Sull’Italia paese immobile si è scritto e si è mitizzato. La umma giornalistica ha rubato sostantivi e aggettivi per descrivere l’immobilismo Italiano (“gattopardo”, “gattopardesco”, che dimostra che la umma giornalistica non ha capito un accidenti del romanzo di Giuseppe Tomasi di Lampedusa, e questa è un’altra storia). Ma appunto, si resta al luogo comune finché non arriva un’analisi seria. E l’analisi seria sull’immobilismo italiano è arrivata. Solo che in pochi l’hanno notata.
Credere, tradire, vivere di Ernesto Galli Della Loggia (Il Mulino) è un racconto-riflessione lungo (340 pagine), approfondito (puntuali i riferimenti a un dibattito intellettuale una volta vivo), puntellato da elementi autobiografici. Che servono a mettersi in gioco, mostrando che il cambiamento, per uno che ha l’ambizione a partecipare alla vita culturale e civile di un paese, è una necessità: cambiare idea, tradire, è necessario per vivere. Nel caso di Galli Della Loggia, storico, cambiare è significato passare dalla sinistra massimalista degli inizi al liberalismo, e a una prospettiva “revisionista”, con conseguenti accuse e polemiche.
E perché chi cambia viene accusato di essere un voltagabbana? Perché in Italia i cambiamenti politici o si fanno a comando e tutti insieme, seguendo una qualche ideologia che faccia tabula rasa di quello che è successo prima, o non sono permessi. In queste migrazioni ideologiche il conformismo è assoluto, e lo spazio per il dissenso individuale inesistente. Tutti cambiano idea, nessuno dichiara di averla cambiata.
Nel libro di Galli Della Loggia ci sono esempi spettacolari a riguardo. Ci sono i documenti che dimostrano la convinta adesione al fascismo di Norberto Bobbio, diventato icona dell’antifascismo. Si dimostra come il liberalismo di destra di Benedetto Croce, all’inizio, non avesse in antipatia Mussolini. C’è, naturalmente il “mai stato comunista” di Walter Veltroni. Un plastico campionario di politici e intellettuali che negano in pubblico di essere stati quello che sono stati, mentre in privato si accomodano come possono (e come tutti) sul sofà del compromesso.
L’Italia non è cambiata e continua a non cambiare, quindi, perché esprimere perché la dimensione pubblica è fatta di oggetti politico culturali dati, quasi immutabili, mentre singolarmente ognuno continua a coltivare l’orto cavolaio dei propri interessi. Ecco perché siamo un paese immobile. E, presumibilmente, lo resteremo.
Galli Della Loggia, nel suo ultimo libro si autodenuncia come “voltagabbana”:
Mi pare inevitabile. Solo che c’è chi ammette di aver cambiato idea, e c’è chi dichiara “non sono mai cambiato, ho sempre mantenuto una coerenza”.
Quindi?
L’Italia è un paese immobile in cui tutti sono cambiati. Ma non lo possono dire, perché la dimensione pubblica, e politica è legata a dei totem.
La Costituzione si può cambiare?
La seconda parte sarebbe sacrosanto cambiarla. Abbiamo una pessima costituzione, come qualche importante costituzionalista ha detto. Ma ormai, per questioni politiche, è diventata un feticcio ideologico.
Perché questa dittatura ideologica?
Ci sono delle ragioni storiche: in Italia abbiamo avuto, nel giro di 80 anni, tre cambi di regime importanti. Dallo stato preunitario a quello unitario. Da questo al fascismo. E dal fascismo alla democrazia. Tre cose che ogni volta delegittimavano quello che c’era prima. Chi voleva legittimarsi nel nuovo regime doveva delegittimare quello precedente. Doveva dire “io non sono mai stato borbonico/liberale/fascista”.
In pubblico tutti aderenti al regime vigente. In privato tutti hanno avuto le loro storie di trasformismo, ma mai espresse…
Milioni di persone hanno dovuto cambiare casacca in privato. Milioni di persone sono state prima fasciste e poi comuniste. Due cose che sono diventate impresentabili. Oggi tutta la leadership comunista ha detto di non essere stata comunista. Nella storia del nostro paese c’è un problema con il passato.
Oggi del fascismo si può parlare con obiettività. Ma solo oggi, dopo 30 anni di storia al rosolio, completamente inventata, che non ha fatto altro che demonizzare il fascismo, e dopo 20 anni di polemiche sul revisionismo. Ci sono voluti 70 anni
L’identità politico-culturale, in particolare degli intellettuali, passa attraverso la rimozione. Oggi possiamo dire che Mussolini ha fatto cose buone?
Ovviamente sì. Già il fatto che Canale Mussolini, il romanzo di Antonio Pennacchi abbia vinto lo Strega nel 2010 dice molto. Quel libro è una gigantesca apologia di fascismo. Quel libro ha segnato una svolta simbolica. Oggi del fascismo si può parlare con obiettività. Ma solo oggi, dopo 30 anni di storia al rosolio, completamente inventata, che non ha fatto altro che demonizzare il fascismo, e dopo 20 anni di polemiche sul revisionismo. Ci sono voluti 70 anni. Pensi a quanti luoghi comuni sul Risorgimento.
