Dai territori alla ribalta nazionale. Infranto il mito dei sindaci, bocciata la riforma costituzionale che avrebbe dovuto ridimensionare il potere delle Regioni, l’Italia scopre il ruolo dei governatori. Dal Nord al Sud, destra e sinistra. C’è il veneto Luca Zaia, leghista, descritto da molti come il perfetto candidato premier del futuro centrodestra. E c’è il ligure Giovanni Toti, di Forza Italia, che passa per il vero garante del dialogo fra il Carroccio e Arcore. Sul fronte opposto, ecco i governatori del Partito Democratico che studiano da sfidanti di Matteo Renzi. Michele Emiliano, in Puglia, ed Enrico Rossi, in Toscana, si accreditano come principali alternative al segretario dem. La sfida dei presidenti di Regione, un po’ locale e un po’ nazionale, è una delle novità recenti. Un ruolo un tempo secondario, si sta trasformando in una tappa fondamentale per conquistare la scena politica nazionale.
La partita è tra gli schieramenti tradizionali, visto che il Movimento 5 Stelle non guida alcuna Regione e non fa parte di nessuna Giunta. Il fronte dei (tre) governatori è al momento l’unica proposta concreta che può esibire il centrodestra. Zaia e Toti, appunto. Insieme a Roberto Maroni, presidente leghista della Lombardia. Dalla campagna contro la riforma costituzionale, i tre hanno iniziato a consultarsi regolarmente su diversi temi di governo. Stop all’immigrazione irregolare, più sicurezza, meno tasse. Un programma completo, insomma, alternativo a quello del centrosinistra. Più volte lo stesso Toti, consigliere politico di Berlusconi, è stato indicato come possibile erede del Cavaliere (ammesso che l’ex premier sia pronto a lasciare la scena). Più defilato Maroni, che da ex leader della Lega è impegnato ad arginare le ambizioni del suo successore, Matteo Salvini, riottoso a ricostruire quell’alleanza di cui i tre governatori sono garanti. È dunque il nome di Zaia, l’unico dei tre arrivato al secondo e ultimo mandato in Veneto, quello che circola con più insistenza per un ruolo futuro di governo.
Zaia, 48 anni, è molto popolare nella sua regione. Nel 2015 ha vinto con uno scarto notevole sulla candidata del Pd Alessandra Moretti, nonostante la rottura con il sindaco di Verona Flavio Tosi. Leghista doc, lo chiamano il Doge e vanta un passato da pr nelle discoteche. Zaia per ora si è chiamato fuori dalla sfida: «Saranno le primarie a decidere il leader del centrodestra – ha detto a Giovanni Minoli su La7 – E io non mi candiderò, la mia priorità è l’autonomia del Veneto». È un fatto, però, che il centrodestra deve pescare nelle Regioni per ricostruire la classe dirigente in vista delle prossime Politiche.
Anche nel centrosinistra le ambizioni di leadership alternative a Renzi si coltivano nelle Regioni. In attesa del congresso, all’interno del Pd sono almeno due i governatori che hanno deciso di candidarsi alla segreteria. L’avversario più temibile è Emiliano, già magistrato e sindaco di Bari. Dopo un’iniziale fase di vicinanza, il presidente della Puglia ha preso le distanze dall’ex premier, tanto che oggi attorno al suo nome si compatta buona parte del fronte antirenziano. Fin dalla sconfitta referendaria, Emiliano ha iniziato a posizionarsi, preparando le truppe in Parlamento e sul territorio. Nel frattempo ha chiesto più volte di anticipare la partita congressuale. Il suo progetto alternativo parte da sinistra. «Dobbiamo essere vicini alle persone – ha spiegato in una recente intervista alla Stampa – difendere chi non conta nulla, dedicarci ai luoghi della sofferenza». In queste settimane gli attacchi a Renzi sono cresciuti di intensità, attirando le infastidite reazioni dei fedelissimi del leader. «La gravità dei danni che Renzi ha provocato al Paese e al Pd sono senza precedenti», ha sostenuto il governatore pugliese in un recente intervento. Eppure, almeno all’inizio, il rapporto tra i due era diverso. «Per me era una speranza straordinaria, io ho investito su di lui moltissimo anche in termini di immagine, fino a quando ho compreso che stava inanellando una serie di errori uno più grave dell’altro e non era possibile influenzare le sue decisioni in nessuna maniera». La vecchia storia dell’uomo solo al comando, il grande errore politico della strategia renziana.
Dalla Puglia alla Toscana, anche il governatore Rossi ha annunciato da tempo di voler sfidare Renzi e correre da segretario. Un’altra alternativa lanciata da sinistra. «Quando si parla di emergenze che vanno affrontate subito, penso alla povertà», ha spiegato in una recente intervista ad Avvenire. Archiviata la stagione dei bonus, serve ripensare la prospettiva politica. Un progetto che tagliando i ponti con gli alleati del Nuovo Centrodestra, ritrovi il dialogo con la sinistra. In comune con Emiliano, il governatore toscano condivide una precedente fase di avvicinamento a Renzi. Anche se la critica al segretario, oggi, resta meno marcata rispetto al collega barese. Intanto i progetti politici di Rossi ed Emiliano sembrano ottenere un riscontro importante tra gli elettori di centrosinistra: qualche giorno fa Nando Pagnoncelli ne ha fotografato la consistenza in un sondaggio pubblicato sul Corriere della Sera. Nel caso di primarie del centrosinistra, oggi Emiliano conquisterebbe il favore del 10% dei votanti, Rossi l’8%. E calcolando i soli elettori di sinistra, i due governatori si attesterebbero, rispettivamente, al 20 e al 15%.
I diretti interessati smentiscono l’esistenza di un “partito dei governatori”, a destra come a sinistra. Ma è difficile non notare l’accresciuta visibilità dei presidenti di Regione. Come non ricordare l’esperienza del Pd Vincenzo De Luca, già sindaco di Salerno, oggi governatore campano. Un altro leader avvicinatosi al renzismo, ma entrato in rotta di collisione con il segretario del suo partito. Poi c’è Nicola Zingaretti. Figura forte del partito, eppure spesso defilato. Il governatore del Lazio gioca la sua partita dietro le quinte ma ha un suo peso specifico tutt’altro che trascurabile, tanto che qualcuno lo inserisce nel novero dei possibili candidati alla segreteria del Pd. Per il momento Zingaretti sembra sfilarsi dalla contesa. «L’obiettivo è concludere il mandato (che scade il prossimo anno, ndr)». Eppure, ha spiegato in una recente intervista a Repubblica, «sicuramente voglio contribuire di più al dibattito nazionale, posso mettere a disposizione un’esperienza politica che ha risollevato la regione Lazio».