Quesiti linguisticiVoce del verbo “taroccare”, spiegato dall’Accademia della Crusca

In principio significava “praticare il gioco dei tarocchi”, o anche “corteggiare una donna”. Poi ha assunto il significato che gli diamo oggi

Tratto dall’Accademia della Crusca

… Taroccare compare già nella III e nella IV Impressione del Vocabolario degli Accademici della Crusca, con il significato di ‘Dare in giucando tarocchi, e figurativo ‘Esclamare, adirarsi’ (III Impr., 1691) e ‘Voce bassa. Gridare, Adirarsi’ (IV Impr., 1729-1238). Nelle prime due edizioni del Vocabolario della Crusca non solo non c’è il verbo, ma nemmeno il lemma tarocco o tarocchi, anche se la parola fa la sua comparsa all’interno di due altre voci.

Il Grande Dizionario della Lingua Italiana (GDLI) (Torino, UTET, 1961-2002), riporta quattro significati diversi di taroccare: il primo, e più noto, è ‘praticare il gioco dei tarocchi’; abbiamo poi ‘brontolare, protestare vivacemente, lamentarsi, recriminare, o, anche, crucciarsi in particolare a causa di una forte alterazione emotiva, per la rabbia, per un dolore; imprecare; sbuffare; strepitare per l’impazienza; andare in collera’; il terzo significato è segnalato come regionalismo, ‘corteggiare una donna’, dal piemontese tarôché ‘amoreggiare’; infine, il quarto significato è quello che interessa a noi: classificato come gergale, ‘contraffare un oggetto, in particolare lussuoso, costoso, di grande marca; falsificare un documento’.

I dizionari dell’uso registrano il verbo taroccare in quest’ultimo significato come gergale (Devoto Oli, GRADIT [Grande dizionario italiano dell’uso, diretto da Tullio De Mauro, 6 voll., Torino, UTET, 1999-2000, più due volumi di supplemento nel 2003 e nel 2007]), familiare (Garzanti), regionale (Sabatini Coletti) o colloquiale (Zingarelli 2014). Con questo significato, comunque, il verbo non è in uso da molto tempo: il GRADIT indica il 1987 per la prima attestazione, e il GDLI conferma tale datazione con un esempio tratto da Repubblica del 3 novembre dello stesso anno: «Con una Volvo ‘taroccata’, cioè con targa e numero di telaio contraffatti».

Non ci stupiremo poi di incontrare il verbo anche nei dizionari gergali: in Malavita: gergo, camorra e costumi degli affiliati (di Emanuele Mirabella, Napoli, Forni, 1910) si legge ‘Taroccare a casa: scrivere alla famiglia, nel gergo dei camorristi coatti’; in La mala lingua. Dizionario dello slang italiano (a cura di Augusta Forconi, Milano, SugarCo, 1998) troviamo ‘Falsificare la targa di un’automobile rubata’, in uso a Milano; in Scrostati, gaggio! Dizionario storico dei linguaggi giovanili (a cura di Renzo Ambrogio e Giovanni Casalegno, Torino, UTET, 2004), il verbo viene chiosato come ‘Falsificare, scopiazzare; voce proveniente dal gergo della malavita […]’; ‘Truccare il motore’, ‘Marinare la scuola’. Insomma, tanti significati differenti, ma generalmente relativi all’ambito del falso, del furto, dell’inganno.

Le varie fonti danno taroccare come derivato di tarocco, che tra i vari significati ha anche quello gergale di ‘imbroglio, fregatura, truffa’ (cfr. GDLI ma anche altre fonti).

L’etimo di tarocco e taroccare nel senso di ‘falso’, e ‘falsificare’ è però in generale considerato poco chiaro. Alcuni, come il Grande Dizionario Garzanti della Lingua Italiana (Milano, Garzanti, 1987), azzardano un richiamo al gioco dei tarocchi ‘forse per gli imbrogli che si possono fare con le carte e per influsso di truccare‘, ma la maggior parte dei volumi consultati si assesta su «etimologia incerta».

L’etimo di tarocco nel senso di ‘ciascuna delle 78 carte che costituiscono il mazzo usato per diversi giochi, di cui il più importante è quello omonimo […]’ è a sua volta oscura. Il GDLI rimanda al nome in latino ludus tarocorum (Velletri XVI sec.), e nota che il nome delle carte, nelle altre grandi lingue europee, viene generalmente ricondotto all’italiano tarocchi: in francese abbiamo tarots (XVI sec.), in tedesco Tarock (1756), in spagnolo taroqui e in inglese tarot, taroc (1598). Anche il DELI [Dizionario Etimologico della Lingua Italiana di Manlio Cortelazzo e Paolo Zolli, nuova ed. Bologna, Zanichelli, 1999] segnala l’etimologia come oscura. L’Etimologico di Alberto Nocentini (Firenze, Le Monnier, 2010) si spinge oltre, proponendo questa spiegazione: «Prestito da altre lingue romanze: probabilmente dallo spagnolo troco ‘baratto’, derivato di trocar ‘barattare’. L’origine del nome dei giochi e in particolare dei giochi di carte è affidata spesso a congetture prive di supporti documentari per via della loro trasmissione sotterranea; l’ipotesi di un prestito spagnolo ha dalla sua il fatto che molti termini relativi ai giochi con le carte provengono dalla Spagna e in particolare un sinonimo disusato di tarocco è ganellìno, che vien fatto derivare dallo spagnolo ganar ‘guadagnare’, affine a trocar ‘barattare’». Studi specialistici, ma non specificamente linguistici, sui tarocchi, fanno risalire la parola a radici arabe, tuttavia tali ricostruzioni non sembrano avere al momento l’avallo dei linguisti, almeno in Italia.

Dunque, considerato che i dizionari dell’uso marcano taroccare come gergale, familiare o simili, è lecito il suo impiego sui giornali? Tenute presente le considerazioni fatte in apertura, propendiamo per il sì, almeno in alcuni tipi di articoli, pur specificando che non lo consiglieremmo in contesti a più alta formalità, dove sarebbe preferibile usare altri verbi, più “neutri” in quanto a marca d’uso, come falsificare o contraffare.

L’impiego di taroccare è comunque accettato anche da Aldo Gabrielli nel suo manuale Si dice o non si dice? (prima edizione Milano, Mondadori, 1976, consultabile anche in rete sul sito del Corriere della Sera): «Possiamo esprimere la nostra delusione su persone e cose con tre aggettivi di origine gergale, tutti e tre ormai entrati nella lingua quotidiana [corsivo nostro; i tre termini che Gabrielli tratta sono fasullo, tarocco e bidone]. Fasullo vuol dire propriamente “falso”, e deriva dal gergo romanesco che lo ha ereditato dall’ebraico pâsûl: “non legittimo, non valido”. […] Ciò che è taroccato o, per brevità, tarocco, è certamente fasullo, ma con un significato più ristretto a merci e prodotti d’alta qualità falsificati. […] Molte cose possono rivelarsi un bidone: un incontro personale, una proposta societaria, un’azione in borsa, un viaggio alle Antille. Il bidone va dall’appuntamento mancato alla truffa, ed è una vivissima invenzione del linguaggio popolare. Fellini la usò come titolo di un suo film, e da allora la parola aleggia, quando è il caso, anche nei salotti per bene».

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