L’Olanda resta liberale, ma niente sarà più come prima

Rutte vince le elezioni perdendo consensi: il primo ministro ha staccato nettamente la destra di Wilders, che però è salita al secondo posto. Balzo dei verdi e dei cristiani tradizionalisti. E i laburisti rischiano di scomparire

Se le elezioni parlamentari olandesi di ieri passeranno alla storia, è perché il partito liberal-democratico del premier uscente Mark Rutte ha fermato l’avanzata del partito nazionalista di Geert Wilders, l’alleato di Marine Le Pen e (potenzialmente) di Donald Trump. E questo è stato, dopo una campagna elettorale giocata sulla divisione fra gli amici e i nemici dei Paesi Bassi, che ha attirato una grande attenzione da parte della stampa internazionale e ha portato alle urne più del 73% degli aventi diritto. Prima il dibattito sull’Islam. Poi quello sulla Turchia di Erdogan. Alla fine il Vvd si è confermato la prima forza politica della Camera bassa: il partito di Rutte ha raccolto circa il 21% dei voti, 33 seggi sui 150 in palio. Il Pvv di Wilders è invece diventato la seconda, circa il 13% con 20 seggi. Per averne l’ufficialità occorrerà attendere i risultati finali, non prima di questa sera: c’è infatti solo un seggio di vantaggio su altre due forze politiche, i centristi della Cda e i democratici progressisti della D66, entrambi appena sopra il 12%. A sinistra, c’è stato invece il tonfo dei laburisti della Pvda: dal 25% del 2012 al 5,7%. Di fatto spariti, dopo aver partecipato al governo di coalizione con Rutte. Sono stati dunque i verdi della Groen Links, fra le sorprese di queste elezioni, a raggiungere al quinto posto i socialisti della Sp: entrambi rappresentano ora le principali forze di sinistra, con un 9% e 14 seggi a testa.

Rutte ha vinto politicamente le elezioni. Ha arginato le proposte più estremiste. Ha dato prova di saper fare il duro quando serve: bloccando la campagna elettorale dei ministri turchi, ma anche pubblicando una lettera aperta per invitare tutti gli immigrati ad aderire ai valori tradizionali olandesi o andarsene

Si dirà, dunque, che il risultato delle elezioni olandesi ha fatto tirare un sospiro di sollievo all’Europa, metafora che imperversa spesso di fronte a quei partiti che genericamente vengono definiti populisti (perché ipernazionalisti e xenofobi). Ma dietro il risultato del voto c’è qualcosa di più, e forse di diverso: è stato comunque un voto di cambiamento. Il caso Wilders, che si proponeva di mettere al bando il Corano, di chiudere le moschee e ritirare l’Olanda dall’Unione Europea, ha fatto da velo a tutta la campagna elettorale. Fino al duello diretto con i liberal-democratici. Ma il fatto che Rutte abbia vinto questo duello non significa che il quadro politico sia rimasto quello di prima.

Anzi. Il partito del primo ministro è arretrato rispetto a cinque anni fa: 5 punti percentuali e 8 seggi in meno. Wilders ha guadagnato 3 punti e 5 seggi. Sono cresciuti di 4 punti e 6 seggi anche i i cristiano-democratici della Cda, il cui leader Sybrand Buma ha preso posizioni rigorose nei confronti dei valori tradizionali da difendere (coma la richiesta di far cantare l’inno nazionale a scuola), pur essendo per la tolleranza religiosa e una permanenza critica nell’Ue. Stesso trend di crescita per i democratici progressisti della D66. A sinistra, la vera novità viene appunto dai verdi guidati da Jesse Klaver. Non ha fatto il botto, ma la Groen Links è diventata uno dei principali partiti della sinistra, con il suo messaggio di accoglienza verso gli immigrati ma anche la richiesta di aumentare le tutele sociali: dal 2,3% e 4 seggi del 2012, è passata al 9% e 14 seggi. Ha preso poco, 2,1%, la Denk, una lista pro-immigrati fatta nascere da due deputati laburisti turchi: rientreranno in tre.

Numeri a parte, Rutte ha vinto politicamente le elezioni. Ha arginato le proposte più estremiste. Ha dato prova di saper fare il duro quando serve: bloccando la campagna elettorale dei ministri turchi, ma anche pubblicando una lettera aperta per invitare tutti gli immigrati ad aderire ai valori tradizionali olandesi o andarsene. Ma non è una vittoria alla Trump: il sistema dell’Aia è proporzionale puro, quindi il primo ministro avrà sotto di sé una larga coalizione, di almeno quattro o cinque partiti. Wilders è fuori. I laburisti non contano più nulla. Difficile, anche se affascinante, che ci sia un’alleanza fra il Vvd e i socialisti o i verdi. Si vedrà. Quel che è certo è che vari fattori stanno congiurando per il cambiamento. Non è stato un voto tradizionale. La retorica anti-Islam di Wilders ha costretto tutte le altre forze politiche principali a prendere una posizione, anche se critica nei suoi confronti. Per non far crescere l’elettorato di protesta, bisognerà tenere conto anche dei problemi di convivenza che hanno portato la destra nazionalista al secondo posto. La richiesta di maggiori tutele sociali ha invece rafforzato le forze di sinistra meno istituzionali, coinvolgendo l’elettorato più giovane. Come i Verdi o i socialisti della Sp. L’austerità e una visione europeista integralista non portano più voti. Ne sanno qualcosa i laburisti. Che rischiano di scomparire.

@ilbrontolo

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