Tra gli anni Sessanta e gli anni Settanta, a Parigi, un gruppo di intellettuali burloni e parecchi bizzarri, proseguendo sulle orme di Alfred Jarry, diede vita al miglior momento della storia della ‘patafisica, una scienza che si scrive con un apostrofo iniziale perché è essa stessa a prevedere la propria inadeguatezza. Tra le varie teorie balzane che quel gruppo di simpaticoni, ma soprattutto di grandi musicisti, letterati e filosofi, si inventarono ce n’è una più bislacca di tutte.
La teoria grosso modo tentava di rivendicare contemporaneamente due assunti: il primo, che fatti immaginari e fatti reali appartengano in fondo allo stesso livello di realtà. Il secondo, derivato dal primo, che una serie di fatti immaginati possano in qualche modo disattivare, anzi, il verbo più adatto è disinnescare, la cattiveria del mondo. Se alla fine dell’Ottocento qualcuno si fosse inventato nei minimi dettagli la Soluzione finale di Hitler e soci — si erano quasi convinti i satrapi dell’Oulipo — con tutta probabilità l’assurdità e la violenza di quel male assoluto, anticipate dalla letteratura, non si sarebbero palesate, quanto meno non in quel modo, e magari molte vite si sarebbero risparmiate.
Per smentire una teoria così demenziale, chi meglio della famiglia più assurda della storia universale dei cartoni animati? Quei Simpson che proprio oggi festeggiano i loro primi trent’anni — sì, tra le tante date da festeggiare per loro c’è anche oggi, 19 aprile, data in cui, nel 1987, andò in onda il primo corto con protagonisti Homer e compagnia — e che sono la prova provata del fatto che i ‘patafisici si erano presi un abbaglio. Bellissimo, ma abbaglio.
In questi ultimi trent’anni, infatti, gli sceneggiatori dei Simpson hanno piazzato una serie consistente di strampalate e involontarie profezie, che, più o meno perfettamente, si sono poi realizzate nella realtà. Hanno preannunciato l’elezione di Trump a Presidente degli Stati Uniti, prefigurato almeno una decina di nuove tecnologie di media 5 o 6 anni prima che esistessero effettivamente, ma soprattutto hanno identificato il pattern su cui si stava sviluppando la società americana, ovvero la società occidentale: la dabbenaggine di Homer Simpson come spirito dei nostri tempi.
È così impressionante, infatti, il tasso di realizzazione delle ipotesi narrative dei Simpson sulla realtà, che, visto che è da escludere qualsiasi viaggio del tempo degli sceneggiatori, l’unica spiegazione possibile dopo una bella rasoiata di Occam è che Matt Groening e i suoi soci abbiano costruito il marchingegno perfetto, un prodotto narrativo che con la realtà ha un rapporto biunivoco: da una parte, come tutte le satire, partono dai dettagli reali per esagerarli, a colpi di iperboli e assurdità; dall’altra, come nessuno mai, è tale il livello di aderenza allo zeitgeist, ovvero proprio allo spirito dei nostri tempi, che sono riusciti , una volta azzeccata la strada maestra che stava prendendo il mondo alla fine degli anni Ottanta — ovvero la più totale idiozia — a farci credere che, dopo 30 anni, che ormai sia la realtà a copiare i Simpson, non il contrario. E ci riescono ancora.