143mila: tanti sarebbero gli stagisti italiani secondo l’articolone (due pagine più richiamo in prima) sul Corriere della Sera di ieri. Non solo, ma il grafico sottostante basato su dati “fonte: Ministero del Lavoro” dimostrerebbe un aumento “anomalo” del 116% in cinque anni.
L’aumento c’è stato, è vero. Non si può dire ancora se di quell’entità, ma c’è stato. Eppure per comprendere a fondo un fenomeno, specialmente così importante perché legato al mondo del lavoro e all’occupazione giovanile (temi fondamentali!), bisognerebbe tracciare sempre un panorama chiaro tenendo conto di due elementi: il quadro normativo e i dati numerici più affidabili.
Che dati ufficiali abbiamo a disposizione dunque per gli stage? Non molti e non omogenei, come attraverso la Repubblica degli Stagisti io denuncio da anni. Ma qualche dato c’è. In particolare c’è il rapporto sulle comunicazioni obbligatorie, pubblicato ogni anno dal ministero del Lavoro, che riporta il numero di attivazioni di tirocini extracurriculari – cioè svolti una volta finiti gli studi, monitorati appunto attraverso le comunicazioni obbligatorie – in un dato anno.
L’ultimo dato utile è 348mila, relativo agli stage attivati nel 2015. 348mila, non 143mila come si potrebbe pensare leggendo distrattamente l’articolo. Anzi, in realtà il numero completo si avvicina verosimilmente più al mezzo milione, perché a quelli extracurriculari andrebbero per completezza aggiunti anche quelli curriculari svolti all’interno dei percorsi di studio (ahimé, completamente ignorati nell’articolo).
Ma allora a quali dati fa riferimento il Corriere? Il ministero risponde di non aver fornito dati, e che l’autore dell’articolo (Dario Di Vico) li ha ripresi dal sito dell’Anpal compiendo le rielaborazioni per conto suo: «Al momento non abbiamo nessun commento in merito». L’unica spiegazione che posso darmi è che il numero citato sia riferito all’hic et nunc, cioè la fotografia di un dato giorno (forse il 14 febbraio 2017?). Ma questa deduzione renderebbe incomprensibile l’esercizio del confronto proposto dall’articolo: «nel giugno 2015 eravamo fermi infatti a 114mila ma se torniamo qualche anno addietro (al 2012) gli stage arrivavano appena a quota 63mila». Ma se anche fornire il numero di stage aperti in un solo determinato giorno (14 febbraio) avesse senso, ne ha confrontarlo con un giorno diverso di un altro anno (peraltro giorno generico: che vuol dire giugno 2015? Giugno quando? A questo punto, l’unico confronto sensato sarebbe stato sul 14 febbraio del 2015), o con un altro anno (2012… quando?)?. O forse i numeri provengono , senza che sia esplicitato, dal Cico, il campione integrato delle comunicazioni obbligatorie?
Quale che sia la risposta, il fatto è che gli stage stanno aumentando. L’impennata è indicata nell’articolo con una percentuale: 116% negli ultimi cinque anni. Difficile capirlo dai numeri riportati nel grafico (che in effetti sembrano un po’ mele con pere…), ma si tratta di un dato abbastanza coerente con gli ultimi Rapporti annuali sulle comunicazioni obbligatorie, che indicavano 186mila tirocini curriculari attivati nel 2012, 205mila nel 2013, 227mila nel 2014 e appunto i 348mila del 2015. Dunque secondo questi Rapporti il numero degli stage extracurriculari è lievitato dell’87% in quattro anni; il Corriere, portando appunto a sostegno i numeri di cui sopra, indica che tale percentuale sarebbe aumentata ulteriormente negli ultimi mesi, arrivando a sfondare il tetto del raddoppio e a toccare quota +116%. Se ciò verrà confermato ufficialmente dal ministero del Lavoro, lo si vedrà a giugno nel prossimo Rapporto.
E i commenti? L’articolo riporta le dichiarazioni di Maurizio Del Conte, presidente dell’Anpal, che invita – di fronte a questo aumento “ingiustificato” – a non demonizzare gli stage, affermando che non servirebbero nuove norme più rigide perché “le vigenti già lo sono, in teoria”. Quasi dieci anni di lavoro sul tema mi hanno invece dimostrato che una corretta legislazione in materia è assolutamente fondamentale per prevenire gli abusi, e che l’attuale assetto non è affatto sufficiente: si pensi soltanto che per gli stage curriculari (svolti durante un periodo di studio, e di competenza statale), al momento la legge è per molti versi quasi inapplicabile (!), e che invece per gli extracurriculari l’infausta competenza regionale ha prodotto ben 21 regolamentazioni differenti. Ventuno. Sic.
Francesco Seghezzi, ricercatore all’Adapt del professore Michele Tiraboschi – consulente del ministro del Lavoro Maurizio Sacconi nei governi Berlusconi -, ricorda invece la contrarietà della sua associazione al rimborso spese. È un discorso lungo che ci vede su fronti opposti da anni; basti qui ribadire quanto a mio avviso l’obbligo, oramai sancito dalle 21 leggi regionali, a erogare una congrua indennità agli stagisti sia profondamente giusto. Per due motivi principali: innanzitutto, se lo stage da una parte è necessario all’inserimento professionale, dall’altra genera ulteriori spese oltre a quelle dello studio. Il rimborso spese consente a tutti di accedere alle opportunità, e non solo a chi ha alle spalle genitori in grado di prolungare il mantenimento dei figli. In secondo luogo, lo stage deve essere un momento “formativo” dell’azienda nei confronti del giovane, cioè un momento in cui l’azienda investe tempo e risorse nella formazione di un ragazzo. L’esperienza empirica dimostra che maggiore è l’investimento, maggiore sarà la qualità della formazione e, successivamente, la volontà di trattenere il giovane con un contratto di lavoro.
Per finire c’è un punto che il Corriere, in due pagine, non ha purtroppo trovato il modo di citare. Oggi, lunedì 20 febbraio, è la giornata del “Global Intern Strike“, promossa dalla rete internazionale di organizzazioni che difendono i diritti degli stagisti (tra cui ovviamente anche la Repubblica degli Stagisti per l’Italia). Sembra poco, ma non lo è: dimostra quanto la problematica da anni sia seguita in tutto il mondo da persone e organizzazioni che la studiano e monitorano, e che lottano per sostenere soluzioni vere e attuabili.