L’abitudine di confezionare prodotti in modo accattivante per aumentare il loro potenziale di vendita ha abbandonato il solo campo dei beni di consumi e si è diffusa anche all’interno dell’industria finanziaria, specialmente quella italiana. I Piani individuali di risparmio (Pir) introdotti dall’ultima finanziaria sembrano essere uno dei casi in cui la confezione inganna. Con lo scopo di favorire le Pmi italiane, la norma prevede che concentrino delle quote prestabilite in asset italiani. In cambio i Pir offrono importanti vantaggi fiscali a chi decidesse di scommettere sullo strumento per 5 anni o più.
Sin dal nome i “Piani individuali di risparmio” ricordano uno strumento previdenziale. Ma a ben guardare, sono uno strumento molto sbilanciato sul rischio-Italia. Offrono inoltre poca flessibilità, in quanto vincolano l’investimento a una durata di cinque anni per godere del vantaggio fiscale. Sono inoltre concentrarti (con una quota del 21%) sulle Pmi italiane a bassa capitalizzazione, notoriamente molto volatili e poco liquide. In definitiva sono uno strumento molto complesso e con profili di rischio relativamente elevati, che non dovrebbe entrare in percentuali rilevaniti in un portafoglio che si possa considerare ben diversificato.