Andate a vedere Silence? Portatevi un cuscino

L'ultima fatica di Martin Scorsese racconta la missione di due padri gesuiti nel 1600 giapponese: è un film faticoso e per buona parte noioso, tra martirizzazioni di contadini analfabeti, torture giapponesi e immagini di cristo sputate e calpestate

Che appeal ci sarà mai nella storia di due missionari gesuiti portoghesi che arrivano faticosamente nel Giappone della metà del 1600 e cercano, ovviamente contro il volere del potere degli shogun, di far ripartire il culto cristiano tra le comunità di contadini analfabeti? Quasi nessuno. E infatti, già intorno al decimo minuto, ci si ritrova a fare i conti con la paura che nei successivi 151 non si assisterà a nulla di diverso che ai predicozzi cristologici dei due preti, alle feroci martirizzazioni dei più coraggiosi, o forse solo più pazzi, tra i contadini da parte dei ferocissimi shogun e alle apostasie di tutti gli altri, meno coraggiosi o forse solo meno pazzi.

Per quasi due ore, Silence va avanti così, tra attese diurne e prediche notturne in un latino da ridere, battesimi di figli di contadini che non sanno nemmeno cosa comporta il battesimo e che sono convinti di essere già in “paraìso”, e poi ancora, crocifissioni e annegamenti in mare, fughe, calpestii apostati e gran sputate sui simboli cristiani, torture a base di contadini appesi a dissanguare sui pozzi come salami.

Per fortuna, a un certo punto, Martin Scorsese si ricorda di avere nel cast anche Liam Neeson, la carta Jedi, e la ritira fuori. Neeson è anche lui un gesuita. O meglio, lo era fino a qualche anno prima della partenza degli altri due verso il Giappone. Sono proprio la sua scomparsa e le voci riguardo alla sua apostasia il motivo scatenante della missione degli altri due, interpretati da un Andrew Garfield un po’ patetico che tra poco rivedremo sempre a confronto con la religione nell’ultimo film di Mel Gibson, e da un Adam Driver che ormai è come il prezzemolo.

E arriva giusto in tempo, il buon Liam, vestito da Qui-Gon Jinn, esattamente mentre lo spettatore ha smesso da almeno mezz’ora di preoccuparsi per la sorte dei due poveri gesuiti e ha ormai come unico timore all’orizzonte l’addormentarsi in poltrona ronfando. Con il suo arrivo quello che fino a quel punto sembrava un noioso pippone sui gesuiti buoni che cercano di fregare i cattivoni giapponesi diventa di colpo un film interessante: le due parti, improvvisamente, prendono spessore sul serio e Scorsese riesce in extremis a tirare un calcio al didascalismo e al buonismo, buttando finalmente lo spettatore in un campo minato in cui non ci sono più buoni e cattivi e Silence diventa un film profondo, complesso, che ha senso vedere e su cui c’è anche parecchia da riflettere. Peccato che ci arrivi con due ore di ritardo.

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