Negli ultimi vent’anni ci sono stati generi che sembrano aver fagocitato quasi tutte le attenzioni del pubblico, e di conseguenza dell’industria dell’intrattenimento, su ogni medium possibile: dal cinema alla letteratura, dai fumetti alle serie televisive. Dovunque sembrano vincere a mani basse il fantasy, la fantascienza e, ancora imbattibile, il genere principe tra tutti, almeno secondo le vendite: il poliziesco, in tutte le sue declinazioni, dal legal thriller al noir classico.
Eppure, mentre la supremazia dei generi dell’intrigo sembra incontrastabile, c’è un genere storico, il Western, che, mentre il grande pubblico pareva averlo dimenticato e relegato alla passione di nonni, padri o qualche solitario nerd, si è reinventato grazie al meticciato con altri generi, è uscito dal nascondiglio dovesi era cacciato per resistere ed è tornato a prendersi ciò che gli spetta.
Da quel capolavoro di The Hateful Eight, uno dei migliori film del 2016 e probabilmente tra i più belli di Quentin Tarantino, in cui il regista americano costruisce un perfetto whodonit incorniciato in uno strepitoso immaginario western, fino alla serie televisiva rivelazione dell’anno, sempre il 2016, ovvero Westworld, che innesta su quello stesso immaginario, popolato di pistoleri e banditi, la fantascienza più visionaria di Michael Crichton.
Sempre rimanendo al cinema e al 2016, c’è da citare anche il remake di un vecchio classico del West come I magnifici sette, con cui Antoine Fuqua, il regista, rinnova alla grande quello che è il più famoso standard del genere inserendo dei meccanismi narrativi tipicamente da film d’azione. O ancora, per andare sulla letteratura, c’è da citare la riedizione di una vera pietra miliare del genere, Warlock, il romanzo di Oakley Hall candidato al premio Pulitzer e pubblicato alla fine del 2016 da Sur nella sua collana americana BigSur, un libro che è in realtà del 1958, ma che funziona ancora alla grandissima.
In questo contesto arriva in libreria un’altra perla, anzi, più che arriva ritorna, perché di Gus ne erano già usciti tre volumi (Natalie, Bel bandito e Ernest) prima che il disegnatore francese Christoph Blain si decidesse a sfornare quest’ultima sciccheria, tutta o quasi concentrata su Clem, uno degli altri protagonisti della serie oltre al nasuto Gus, e a portare a maturazione il proprio immaginario narrativo. Quel mondo che prima era molto più frammentario, in questo ultimo Happy Clem si concentra, si approfondisce e si fa più complesso.
Che cos’è successo? A differenza degli altri tre volumi, questo contiene soltanto due storie, di cui una, Happy Gus, dura il tempo di uno di quei cortometraggi che Pixar si è abituata a mettere all’inizio di ogni nuovo film. E l’altra? L’altra dà il titolo al volume, si intitola Happy Clem ed è una storia che non c’entra nulla con nessun western che abbiate mai trovato in un fumetto o in un film, eppure, nello stesso tempo, c’entra con tutto. L’operazione di reinvenzione del western portata avanti da Blain è di quelle ironiche, almeno all’apparenza, le cui basi si poggiano su personaggi goffi e rocamboleschi, assolutamente poco credibili nelle vesti di temibili banditi, eppure indimenticabili per i lettori.
Insomma, tra banditi innamorati o che tengono famiglia, uomini cialtroni e donne temerarie, avventurosi amplessi tra la polvere del deserto e fughe precipitose tra nuvole di pallottole, Blain riprende un genere che per molti è comincia e finisce in Tex e lo riempie di freschezza, umorismo, sesso, senza che l’ingranaggio risulti per niente ridicolo. Anzi, è proprio una goduria.