La cassa automatica sostuisce il cassiere, il bancomat il bancario allo sportello. Amazon cancella commessi e agenti di commercio, Airbnb e Booking gli addetti degli hotel e delle agenzie di viaggio. L’email il postino. I robot gli operai. App e siti web i telefonisti dei call center.
Prima di lasciare la Casa Bianca, l’ex presidente degli Stati Uniti Barack Obama ha ripetuto ancora una volta che la preoccupazione principale nei prossimi anni deve essere quella dell’automazione che sta cancellando e cancellerà milioni di posti di lavoro. E l’ultimo rapporto McKinsey, A Future That Works: Automation, Employment, and Productivity, lo conferma: quasi la metà (il 49%) dei lavori svolti oggi nel mondo da persone fisiche potranno essere automatizzati. Anche in Italia, dove il tasso di sostituzione si aggirerebbe tra il 49 e il 51 per cento. Significa che più della metà dei lavoratori italiani, circa 11 milioni di persone, potrebbero essere sostituiti da una macchina.
Uno scenario a tratti inquietante. Anche se in Italia non sembra che ce ne stiamo preoccupando così tanto. Molte associazioni di categoria, anche quelle dei comparti più interessati dall’automazione, non hanno avviato nessuna riflessione né ricerca sul tema. Tantomeno politici e sindacati italiani. L’unica novità recente è la ricerca sul futuro del lavoro nei prossimi anni, “Lavoro 2025”, promossa dai parlamentari del Movimento cinque stelle e curata dal sociologo Domenico De Masi.
In teoria, l’automazione potrebbe colpire qualsiasi lavoro, ma alcuni lavori sono “più sostituibili” di altri dal braccio di una macchina o da un algoritmo. In primis, quelli più semplici e ripetitivi. «Nelle fabbriche, parliamo di mansioni come l’assemblaggio, ad esempio», spiega Jacopo Brunelli, managing director di Boston Consulting Group. «Per l’ufficio, invece, sono a rischio attività come il data entry (inserimento di dati, ndr). Dobbiamo aspettarci una riduzione graduale di questo tipo di figure professionali».
Ci sono settori più esposti di altri alla sostituzione meccanica. I luoghi di lavoro a più alto tasso di automazione attuale e potenziale sono le aziende manifatturiere e di costruzioni (la famosa industry 4.0), le aziende agricole, gli hotel e le strutture ricettive in generale, i ristoranti e i fast food, i centri commerciali, i supermercati (la grande distribuzione in generale), le banche, le compagnie assicurative, le società di consulenza finanziaria, i call center e i giornali (quelli di carta).
SETTORI A PIÙ ALTO POTENZIALE DI AUTOMAZIONE
Nei supermercati delle principali città italiane già da tempo le casse automatiche hanno affiancato le file di cassieri in carne e ossa. In alcuni casi, si ritira una pistola laser all’ingresso, si registra ogni prodotto che finisce nel carrello, e alla fine basta solo pagare alla cassa. Automatica ovviamente. La spesa, è chiaro, si può fare anche online senza mettere piede in negozio.
Nei fast food si può ordinare cosa mangiare su uno schermo touch screen, senza mai interagire con un operatore umano. Per fare un bonifico bancario, basta digitare username e password e accedere al nostro conto online sullo smartphone. E anche per aprire il conto si può fare tutto online.
Per comprare un paio di scarpe o una cassetta di verdura, ci serve al massimo scrollare la vetrina virtuale sullo schermo del computer e aspettare che il fattorino citofoni. Per prenotare le vacanze, da tempo facciamo a meno delle agenzie di viaggio. Per scegliere l’assicurazione dell’auto nuova, possiamo confrontare i prezzi online e premere un bottone. E se ci serve assistenza, difficilmente alziamo il telefono ascoltando la musica d’attesa. Si può interagire con il servizio clienti tramite Facebook e Twitter, o sui siti web, e al massimo chattare con un addetto specializzato. Anche per ordinare una pizza o cibo cinese a domicilio non si passa più dalla cornetta: c’è solo l’imbarazzo della scelta tra le diverse piattaforme di delivery.
Persino gli uffici per la gestione delle risorse umane potrebbero essere presto meno affollati: molti profili vengono selezionati ormai tramite l’analisi dei dati (workforce analytics) e anche per la promozione, la valutazione e il trasferimento dei lavoratori ci si affida ai dati prodotti.
Dire quanti posti di lavoro queste innovazioni abbiano già cancellato in Italia (e quanti ne abbiano creato) è difficile. Un osservatorio ad hoc non esiste. Le previsioni a livello globale sono numerose. Il World Economic Forum parla di una perdita di 7,1 milioni di posti di lavoro entro il 2020, compensata da un guadagno di due milioni di posti di lavoro. Quindi, il saldo negativo è di cinque milioni di posti in meno nel mondo entro i prossimi tre anni.
Nei supermercati delle principali città italiane già da tempo le casse automatiche hanno affiancato le file di cassieri in carne e ossa. Nei fast food si può ordinare cosa mangiare su uno schermo touch screen, senza mai interagire con un operatore umano
Secondo Federdistribuzione, che riunisce centri commerciali, ipermercati, supermercati e grandi magazzini, il numero di addetti nelle aziende associate per il momento resta stabile. Anche se dall’associazione non forniscono dettagli sui singoli profili professionali. Da più parti d’Italia arrivano allarmi sul calo degli agenti di commercio, legato alla crescita dell’ecommerce. Ma quanto le casse automatiche stiano scalfendo il mondo delle cassiere ancora è presto per dirlo. Né in Italia il volume di acquisti online, per quanto in crescita del 18% nel 2016, è ancora paragonabile ai livelli inglesi, tedeschi e francesi.
