È partita la caccia al voto giovanile. Un bacino elettorale potenzialmente enorme, troppo spesso sottovalutato. Matteo Renzi ha inseguito a lungo – e nella prima fase del suo governo è anche riuscito a intercettare – il favore delle nuove generazioni. Adesso è la volta dei Cinque Stelle. Poche settimane fa il deputato grillino Danilo Toninelli ha depositato alla Camera una proposta di legge costituzionale per estendere il diritto di voto ai sedicenni. Un’ipotesi che altrove è già realtà. «Il voto ai sedicenni è previsto in diverse forme in diversi Paesi – si legge nel documento – tra cui anche alcuni europei: in Argentina, in Brasile, in Ecuador, a Cuba, in Austria, in Germania in diversi lander». Per i Cinque Stelle il tema non è nuovo. Già un anno fa Beppe Grillo aveva lanciato l’idea dal suo blog. «I 16 e i 17enni in Italia sono circa un milione e centomila, se potessero votare pareggerebbero gli elettori cosiddetti anziani sopra i 65 anni. Sarebbe un più corretto equilibrio generazionale».
Iniziativa lodevole, quella dei Cinque stelle. E tutt’altro che disinteressata. Il voto giovanile rischia di essere decisivo per vincere le elezioni. Stando ai sondaggi, oggi la maggior parte di quelle preferenze andrebbe proprio al movimento di Grillo. «Se si votasse oggi il Movimento Cinque Stelle risulterebbe, con circa il 40 per cento, la lista più votata tra chi ha meno di 45 anni», racconta il direttore dell’Istituto Demopolis Pietro Vento. I dati che emergono dal barometro politico dell’Istituto sorprendono fino a un certo punto. Salvo qualche eccezione, i Millenials puniscono i partiti che hanno già avuto esperienze di governo. Oltre ai Cinque Stelle, «il voto dei giovani si indirizza maggiormente verso la Lega e i partiti di Sinistra» continua Vento. Mentre il Partito democratico può contare su un elettorato sempre più anziano. Tra le nuove generazioni, il consenso del Pd è intorno al 15 per cento. «Ma in questa fascia d’età anche Forza Italia dimezza il proprio consenso».
«Se si votasse oggi il Movimento Cinque Stelle risulterebbe, con circa il 40 per cento, la lista più votata tra chi ha meno di 45 anni». Il Partito democratico? Tra le nuove generazioni il consenso è attorno al 15 per cento.
«Il voto delle nuove generazioni è più fluido e meno prevedibile». Alessandro Rosina, docente universitario di demografia e statistica, coordinatore del Rapporto giovani, conosce bene l’argomento. «I giovani non sono guidati dal senso di appartenenza degli elettori 50 e 60enni, che hanno formato le proprie idee quando ancora esistevano forti ideologie». E come si orientano? «Dipende dall’offerta politica. Da chi sa cogliere le loro insoddisfazione, ma anche da chi è più credibile nella sua proposta di cambiamento. Quello che attira i giovani è un voto in grado di fare la differenza. E se non c’è un’offerta adeguata, non sono interessati a votare». I sondaggi indicano i Cinque Stelle come punto di riferimento principale. Almeno in partenza, i grillini sembrano in grado di conquistare l’interesse delle nuove generazioni. «I Cinque Stelle hanno alcuni vantaggi rispetto agli altri – insiste Rosina – Non sono mai stati al governo, non sono responsabili dell’attuale situazione. Usano i nuovi media, hanno un linguaggio più incisivo». E poi c’è un’evidente questione anagrafica. «Al di là di Beppe Grillo, i principali esponenti grillini sono molto vicini agli elettori più giovani, almeno dal punto di vista generazionale».
Se i giovani guardano con interesse al Movimento di Grillo, il Pd di Matteo Renzi non sembra più rappresentare un’opzione convincente. L’ex premier non entusiasma le nuove generazioni. E dire che fino ai primi mesi della sua esperienza a Palazzo Chigi i millenials erano proprio uno dei suoi principali bacini elettorali. «Renzi si presentava come un leader giovane, rappresentava una forte discontinuità con il passato, dimostrava di volere cambiare il Paese con un piglio decisionista», racconta Rosina. Una volta al governo, però, il consenso giovanile ha iniziato a erodersi. Le aspettative che si sono create, almeno tra i più giovani, non hanno trovato riscontro nelle politiche dell’esecutivo. I giovani che avevano contribuito alla grande vittoria delle Europee nel 2014, lo scorso dicembre hanno voltato le spalle al premier. E hanno finito per giocare un ruolo importante nella sconfitta al referendum costituzionale di dicembre. Molti non sono andati alle urne per mandare un messaggio al governo. «Ma altri non si sono riconosciuti in un cambiamento calato dall’alto, senza alcun coinvolgimento» spiega Rosina. «Perché i giovani devono sentirsi parte attiva dei processi di cambiamento. Hanno il timore di essere usati dalla politica, e quando fiutano il rischio si tengono a distanza».
Al referendum cosituzionale molti giovani non si sono riconosciuti in un cambiamento calato dall’alto, senza alcun coinvolgimento. «Perché le nuove generazioni devono sentirsi parte attiva dei processi di cambiamento. Hanno il timore di essere usate dalla politica, e quando fiutano il rischio si tengono a distanza»
Ma le nuove generazioni non sono tutte uguali. Analizzando sondaggi e indicazioni di voto, è impossibile non notare alcune differenze. Tra gli under 25 la tendenza all’astensione è molto forte. Considerata questa fascia d’età, «oggi si recherebbe alle urne per le Politiche meno di un elettore su due» spiega il direttore di Demopolis Pietro Vento. I più giovani restano fuori dal dibattito politico, non se ne interessano. Le cose cambiano quando si esce dalla scuola e dall’università. Qui spesso subentrano rabbia e sfiducia. «È un dato strettamente legato al tema del lavoro. Tanti giovani si accorgono che gli studi fatti non sono serviti a molto. Due giovani su tre pensano che il loro futuro sarà economicamente peggiore rispetto ai propri genitori». Sentimenti che incidono inevitabilmente sulle scelte politiche.
Eppure sbaglia chi crede che il disincanto si traduca necessariamente in una scelta anti-sistema. Anzi. Se la fiducia nei partiti politici è quasi nulla, le ricerche dell’Osservatorio Demopolis sulle nuove generazioni mostrano inediti e significativi dati nelle dinamiche valoriali dei più giovani. La fiducia rispetto alle organizzazioni di volontariato arriva al 65 per cento. Tocca il 60 per cento per quanto riguarda le forze dell’ordine e va oltre il 50 per cento relativamente alla figura del presidente della Repubblica. Nel caso di Papa Francesco, poi, il gradimento supera persino il 70 per cento. La fiducia nei partiti politici? Resta ferma al 3 per cento.