Mazzini, Garibaldi, Vittorio Emanuele?
Si sono combattuti e odiati fra di loro. Nel 1903 un ministro dell’Istruzione introdusse come lettura obbligatoria “I doveri dell’uomo” di Mazzini, e questo segna la ricomposizione armonica, finta, di un pantheon nazionale.L’intellettuale italiano ha difficoltà a costruirsi un panorama storico coerente, in cui non ci siano zone off limits, su cui il giudizio è già espresso?
Ma anche gli studenti non sanno nulla del loro passato. Non ci si può fidare soltanto della cultura tecnica. A mano che non si dimostri che l’Italia è come un cantone della Svizzera.Il revisionismo quindi non è solo un modo di redistribuire giustizia dal punto di vista morale e politico, ma una necessità di conoscenza?
Certo. Oggi, per esempio, abbiamo già le idee più chiare sulla cosiddetta Prima Repubblica, che per 20 anni è stata considerata un covo di ladri. È il semplice passare del tempo che cambia le nostre idee. La cosa problematica dell’Italia è che le ideologie politiche hanno avuto un grosso rapposrto con la storia.Spieghi.
Per esempio: dal fascismo al gobettismo, all’ideologia dei popolari, sono tutti movimenti nati contro il Risorgimento. Per squalificare l’idea di Risorgimento. In nessun altro paese le principali forze politiche si creano a partire dall’idea che la formazione dello stato di cui fanno parte sia da contestare. E infatti tutti si sono chiesti come far entrare le masse nel paese, tenute fuori dallo stato liberale.Già le masse. E adesso il problema torna: si parla di populismi
La democrazia in una certa misura deve essere un po’ populista, dato che, tecnicamente, è il potere del popolo. Il populismo comincia quando si comincia a pensare che la volontà del popolo debba prevalere sulla struttura istituzionale.Trump è un populista? Anzi come dicono in tanti: un fascista?
Non ha nessun senso usare la categoria di fascismo per un americano. L’America ha avuto altra storia.È un liberale anarchico, allora?
Ha degli aspetti di anarco-liberalismo. Contro lo stato, contro il big business. Il difendersi da soli. Il rifiuto delle istituzioni. Ma appunto non è fascismo, è una storia legata alla frontiera, e per certi versi legata a un radicalismo religioso. Trump è un populista con molte venature anti-istituzionali. E sicuramente non è un liberale.Perché?
Perché il liberali hanno una cultura delle istituzioni. Lui il costituzionalismo liberale non sa manco che cos’è.In tutt’Europa c’è una corrente antiestablishment. In Italia abbiamo i Cinquestelle.
Che hanno una collocazione ideologica negativa, non positiva. Le loro proposte spesso si sviluppano su argomenti non ideologici: dall’inceneritore al non rubareQuello che già c’è, ma, presuntivamente, meglio…
Quindi nulla che sia determinante dal punto di vista ideologicoI Cinquestelle sono anche gli eredi della questione morale del Pci di Belinguer?
Certo: diceva Benedetto Croce che il partito degli imbecilli si traveste sempre da partito degli onestiBelinguer tira fuori la questione morale quando non gli riesce il compromesso storico. Tutta la stagione di Mani Pulite è basata sulla morale. L’antiberlusconismo ha avuto una potentissima facies moraleggiante, fino a lambire le mutande del Cav. in più di una occasione. Possiamo dire che spesso il crescere dell’istanza morale corrisponde al venir meno del progetto politico?
Senz’altro l’emergere del moralismo corrisponde all’impallidirsi a livello di massa di quello che deve essere la politica. La politica non può essere ridotta al comportamento morale. In politica conta la lucidità dell’analisi, e la capacità di realizzare quanto ci si pone come obiettivo. Il successo.Sta dicendo che il successo è il metro della politica?
Sto dicendo che i risultati della politica giustificano ex post le azioni. Se Cavour non fosse riuscito a realizzare l’unità d’Italia, sarebbe passato per un banale trasformista che dalla destra era passato alla sinistra. Ma siccome quel passaggio gli è servito per creare una coalizione che poi è servita per fare il Risorgimento, che è una cosa che ha avuto un certo successo, ecco che quell’azione diventa un’altra cosa. Perché ha avuto successo. In politica funziona diversamente dalla morale. In politica il personale, e il personaggio, può avere a che fare con una moralità discutibile. Tutta la vita privata di Berlusconi si offre a qualche giudizio morale negativo. Ma se berlusconi avesse realizzato le cose che diceva di voler fare quelle cose non sarebbero state tenute in conto. Non avrebbero rappresentato una mannaia che lo ha ridicolizzato e distrutto agli occhi dell’opinione pubblica.Non è riuscito ad essere altro che la braghetta di se stesso?
Moltissimi leader politici hanno avuto vite private piene di scappatelle, eccetera. Ma nessuno riduce Mussolini alle amanti o alla stessa Claretta Petacci. Perché Mussolini ha avuto un rango storico e politico, negativo o positivo che sia, molto al di sopra di queste storielle.Esempio più recente?
