Stavolta i sondaggi non hanno sbagliato: doveva essere Emmanuel Macron contro Marine Le Pen e così sarà. Al ballottaggio del 7 maggio, infatti, si sfideranno il giovane leader di En Marche, neonato movimento europeista e pro-mercato, nato dalla scissione (a destra) del Partito Socialista Francese, e il partito dell’ultradestra transalpina guidato dalla figlia del vecchio Jean Marie, che già provò l’ebrezza, nel 2002, di sfidare al secondo turno il gollista Jacques Chirac, dopo aver sopravanzato il socialista Lionel Jospin.
Le percentuali, prima di tutto: Emmanuel Macron conquista il 23,8% dei consensi e la Le Pen il 21,6%. Segue il Repubblicano François Fillon con il 19,9% e il comunista Jean-Luc Melenchon con il 19,5%. A distanze siderali il socialista Benoit Hamon, grande sconfitto di questa tornata elettorale, anche perché espressione del partito del presidente uscente, che si ferma al 6,3% dei consensi.
Sono i confronti con la precedente tornata elettorale a fare impressione, però. Perché raccontano meglio di qualunque analisi il crollo dei due grandi partiti di massa della Quinta Repubblica Francese. Il candidato del Partito Socialista, ad esempio, passa da 10,2 milioni a 2,2 milioni di voti, spolpato vivo da Macron – che alla prima vera prova da candidato ne porta a casa sette milioni abbondanti – e da Melenchon, che rispetto al 2012 ne guadagna due milioni e mezo. Un po’ meno peggio – ma nemmeno troppo – va ai Repubblicains, che lasciano per strada quasi tre milioni di voti, passando dai 9,7 milioni del 2012 ai 7 milioni scarsi del 2017.
Il Partito Socialista passa da 10,2 milioni a 2,1 milioni di voti, spolpato vivo da Macron e da Melenchon. Un po’ meno peggio va ai Repubblicains, che lasciano per strada quasi quattro milioni di voti, passando dai 9,7 milioni del 2012 ai 7 milioni scarsi del 2017. La Quinta Repubblica Francese è in soffitta
L’emorragia di consensi di socialisti e repubblicani è un toccasana per il Front National di Marine Le Pen. Che non aumenta granchè il proprio consenso elettorale – non quanto ne perdono gli altri, perlomeno – passando da 6,5 a 7,5 milioni di voti, conquistando tuttavia la maggioranza relativa del consenso in 60 dei 95 dipartimenti metropolitani francesi, buona parte dei quali nel nord-est del Paese e nella zona costiera del sud, che nel 2012 avevano premiato lo sconfitto Nicolas Sarkozy. Macron al contrario, trionfa all’ovest e a Parigi, che cinque anni fa decretarono la vittoria di Hollande. Ai gollisti rimangono cinque dipartimenti, a Melenchon la soddisfazione di vincere in tre, a Seine Saint Denis nell’Ile de France, in Dordogna e nell’Ariége, sui Pirenei.
Gli occhi sono ora rivolti al secondo turno, il cui esito sembra scontato. Gli ultimi sondaggi danno Macron al 62% e Le Pen al 38%. Per la figlia di Jean Marie, un risultato significativo soprattutto in relazione al misero 16,8% che raccolse il padre nel 2002, quando per la prima volta un membro del Front National raggiunse il ballottaggio alle presidenziali. Non abbastanza, tuttavia, per mettere in dubbio la vittoria di Macron, che già gode dell’appoggio ufficiale di socialisti e repubblicani.
Curioso sarà invece capire come voteranno – se voteranno – i sostenitori di Melenchon: prevarrà la pregiudiziale anti-fascista contro i Le Pen o quella anti-mercatista ed anti-europeista contro Macron? L’arcano sarà svelato il prossimo 7 maggio, ma non sarà solo una curiosità: nel caso gli elettorati di Le Pen e Melenchon dovessero convergere in maniera significativa, cambierebbe il campo di battaglia della politica francese. E forse anche parlare di Quinta Repubblica comincerebbe a suonare un tantino obsoleto.
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