Un buco di quasi 2 milioni di euro. La tabella con i conti della formazione professionale sta girando sulle scrivanie dei sindaci dell’area di Milano. La creazione dell’unica grande Afol (Agenzia formazione orientamento lavoro) metropolitana, con la fusione di sei agenzie, avrebbe dovuto migliorare il funzionamento dei centri dipendenti dalla vecchia provincia, che non hanno mai brillato per efficienza. Un unico interlocutore che offre servizi di collocamento, orientamento e formazione per l’intera area milanese, partecipato dalla nuova città metropolitana e dai comuni, da Arese a Vimodrone, Milano compreso. Con un bacino d’utenza di quasi 2,5 milioni di abitanti. Solo nei centri per l’impiego dell’area, nel 2016 sono passate quasi 95mila persone. Ma ora che alla fusione manca l’ultimo tassello con l’inglobamento dei comuni di Milano Sud, i conti non tornano. E qualche sindaco, davanti ai numeri col segno meno, ci sta ripensando.
L’Afol metropolitana continua a costare troppo rispetto a quello che incassa. Il problema sono soprattutto le quote che non arrivano dalla Città metropolitana, a sua volta alle prese con un bilancio risicato e un debito enorme ereditato dal passato. L’ex provincia di Milano, che detiene la maggioranza relativa di Afol, sconta dalla nascita i tagli programmati agli enti locali da Roma e anche quest’anno rischia di chiudere il bilancio in rosso (servirebbero 50 milioni almeno).
Solo nei dieci centri di formazione pubblici, dove si formano fotografi, idraulici, parrucchieri, cuochi, nel 2016 si sono accumulati 2 milioni di debiti. Tanto da far dubitare sul futuro dell’agenzia, e mettere i sindacati in stato di agitazione. Dopo la rottura delle relazioni con le sigle di categoria, il 22 febbraio si è tenuto un incontro tra i dirigenti di Afol e i sindacati confederali. Da Afol hanno assicurato che dal punto di vista economico problemi non ce ne sono, perché con l’ingresso dell’agenzia di Milano Sud il bilancio crescerebbe. Ma i sindacati non sono così tranquilli. Dietro l’angolo, si prospetta una ristrutturazione aziendale, senza stabilizzazioni dei precari e con i mancati rinnovi dei contratti in scadenza dei docenti. Alcuni dei quali (circa una settantina), a inizio anno, per la prima volta, hanno già avuto il rinnovo di un solo semestre.
Solo nei dieci centri di formazione pubblici, dove si formano fotografi, idraulici, parrucchieri, cuochi, nel 2016 si sono accumulati 2 milioni di debiti. Tanto da far dubitare sul futuro dell’agenzia, e mettere i sindacati in stato di agitazione
Dopo gli scandali che avevano investito l’Afol Milano, con l’allontanamento dell’ex direttore generale, gli scontri con i revisori dei conti e le indagini per truffa aggravata e falso, la creazione dell’azienda speciale unica avrebbe dovuto razionalizzare i costi e apportare un restyling alle politiche del lavoro dell’area milanese. Il ministro del Lavoro Giuliano Poletti, in visita in una delle strutture, l’aveva definita «una delle eccellenze italiane nel campo delle politiche del lavoro». L’Afol, aveva detto, «sta sviluppando meglio che altrove tutti i servizi per il lavoro».
I numeri però non brillano rispetto ai vecchi centri per l’impiego. Le assunzioni sono state meno di un quarto (23%) delle richieste. E nel programma europeo Garanzia giovani, sono stati presi in carico solo 976 ragazzi, di cui 599 avviati verso stage o esperienze lavorative. Anche il primato vantato da Afol di essere la prima agenzia per prese in carico nella Dote unica lavoro in Lombardia da solo non basta.
L’Afol è di partecipata per il 40% dalla città metropolitana, per il 30% dal Comune di Milano, e gli altri comuni poi si spartiscono il resto. Ogni comune versa 75 centesimi per abitante. Per Milano la quota è già di 50 centesimi pro capite (tra il 2015 e il 2016 le risorse impegnate sono state di 1,4 milioni). Le altre fonti di finanziamento arrivano dal ministero, dai fondi europei, e dalla Regione Lombardia, soprattutto tramite la Dote unica lavoro (che prevede pacchetti personalizzati per disoccupati e inoccupati). A novembre 2016, il consiglio di amministrazione di Afol, davanti alle mancate garanzie sull’equilibrio economico della formazione professionale, aveva chiesto per il 2017 alla città metropolitana almeno 1,4 milioni di euro. Ma dalla città metropolitana non si riescono a rispettare i trasferimenti previsti dall’accordo di servizio. E i soldi in cassa non arrivano. Tanto che per pagare gli stipendi Afol è dovuta ricorrere a un prestito bancario.
La creazione dell’azienda speciale unica avrebbe dovuto razionalizzare i costi e apportare un restyling alle politiche del lavoro dell’area milanese. Il ministro del Lavoro Giuliano Poletti, in visita in una delle strutture, l’aveva definita «una delle eccellenze italiane nel campo delle politiche del lavoro»
La voragine è rappresentata soprattutto dai centri di formazione professionale (Cfp), dove lavora gran parte degli oltre 400 dipendenti. Solo quello di Sesto San Giovanni, specializzato nella meccanica e nella ristorazione, ha un buco di 400mila euro. Sono centri finanziati tramite la Dote scuola della Regione Lombardia, che però da sola non basta. I soldi dovrebbero arrivare anche dai corsi a pagamento e dagli accordi di servizio con Città metropolitana.
Per rimettere in sesto i conti e tagliare le spese, il Pd milanese aveva annunciato su Afol un cambio di direzione. Nel 2015, alla presidenza viene nominato Mario Donno, giudice della Corte di conti in pensione, senza particolari competenze nelle politiche del lavoro. Ma il vero deus ex machina resta il direttore generale Giuseppe Zingale, esponente di Forza Italia. A distanza di due anni, però, nonostante qualche taglio qua e là, Afol sembra ancora un carrozzone che fa acqua da tutte le parti.
I dipendenti sono oltre 400 (alcuni sono dipendenti della ex provincia distaccati), di cui solo 184 nell’area lavoro. Per un costo di oltre 10 milioni di euro solo per il personale. Da previsione, nel 2016 l’Afol avrebbe dovuto incassare 8,6 milioni dalla partecipazione a bandi pubblici. Ma su 31 progetti presentati, solo 17 sono stati finanziati con circa 2,2 milioni di euro. Nei dieci centri di formazione professionale, solo il costo del personale ammonta a oltre 7,5 milioni di euro. A cui vanno aggiunti 4,3 milioni di costi per materiale didattico, utenze e manutenzioni.
«È a rischio la sorte di Afol, dei lavoratori, ma anche la sorte dei servizi che eroga», dice Antimo De Col, della Fp Cgil milanese. «Sono servizi che hanno anche un valore sociale enorme. I centri di formazione professionale offrono anche un’alternativa al disagio a molti giovani». Ma, aggiunge, «la formazione senza personale formativo non si fa. Se si riduce il personale si riduce anche il servizio. Ci vuole uno sforzo maggiore in termini finanziari da parte di Regione, città metropolitana e comune».
La voragine è rappresentata soprattutto dai centri di formazione professionale, dove lavora gran parte degli oltre 400 dipendenti. Solo quello di Sesto San Giovanni ha un buco di 400mila euro