È giunto l’ordine: «silenzio a palazzo». Il governo britannico ha pronta una profonda revisione dell’Official Secrets Act. La legge che disciplina i segreti di stato e le informazioni ufficiali sta infatti per essere sostituita da una versione aggiornata da quella che agli occhi di media ed associazioni per i dirtti civili sembra a tutti gli effetti una riproposizione dell’Espionage Act in vigore dal 1917 negli Stati Uniti dopo l’ingresso in guerra.
Stando al documento di 326 pagine pubblicato dal governo di Londra all’inizio di febbraio, la nuova legislazione prevedrebbe nuove e maggiori pene detentive contro i giornalisti che entrano in possesso di documenti ufficiali che contengono informazioni sensibili che possono mettere a repentaglio la sicurezza nazionale britannica. E per la prima volta il provvedimento potrebbe interessare l’economia. Così, in teoria, un giornalista che pubblicasse documenti relativi alla Brexit ritenuti dannosi per l’economia del paese potrebbe finire dietro le sbarre per un periodo lungo fino a 14 anni. E potrebbe diventare reato anche solo ottenere o raccogliere informazioni riservate, che siano poi pubblicate o meno.
Dopo mesi di attesa ed incertezza sulla Brexit che hanno portato molti commentatori britannici e non solo a dubitare del fatto che il premier Theresa May avesse le idee chiare sull’uscita del paese dell’UE, il governo di Londra ha così deciso di dichiarare guerra a chiunque voglia mettere i bastoni fra le ruote in un percorso d’uscita che pare già piuttosto incidentato con i paesi fondatori pronti alla linea dura che sia un monito a chiunque altro punti ad abbandonare la compagnia continentale.
È giunto l’ordine: «silenzio a palazzo». Il governo britannico revisiona l’Official Secrets Act, che ora prevede maggiori pene detentive contro i giornalisti in possesso di documenti ufficiali che contengono informazioni sensibili, anche sulla Brexit
John Cooper, un avvocato specializzato in diritto penale e diritti umani, si è schierato apertamente contro la decisione sostenendo che «riforme simili possono minare alcuni dei principi più importanti di una democrazia aperta». Dura anche la reazione di Jodie Ginsberg, amministratore delegato dell’organizzazione Index on Censorship, che ha dichiarato: «Le modifiche proposte sono spaventose e non hanno cittadinanza in una democrazia, che si basa sull’esistenza di meccanismi che chiedano conto al potere». L’Index on Censorship ha accusato il governo britannico di non aver consultato i giornalisti ed i media prima di pubblicare il documento. E proprio su questo punto si è aperta la guerra tra l’esecutivo, i media e le organizzazioni.
La Law Commission ha infatti dichiarato di aver coinvolto, oltre a servizi segreti, dipartimenti governativi, politici ed avvocati, anche alcuni gruppi nei settori dei media, tra cui Guardian Media, e dei diritti civili come Liberty ed Open Rights Group. Tutti e tre tuttavia hanno attacco il governo di non aver preso in considerazione nessuna delle preoccupazioni da loro avanzate. Jim Killock, direttore esecutivo di Open Rights Group, ha parlato di «un tentativo di criminalizzare il giornalismo ordinario. L’idea sembra essere quella di criminalizzare l’atto di gestire documenti riservate, che impedirebbe al pubblico di conoscere quando il governo sta infrangendo la legge». Killock ha aggiunto: «È del tutto irragionevole equiparare qualsiasi fuga di notizie come un atto di spionaggio». La commissione, che ha aperto le consultazioni fino al 3 aprile, ha affermato che non si tratta di un provvedimento contro i giornalisti: infatti, la riforma includerebbe anche politici e hacker. I portavoce sentiti dai giornali britannici hanno cercato di rassicurare il mondo dei media assicurando la disponibilità della commissione a sentire e valutare nuove proposte.
È passato poco più di un mese dalla copertina dell’Economist “Theresa Maybe” che raccontava di un premier indeciso su tutto. In questo periodo da Downing Street sono arrivati l’annuncio della «clean Brexit» (una pillola «hard» indorata dalla definizione «pulita») e la pubblicazione del Libro Bianco sull’uscita, un documento che però ha scontentato le opposizioni che hanno immediatamente accusato il governo di aver dato ben pochi dettagli sul processo che interesserà la Gran Bretagna e l’Unione Europea per i prossimi due anni almeno. «Dopo sei mesi, ciò che vuole fare il nuovo primo ministro non è ancora chiaro, forse nemmeno a lei», scriveva il settimanale economico puntando il dito contro le rivoluzioni promesse e mai portate avanti dal primo ministro. Ora una riforma è in cantiere: zitti tutti, non disturbate il manovratore. Ma che almeno manovri.