Dio esiste e ha pure un papà

L'ultimo libro di Maicol&Mirco si intitola Il papà di dio, è un tomo da quasi mille pagine e rompe almeno tre tabù, tre linee prima invalicabili per gli Scarabocchi: ha le pagine bianche, non è autoprodotto e non contiene nemmeno una bestemmia

Blam. Blorch. Cavalli e whisky. Sono Mario?. Il suicidio spiegato a mio figlio. Cavalli e slalom. Dopo sei titoli e un paio di migliaia di pagine rosse sangue vergate di nero, Maicol&Mirco aggiunge alla collezione un settimo libro, il più corposo di tutti. Si intitola Il papà di dio, è un tomo da quasi mille pagine e rompe almeno tre tabù, tre linee prima invalicabili nel mondo degli scarabocchi di Maicol&Mirco.

Primo: non viene pubblicato come autoproduzione ma esce in grande stile, con copertina rigida, pubblicato da una casa editrice vera, Bao Publishing (che qualche mese fa aveva già pubblicato il meraviglioso primo libro per bambini di Maicol&Mirco Palla rossa palla blu). Secondo: non ha nemmeno una pagina rossa. Terzo: non contiene nemmeno una bestemmia. E sono notizie.

Che cos’è Il papà di dio? È un fumetto d’avanguardia, ma non nel senso artistico e noioso della parola. Scordatevi i Sanguineti, gli Eco, i Gruppi 63, e persino le avanguardie di primo Novecento. Futuristi stocazzo, qui il termine “avanguardia” è nel senso letterale e primigenio, quello militare. Il papà di dio è la prima graphic novel ad avere le palle di andare in avanscoperta sul serio e inoltrarsi territori mai calpestati da artista umano, e mica solo dai fumettisti. Con questo monumento da un chilo e passa di carta, infatti, Maicol&Mirco compie un atto artistico puro, va direttamente a mettere le mani sulla fonte di tutte le storie, anzi, la anticipa, perché raccontare della famiglia di dio è raccontare il prequel di tutti i prequel.

Chi non conosce Maicol&Mirco penserà, dal titolo, a un’opera di sarcasmo, di satira, una cosa da ridere. Ed effettivamente se dietro a questo librone ci fosse uno come Don Alemanno, e se dentro ci fosse il suo Jenus, una parodia scalcagnata di Gesù, il pregiudizio sarebbe giustificato e il libro varrebbe poco. Ma Maicol&Mirco non fa satira, non l’ha mai fatta. In nessuno dei precedenti sei libri di Scarabocchi, e nemmeno nelle altre perle che Maicol&Mirco, uno e bino (ché di Mirco – che esiste, assicurano – non c’è traccia da anni), ha disseminato in giro negli ultimi anni: da quelle nella rivista dei Superamici Hobby&Comics, fino a quella bellezza di Palla rossa palla blu, dell’anno scorso.

Il papà di dio non è un fumetto da ridere. Al centro di queste mille pagine, sepolte sotto le avventure di un dio ragazzino, del suo amico immaginario Satana, del padre di dio e dello zio di dio, ci sono infatti tutte le più importanti questione dell’arte moderna, quelle che ci hanno permesso di uscire dalle catene medievali del principio di imitazione e approdare alla giungla di ego onanisti ipertrofici in cui viviamo ora. Cosa vuol dire creare? Che rapporto c’è tra il creatore e la propria creatura? Che responsabilità ha il creatore su ciò che crea? E che ne è della libertà in tutto ciò? E ancora: sono meglio le creature perfette o quelle imperfette? La perfezione è un attributo del paradiso o dell’inferno?

La coraggiosa avanzata dell’avanguardia di Maicol&Mirco è l’atto coraggioso di un artista che si mette in discussione, che parte da un genere unico come gli Scarabocchi, appartenente alla filosofia e allo spirito più che all’umorismo e alla pancia, e arriva a costruirci un’epica, una cosmogonia la cui perfezione è legata alla propria imperfezione. Sembra un paradosso, ma non lo è, perché la bellezza Maicol&Mirco la trova proprio nell’anello che non tiene. È là dove si spezza la catena, dove i fili si disbrogliano e la logica si nega da sola in un gaudente seppuku.

