Gli expat cercano la felicità nel posto sbagliato: devono andare in Indonesia

Si lamentano di Londra e Parigi, soffrono a Berlino e sentono mancanza dell’aria di casa. Si pentono di essere partiti, ma non riescono ad ammetterlo. Perché hanno sbagliato destinazione, visto che i più felici sono a Giacarta e a Lagos

Ci sono giovani che vanno all’estero per essere più felici. Per trovare lavoro, per realizzarsi, per fare una famiglia. Molti di questi, però, rimangono delusi: non legano con nessuno, sputano sangue nei bar di capitali nordiche per quattro sterline, stentano con la lingua da imparare e, alla sera, rimpiangono le calde spiagge di casa. Il dubbio, allora, è che abbiano sbagliato qualcosa. Ma cosa?

Semplice: la destinazione. Per essere felici, i giovani non devono andare né in Inghilterra e nemmeno in Francia. Un pochino in Germania, forse. Ma di sicuro, in Indonesia. O in Nigeria, se proprio vogliono. Oppure in Israele.

Lo dice una ricerca sulla felicità tra i giovani condotta della Varkey Foundation, ripresa dal World Economic Forum: i giovani più felici si trovano in gran parte nei Paesi in via di sviluppo, e non certo nella vecchia Europa. Addirittura, l’Italia sarebbe anche messa un filo meglio rispetto a Francia e Gran Bretagna (ma come, e gli expat? Mentono tutti?) e pochissimo sotto la Germania. Usa e Canada stanno meglio, e perfino la Russia.

I parametri per misurare la felicità, come sempre, sono piuttosto scivolosi. Gli studiosi hanno chiesto a 20mila ragazzi tra i 15 e i 21 anni provenienti da 20 diversi Paesi se fossero contenti o no, e hanno aggiunto altre domande su diversi temi, tra cui le aspettative lavorative, la possibilità di migliorare le proprie condizioni, di sentirsi più realizzati a livello personale. Il futuro, a quanto pare, non è europeo.

Sorprendono, però, Corea del Sud e Giappone. La prima, esaltata per la sua natura competitiva e innovativa, paga il conto di un ciclo di istruzione iper-selettiva e distruttiva (meno del 30% si dice felice), mentre il Giappone mostra i limiti di un modello culturale che non concede nessuna credibilità ai giovani (e che non ha nessuna intenzione di cambiare). Al loro confronto, perfino i giovani turchi (nulla a che vedere con i mazziniani ottomani di fine ottocento) si sentono meglio, pur vivendo tra bombe-epurazioni-limitazioni alla libertà di stampa.

Per cui il giovane expat immusonito adesso si metta il cuore in pace. Non è il mondo che è contro di lui, è solo lui che è andato nella direzione sbagliata. Finché è ancora in tempo, riapra le valigie, le riempia di magliette e ciabatte e prenda il primo volo per Giacarta. O per Lagos, se ne hanno davvero il coraggio.

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