Lo zoccolo duro degli acquisti online resta il settore turistico. Agenzie di viaggio e agenti di viaggio sono state le prime vittime dell’automazione applicata all’organizzazione dei viaggi. Ma anche il settore ricettivo tradizionale, con Airbnb col fiato sul collo, non sembra passarsela bene. Secondo i dati di Federalberghi elaborati sui numeri di Inps, nelle aziende turistico-ricettive italiane in cinque anni sono stati cancellati oltre 8mila posti di lavoro.
Segno meno anche nel settore assicurativo. Nel 2014 gli addetti sono diminuiti di un punto percentuale, nel 2015 di un punto e mezzo. Anche se ancora non siamo ai livelli del Giappone, dove una compagnia assicurativa, la Fukoku Mutual Life, da poco ha licenziato 34 persone per sostituirle con un software di intelligenza artificiale. Stessa cosa vale per la consulenza finanziaria. I consulenti italiani lamentano ancora la difficoltà di intercettare gli investitori più giovani, mentre i grandi nomi del settore puntano già sui robo advisor. Nel 2015 BlackRock, il più grande gestore di fondi a livello mondiale, ha acquisito FutureAdvisor, una piattaforma che tramite gli algoritmi gestisce portafogli automatici per gli investitori. In Italia il settore è ancora in fase embrionale, ma il 70% dei Millennials intervistati da poco da Schroders Global Investor Study ha detto di esser pronto a sfruttare le nuove tecnologie per scegliere su che cosa investire. Meno consulenti più robot, insomma. Senza dimenticare le banche, dove entro il 2020 si conteranno 70mila impiegati in meno rispetto agli inizi degli anni 2000, con un numero di filiali che intanto si è più che dimezzato sotto la scure di bancomat, home e mobile banking. In otto anni, la percentuale di italiani che usa i servizi di Internet banking è più che raddoppiata.
E se tutto si fa online, anche i call center sono destinati a svuotarsi (nonostante i numeri dell’occupazione di quelli in outsourcing in Italia segnino ancora un segno più). Anche qui stanno facendo il loro ingresso intelligenze artificiali e cognitive computing. Come ha raccontato un dirigente di una compagnia telefonica, il numero di contratti siglati tramite call center è in discesa, dopo lo sviluppo di un’app e un sito più efficaci. La previsione è che i lavoratori dei call center dedicati alle fastidiose chiamate a tappeto spariranno. Mentre alla cornetta o in chat resteranno per lo più lavoratori qualificati per proporre promozioni mirate o risolvere problemi complessi.
Anche i call center sono destinati a svuotarsi. App e siti web sono sempre più efficaci per l’assistenza clienti. La previsione è che i lavoratori dei call center dedicati alle fastidiose chiamate a tappeto spariranno. Mentre alla cornetta o in chat resteranno per lo più lavoratori qualificati per proporre promozioni mirate o risolvere problemi complessi
La sostituzione non avverrà all’improvviso. «Sarà un processo graduale di medio-lungo termine», dice Brunelli. E in Italia sarà più lento che altrove. Il tasso di innovazione nel nostro Paese è basso, la legislazione sul lavoro rigida, e le dimensioni ridotte delle nostre pmi non favoriscono grossi investimenti.
Ma non sarà la “fine del lavoro”. Alcune occupazioni spariranno, altre cambieranno, altre se ne aggiungeranno. Una transizione che è già evidente in alcuni settori già da tempo interessati dall’automazione, come quello turistico. «Anche nel settore turismo, l’innovazione tecnologica e l’office automation hanno determinato la razionalizzazione di alcune procedure, che hanno portato alla sparizione o di alcuni mestieri o, quanto meno, a una notevole riduzione dei lavoratori addetti a tali attività o alla loro esternalizzazione», dice Alessandro Nucara, direttore generale di Federalberghi. Ma «negli ultimi anni una parte consistente del mercato dei viaggi e delle vacanze si è spostata sulla Rete, determinando un fabbisogno di nuove competenze e nuove figure professionali che riguardano ad esempio il web marketing e il revenue management (gestione dei ricavi, ndr)».
Il trucco è non farsi trovare imprerati. «Il saldo tra lavoratori non più necessari e nuove figure professionali non è detto che sarà negativo, con un potenziale guadagno di produttività», spiega Jacopo Brunelli. «Le nuove tecnologie richiederanno l’inserimento di nuove figure professionali più tecniche e qualificate per gestire i nuovi sistemi. La formazione dei lavoratori sarà centrale». Alcune aziende italiane si stanno già muovendo per proporre soluzioni nuove. Qualche grande ateneo sta facendo da apripista per la formazione dei nuovi lavoratori più qualificati, studiando quello che il mercato del lavoro potrà chiedere in futuro. Ma i dati sul livello di istruzione non fanno ben sperare. Nella fascia 25-34 anni, l’Italia è ultima in Europa per percentuale di laureati: 22,4 per cento. Solo tre diplomati su dieci si iscrivono all’università. Se continuiamo così, avremo non pochi problemi ad affrontare il mercato del lavoro futuro.