata o meno. Nessuno potrà sponsorizzare le storie contestate, né potrà promuoverle sulla nostra piattaforma»:
Un bottone anti bufala. Una funzione a disposizione di tutti gli utenti che potranno segnalare in qualsiasi momento una notizia o un post potenzialmente falso e, così facendo, innescare un processo di verifica che coinvolgerà enti terzi e registrati. Messa giù così sembra una cosa positiva e virtuosa, ma non lo è. È un abominio. Di più: un abominio pericoloso.
Mark Zuckerberg ha ragione: Facebook non certamente è una piattaforma come le altre. Ma non è certo un editore. Facebook è una piattaforma sociale. Un luogo virtuale che permette ai suoi utenti di comunicare tra di loro, di scambiarsi informazioni e notizie. Esattamente come il bar dove hai fatto colazione stamattina, che non è semplicemente un locale, è un locale pubblico, dove i clienti possono scambiarsi informazioni e notizie, ma non è certo la redazione di un giornale.
Credere che spetti a Facebook fare in modo che all’interno della propria piattaforma non vengano condivise bufale è come pretendere che il barista che ti ha fatto il caffé stamattina debba verificare che le chiacchiere che i suoi clienti fanno sono basate su fatti veri o falsi, per poi magari tirare uno scappellotto in testa a tutti i clienti che mentono. È assurdo e grottesco, e lo è perché non soltanto non è il suo lavoro, ma, ancor di più, perché non gli conviene.
La verità è che a Facebook non importa se i contenuti che fa circolare sono veri o falsi. E non gli importa perché Facebook non è né un editore, né una testata giornalistica, né una fonte di informazioni. Facebook è un luogo di ritrovo, un gigabar popolato da più di un miliardo e mezzo di persone. E questo gigantesco luogo di ritrovo, esattamente come il bar dove hai fatto colazione, vive e prospera se gli utenti ci passano il loro tempo e comunicano il loro gusti e le loro preferenze. Non se le cose che leggono sono vere. La questione della verità e della diffusione a livelli allarmanti delle bufale e delle notizie false è un problema che riguarda chi produce i contenuti e chi li fruisce, non certo chi li usa (senza pagare chi li produce) come amo per chi li consuma.
La battaglia di Facebook contro le bufale, lungi dal poter risolvere il problema, rischia di peggiorare le cose. Sì, perché dando agli utenti la possibilità di denunciare i contenuti-bufala, mette un miliardo e mezzo di persone di culture diverse, con preparazioni diverse e competenze diversissime sullo stesso piano. Saremo tutti uguali davanti al pulsante anti bufala, ma in realtà non siamo per niente uguali davanti alle notizie.
La mossa di Facebook è pericolosa perché va nella direzioni di togliere le gerarchie all’interno del mondo dell’informazione e del sapere, un mondo che funziona proprio grazie all’esistenza delle gerarchie. Senza la gerarchia non ha più senso l’autorevolezza. E senza autorevolezza — e stiamo cominciando ad accorgercene — non può esistere un sapere funzionale. Perché senza autorevolezza il parere di mia nonna sullo sbarco sulla luna è sullo stesso piano di quello del più esperto astronomo del mondo. Senza autorevolezza quello che scrive farfallina24 sul suo blog ha la stessa valenza scientifica di quello che pubblica The Lancet o Nature. Senza autorevolezza ci ritroveremmo a vagare in una notte in cui tutte le notizie sono false. Perché tutte le notizie sono false, fino a quando non le hai verificate, anche che tua mamma ti vuole bene.