Dimenticate la politica, Beppe Grillo è ancora il miglior comico italiano

Dopo anni di assenza dal piccolo schermo, Beppe Grillo ritorna a fare il comico con Grillo vs Grillo, lo spettacolo disponibile su Netflix da venerdì 10 febbraio, con cui il comico genovese dimostra che, tra il politico e il comico, la sua versione migliore è ancora quando fa il secondo

Da venerdì 10 febbraio è online su Netflix “Grillo vs Grillo” e la notizia è che Beppe Grillo è ancora il migliore dei comici italiani mainstream. Rivedere un suo spettacolo sul piccolo schermo, infatti, dopo anni in cui ci siamo abituati a vederlo, attaccarlo e giudicarlo come politico, è una boccata d’ossigeno. Sembra quasi di essere tornati agli anni Novanta, quando Grillo e la sua camicia nera – camicia il cui colore è sempre lo stesso, nero, con buona pace del Foglio che cerca di trovarci echi mussoliniani – faceva il mattatore di mezza Italia e ci faceva ridere tutti di gusto.

«L’onestà ha rovinato questo paese», sferza a un certo punto Grillo dal palco, gridandolo in faccia a un pubblico ragionevolmente composto in gran parte da “cittadini onesti” del 5 Stelle. E la risposta del pubblico Qual è? Quella di vent’anni fa, fragorosa: ride. Ride tanto e di gusto, e ridi pure tu che lo guardi. E il bello è che ridi indipendentemente dal fatto che Grillo come politico parli alla tua pancia o no. Ridi anche se il Movimento 5 Stelle ti fa schifo, se pensi che sia protofascista, se la Raggi ti ha rotto le balle e se Dibba e Di Maio ti sembrano la versione da barzelletta di una coppia di carabinieri. E sai perché ridi? Perché ha talento, ha i tempi comici e la cattiveria giusta per fare ridere. Forse ce lo siamo dimenticato, ma la comicità si basa su questi ingredienti, mica altri..

È per questo che Grillo fa ridere. Per i tempi e per i modi. Non importa se sta rifacendo le sue migliori battute, come quando parla dell’Italia di un tempo, di quando tutti si rubavano addosso e tutto funzionava meglio; e neppure che parli della Genova dei vecchi tempi, di quando il porto era il cuore pulsante della città, di quando i transgender si chiamavano “uomini col belino”, di quando non c’erano i cellulari e per far star tranquilla la mamma le prometteva di tornare a casa con il suo vicino Donato Bilancia. Smette di far ridere soltanto quando si mette a parlare di politica e del suo incontro con Casaleggio. Ma se in quel momento smette di essere divertente è per un motivo soltanto: è lui per primo che si fa serio, perdendo quel tono e quei tempi che lo rendono un comico, ritrovandosi nei panni ridicoli del politico.

Insomma, nonostante in molti critichino la decisione di Netflix, accusata di voler fare i soldi diffondendo un pericoloso comizio di un protofascista, quella risata è ossigeno, come tutte le risate. Anche perché, come tutte le risate, è anarchica, se ne fotte se hai votato Renzi o Berlusconi, se ne frega se eri per il Sì o per il No al referendum. Si ride con la pancia, non con il cervello. Perché la comicità se ne frega, di tutto, anche della logica. Non ha regole, né morale, figurarsi se ha orientamento politico.

Forse c’è un altro punto che gioca a favore di Grillo: il fatto che intorno a lui, nel panorama italiano dela comicità, lo scenario sia mediocre, anzi, peggio desolante. Quello che fino alla fine degli anni Novanta – grazie soprattutto alla banda Guzzanti, ma anche al gruppo di comici che si era formato intorno alla Gialappa’s – era un panorama se non frizzante quanto meno interessante, negli ultimi quindici anni è diventato un deserto arido, di quelli coi cactus verdi, le balle di fieno che rotolano e il vento che, fischiando, forma mulinelli di sabbia gialla.

Difficile dire esattamente come e quando, eppure è avvenuto. E ora, nonostante alcune oasi felici resistano ancora – un Checco Zalone al cinema, per esempio, o un Giorgio Montanini in televisione e in teatro – tutto intorno sembra non essere rimasto più nulla: dal tramonto del buon Luttazzi al patetico decadimento dello storico bacino di Zelig, ormai prosciugato e ridotto a un ritrovo del dopolavoro ferroviario, fino a Maurizio Crozza, da anni finito a fare poco altro che il lavoro di un giullare di corte che liscia il pelo ai politici dei salotti televisivi.

Anche a Sanremo, sul palco dell’Ariston, che da sempre è un palco forte per i comici che vengono ospitati, quest’anno è stato una debacle su tutti i fronti. Sia per Crozza, attaccato per il compenso, sia per l’altra faccia dell’umorismo nazionalpopolare italiano, ovvero il terzetto composto da Brignano, Insinna e Cirilli, i quali, detta di quasi tutti i commentatori, hanno infilato la peggior esibizione comica di sempre all’Ariston.

Certo, si dirà, ‘sti tre son sempre stati il paracarro della comicità italiana, il cugino scemo dell’umorismo vero, gente che da anni impesta il panorama con battute di infimo livello, la peggiore reincarnazione possibile del già infimo Bagaglino. Però, senza ridere e senza scherzare, sono ancora loro tre lì a Sanremo; esattamente come al cinema quest’anno ci siamo ritrovati ancora i Boldi, i De Sica, i Brignano, gli Izzo, i Salvi e tutto il cucuzzaro della risata nazional popolare. Tutta gente che non avrà fondato partiti politici, è vero, ma che è lì a provare a farci ridere ricorrendo al peggior repertorio del peggiore clown da crociera da più di vent’anni, tra le balle di fieno che rotolano al vento.

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