È probabilmente presto per parlare di un passo indietro, ma senz’altro negli ultimi giorni dalle parti di Intesa Sanpaolo i toni si sono fatti più cauti rispetto all’ipotesi di una scalata a Generali. Da ultimo è stato il presidente del gruppo con sede a Torino, Gian Maria Gros-Pietro, a dire che al momento si parla solo di un caso di studio. «Non c’e’ un’operazione Intesa-Generali – ha dichiarato a Radiocor il 7 febbraio -: c’e’ una valutazione da parte di Intesa Sanpaolo che riguarda una serie di possibili evoluzioni compresa un’operazione che possa riguardare Generali e che tuttavia andrebbe poi valutata nei dettagli qualora la si ritenesse interessante. Per ora, come e’ stato detto, c’è soltanto un case study».
Questa prudenza, in ogni caso, segue una serie di caveat che negli scorsi giorni hanno distribuito gli analisti delle varie banche e agenzie di rating. Prendiamo il report di Bernstein del 30 gennaio: «Vediamo tre motivi potenziali per l’acquisizione di Generali – si legge -: comprare un asset sottovalutato; comprare per un abbinamento strategico e le risultanti sinergie finanziarie; comprare per ragioni “politiche”. Seguendo queste piste, non troviamo alcun buon razionale perché Intesa compri Generali».
Credit Suisse il 31 gennaio ha parlato invece di una “inversione a U” nella traiettoria della banca torino-milanese. «La strategia di Intesa Sanpaolo si è era concentrata sul business core dell’asset management, mentre finora non ci sono state grandi acquisizioni di assicuratori». Vengono identificati tre possibili fondamenti logici alla base dell’operazione: diversificazione geografica e di business; creazione di un operatore enorme nel business dell’asset management e diluzione del business bancario e del peso dei crediti deteriorati. Ma subito arrivano cinque potenziali lati negativi. «Alti rischi di esecuzione; inconvenienti sul lato regolatorio; incertezza legata alla durata del “Danish compromise” (per cui gli investimenti assicurativi vengono trattati come attivi ponderati per il rischio anziché dedotti dal capitale, ndr); potenziali problemi di antistrust in Italia; prezzi e sinergie in contrasto con la creazione di valore», perché «ci sarebbe bisogno di 1,19 miliardi di sinergie post-tasse per vedere l’operazione redditizia come con l’attuale rapporto di concambio».
«Vediamo tre motivi potenziali per l’acquisizione di Generali: comprare un asset sottovalutato; comprare per un abbinamento strategico e le risultanti sinergie finanziarie; comprare per ragioni “politiche”. Seguendo queste piste, non troviamo alcun buon razionale perché Intesa compri Generali»
Secondo il Barclays banking team (30 gennaio), ci sono «ostacoli regolatori e rischi di dividenti da un‘offerta, così come potenzialmente di requisiti Cet1 (patrimoniali, ndr) più alti». Per Société Générale, il prezzo della azione di Intesa (sceso nei giorni successivi all’annuncio di un interesse verso Generali), «ha cominciato a riflettere il rischio di uno svuotamento di capitale da un’operazione cash con Generali e le successive limitate capacità (sul frotne dei) dividendi. Inoltre, le passate fusioni senza successo di tipo “bancassurance” (partnership o organizzazione integrata tra una banca e una compagnia assicurativa, ndr) lasciano il mercato non convinto dal razionale strategico di un collegamento tra Intesa e Generali». Tuttavia la banca francese vede, nonostante i rischi di esecuzione, opportunità nel lungo termine per Intesa Sanpaolo, cioè la diversificazione del busines, sinergie di ricavi e costi potenziali e accesso a nuovi mercati.
Exane Bnp Paribas in precedenza (27 gennaio) si era sbilanciata sui possibili risparmi: «La logica industriale è discutibile ma la matematica funziona (…). Stimiamo per questo che le sinergie di costo ammontino a solo 300 milioni di euro confinati ai segmenti AM (asset management)/asset gathering e bancassurance». Molto più positiva si era invece mostrata Deutsche Bank (27 gennaio): «Questa potrebbe sembrare una mossa difensiva per preservare la proprietà italiana di Generali, ma può essere considerata positiva, perché crea valore per gli azionisti di Intesa Sanpaolo e non compromette la strategia di Intesa (focus sul wealth management, con una forte politica di dividendi). Secondo la banca tedesca, lo scenario più probabile è quello di un prezzo pagato al 60% carta contro carta e al 40% cash; applicando un premio del 10% al prezzo di mercato di Generali; e uno smaltimento di 10 miliardi di asset». Si tratterebbe quindi del quadro per cui parte delle operazioni di Generali potrebbero andare all’assicurazione tedesca Allianz.
Proprio su questo scenario si concentra l’analisi di Berenber (27 gennaio): «Generali non sembra essere disponibile a essere acquisita da Intesa e poi separata in vari pezzi. E chi potrebbe biasimarla?». Esplicita il concetto Bnp Paribas credit (26 gennaio): «Crediamo che un takeover ostile da un’istituzione bancaria sarebbe gravemente deleteria per Generali (…) e risulterebbe in un profilo di rischio più alto per i detentori di obbligazioni subordinate». Il perché si legge in un report di Bofa-Merrill Lynch: «Se Intesa dovesse comprare Generali, il caso di investimento per i detentori di obbligazioni di Generali sarebbe dominato dal rischio italiano (…) La principale trasmissione di rischio italiano è attraverso i suoi 70 miliardi di euro di Btp in portafoglio, che dà luogo a una correlazione ad alto spread tra i Cds (credit default swap, ndr) di Generali, delle banche italiane e sovrani (dello Stato, ndr). Se la congettura si rivelerà corretta, come parte di Intesa, (Generali) sarebbe molto più vicina all’epicentro dei problemi bancari italiani, specialmente se le sue operazioni straniere fossero vendute».
«Generali non sembra essere disponibile a essere acquisita da Intesa e poi separata in vari pezzi. E chi potrebbe biasimarla?»
Jp Morgan, in una delle analisi, stima che i risparmi di costi sarebbero di 372 milioni di euro all’anno e sarebbero interamente realizzati in Italia. È una delle letture più positive: «La compravendita di Generali potrebbe avere senso strategico e finanziario: se Intesa Sanpaolo compra i business di Generali in Italia e Germania, incluso l’asset management per 16 miliardi di euro, il Roi (ritorno sull’investimento, ndr) raggiungerebbe l’8% già nelle stime sul 2019, con nessuna sinergia di ricavi e dei presupposti conservativi sui risparmi di costo».
Decisamente più fredda Morgan Stanley: «È probabile che l’unione metta a rischio il dividendo (di Intesa). Intesa è stata una delle scelte top in Europa a causa del suo modello bancario semplice, per la qualità del suo franchise e la sua strategia di prevedibile sulla resa dei dividendi. Ogni grande fusione avrebbe dei significativi rischi di esecuzione, a nostro modo di vedere, riducendo probabilmente la visibilità sul tasso di pagamento e quindi possibilmente conducendo a un de-rating».
La conclusione di Banca Akros è chiara. «Se lo scopo di Intesa è quello di difendere un asset italiano, crediamo ancora che la via più semplice possa essere l’acquisizione del controllo in Mediobanca, provando a creare in seguito un patto di sindacato su più del 20% del capitale di Generali». È un’alternativa che, peraltro, aveva suggerito già il 24 gennaio un report di Equita.