Non è difficile spiegare come si attivano gli Scarabocchi, né come agiscano. È solo inutile. L’estetica di Maicol&Mirco, per quanto a prima vista possa sembrare iperintellettuale, è invece tutto il contrario. Sotto a tutto c’è l’istinto, l’immediatezza, l’intuizione pura. Certo c’è dio, satana, il papà di dio. C’è pure lo zio, fratello maggiore del papà di dio, hippy che ha abdicato la propria deità per andare in giro a suonare la chitarra. Ma il motore di tutto non è la fredda lucidità. È il fiotto caldo del genio, eiaculante per sua stessa natura, ed è una roba che si può mostrare, ma non si può spiegare. Show, don’t tell. Siamo sempre lì. Genio contro didascalia. Panza contro testa. Immediatezza contro scolastica.

Nelle 960 pagine di questo librozzo, Maicol&Mirco lascia partire tante frecce. E l’arco è sempre lo stesso, di quelli lunghi, che arrivano lontano, così come la mira, sempre quella, che non lascia scampo. Una di queste riguarda uno dei temi centrali di tutta la sua produzione: il nostro rapporto con la conoscenza, con il sapere, e quindi anche l’arte e la sua creazione.

«A scuola non si impara a contare, ma a dare il resto», recita uno delle vignette più recenti degli Scarabocchi. Ma è solo una delle tante che prende come bersaglio la Scuola, quell’inferno dispensatore di regole che nel mondo di Maicol uccide la libertà, la imbriglia, insegnandoci semplicemente ad essere schivi. «A scuola si entra ignoranti e si esce alle 13», recita un’altra. O ancora: «Chi per capire qualcosa deve studiare a noi ci fa schifo».

Il punto è chiaro: la mediazione del metodo e della scuola uccide la creatività, disinnesca l’intelligenza, toglie dall’equazione la variabile decisiva, quella che ci rende veramente uomini: la libertà, che poi non è altro, in questa meravigliosa teogonia di Maicol&Mirco, che la libertà di dio di combinare le cazzate che vuole, magari insieme al suo amico immaginario, il suo primo personaggio: Satana. E che personaggione.

E il filone continua anche ne Il papà di dio. “Devi andare a scuola”, gli dicono tutti. Glielo dice il padre. Glielo dice perfino Satana. Ma dio ha le idee chiare: «A scuola? A fare cosa? A imparare a creare come creano gli altri? A creare come si è sempre creato?». «Io voglio creare cose nuove», soggiunge il piccolo dio. «Cose mai create prima». «Cose come me», gli fa allora l’amico Satana. «Sì». «Anche».

Non c’è morale in questo libro. Ma forse qualcosa da imparare c’è. È come con il freddo. Non c’è morale nei meno quindici, però dopo un po’ che ci stai impari che devi coprirti. Ecco, dopo un po’ che sfogli questo libro impari a coprirti, ovvero impari che la libertà, se non è totale, non è libertà. E la vera libertà è quella di dio, non quella del padre. È la libertà di creare qualcosa che abbia veramente senso, che sia perfetta. E la perfezione della libertà, ci mostra Maicol, sta proprio nella libertà di sbagliare. La libertà di dio è quella che gli permette di creare le sue migliori invenzioni: Satana, i fumetti, l’assurdo e incomprensibile animale che battezza il Frincatore, o ancora, quel buffo uccello di 900 chili senza buco del culo che dopo un po’ che mangia esplode, ma anche questo libro, che è come quel fottuto “filo da disbrogliare” con cui Montale ammorbava i nostri pomeriggi di liceo: finalmente ci mette nel mezzo di una verità.

P.S.: Due anni fa, durante un’intervista, venne chiesto a Maicol&Mirco su cosa stava lavorando. La sua risposta, come tutte le sue risposte a tutte le interviste che gli fanno, sembra uno scarabocchio: «Vorrei disegnare le paure che mi sono venute nel rispondere alle mille domande che mi hanno fatto in questo periodo». Le mille pagine de Il papà di dio, in qualche modo, sono il riassunto più sintetico possibile di quelle paure.

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