Quando, nel 1974, si scoprì che i petrolieri avevano finanziato il patito repubblicano, Ugo La Malfa disse “È vero, ma non siamo stati influenzati”. La gente gli credette. Nessuno glielo rimproverò. Perché il rango politico di La malfa non lo metteva in discussione.Sul rapporto tra potere e politica c’è tutta una riflessione secolare, dall’umanesimo a Machiavelli, fino a ieri. E ora il dibattito politico intellettuale che fine ha fatto?
Si è vaporizzato. Il nostro è un paese in cui tutte le culture politiche, con il loro carico di storia, di specificità, di originalità, sono state spazzate via con la fine della prima Prepubblica. Tutto quello che è venuto dopo è una barzelletta.Perché?
Non c’è più la capacità di pensare l’Italia. Fino agli anni ’70- ’80 gli intellettuali pensavano all’italia. Magari ci pensavano malissimo, magari erano convinti che fossimo il laboratorio di chissà quale esperimento di governo. O che la politica fosse stata segnata in maniera irreparabile dal fascismo. O che fosse nata male sul Risorgimento. Ma oggi non c’è più un pensiero sull’Italia. C’è la rissa politica. Nessuna forza politica ha un programma. Per esempio: tutti dicono che l’euro va male, ma chi dice “usciamo dall’euro” sa lui stesso che non ne usciremo, mai. E le classi dirigenti italiane non pensano più che l’Italia abbia un avvenire. Liquidano le aziende, mandano i figli a studiare in Inghilterra o in America, ecc eccSul ’68. Lei scrive che siete condannati ad essere giovani per sempre. Però chi viene dopo non può cacciarvi, dicendo “vecchio vai via”. I giovani siete ancora voi. I sessantottini sono ancora i detentori del monopolio della gioventù: dal rock alla liberazione sessuale è tutta, ancora, roba vostra…
Anche dal punto di vista economico: al tavolo da gioco i sessantottini hanno ramazzato tutto. Spolverato tutto.Anche qui: il cambiamento italiano è stato bloccato da un possesso ideologico (finto)rivoluzionario. Qual è stato il momento in cui si sarebbero dovute cambiare le cose, economicamente, e non è stato fatto?
Negli anni Ottanta si sarebbe dovuto cambiare il sistema di governo. E contemporaneamente il Pci avrebbe dovuto cambiare nome, e diventare un grande partito socialista capace di garantire l’alternanza. Non abbiamo avuto la possibilità di mandare al governo l’opposizione.E questo cosa ha determinato?
Che la Dc poteva fare quello che voleva (salvo accordi), ed era condannata a vincere le elezioni. Questo voleva dire una cosa: comprare il consenso elettorale con la spesa pubblica. Il Pci si inseriva chiedendo la sua parte. Le regioni guidate dal Pci avevano accesso a una spesa notevole. Il problema è stato il consociativismo.E poi?
E poi si è capito che con le nostre risorse non si poteva uscire dall’empasse. Si è deciso di sperare nell’Europa, come vincolo esterno che ci obbligasse a certe regole. Sono diventati tutti europeisti. L’europeismo è diventato l’ideologia unica della classe dirigente. Finora, a quanto pare però, non ha funzionato…Eh, l’europeismo tiene?
L’Europa è una costruzione istituzionale ideologicamente rifiutata da tutti. Poggia sul nulla. Anche lì, perché non è stata fatta a tempo un’Europa che desse un contenuto politico.E dei tentativi della sinistra per riformarsi cosa pensa?
Fin dall’inizio hanno detto “smettiamo di essere comunisti, ma sia chiaro, non diventeremo mai socialdemocratici”.E l’errore è questo. Il problema è che il comunismo è nato fin dal 1921, con l’idea precisa di uccidere la socialdemocrazia. Nasce contro i meschevichi, nasce contro Karl Kautsky il rinnegato; nasce contro il povero Filippo Turati. Potevano anche rifiutare di essere comunisti, ma non sono mai stati socialdemocratici.Quindi dalla caduta del muro in poi crisi di identità, e inettitudini varie…
La sinistra ha finito per portare avanti una polemica contro la destra che la rinchiudeva, paradossalmente, nelle roccaforti ideologiche che doveva abbandonare. La prima: la difesa della costituzione. Poi Berlusconi è stato etichettato come fascista. Stessa ridicola e sbagliata definizione che aveva usato contro Craxi.Renzi è stato anche lui etichettato come un traditore della sinistra
Renzi ha capito che doveva trovare spazio. Ha capito che c’erano riti e personaggi che soffocavano una generazione. Ma è inutile che ce la raccontiamo, lui non è di sinistra. Ha snaturato la sinistra si dice, ma è uno di cultura cattolica che non c’entra niente: come fai a rimproverarglielo? Purtroppo, la sua capacità di proporsi non è stata suffragata da lucidità sufficiente. Renzi non sa cos’è la politica. Fare qualcosa che assomigli a fare lo statista. Si circonda di yesmen.