PARIGI – L’ultimo sondaggio, a due settimane dal voto, fotografa una situazione senza precedenti nella storia delle presidenziali francesi nella quinta Repubblica.
Mai, prima d’ora, il capo dell’estrema destra xenofoba e antieuropea era dato per sicuro finalista al secondo turno e in testa come primo partito. Il solo precedente è la partecipazione al secondo turno di Jean Marie Le Pen, nel 2002, ma non come primo partito e comunque sonoramente sconfitto da Jacques Chirac che coalizzò con l’80 per cento dei suffragi un ampio fronte gaullista, socialista e repubblicano.
Oggi Marine Le Pen, in testa con circa il 25 per cento delle intenzioni di voto, ha qualche probabilità di vincere e in ogni caso sarà un drammatico testa a testa.
Mai, prima d’ora, – ecco un secondo dato – i due maggiori partiti, assoluti protagonisti di ogni elezione e del gioco democratico, hanno rischiato di essere eliminati dalla corsa al primo turno. Senza speranze il candidato socialista Benôit Hamon, in grave difficoltá il candidato dei Republicains, François Fillon, travolto dallo scandalo dei falsi impieghi pubblici di moglie e figli e coperto di ridicolo per la storia dei vestiti di lusso e di prestiti in denaro ricevuti in regalo da amico.
Mai, prima d’ora, sono stati eliminati, prima ancora di correre, presidenti in carica, ex presidenti, grandi favoriti, primi ministri e, se sará il caso di Fillon e Hamon, i trionfatori delle primarie dei rispettivi partiti. In pratica, le primarie, anzichè designare un sicuro rappresentante di una forza politica, hanno fatto da detonatore della volontá popolare che si è espressa contro il candidato dell’establishment e subito dopo ha rinnegato la propria stessa scelta.
Se per Fillon occorre tenere conto degli effetti dello scandalo, per Hamon si tratta di un disamore in corsa: portato in alto nel corso delle primarie, al punto di rischiare la scissione del partito socialista, e oggi marginalizzato.
La difesa di Fillon è stata maldestra e imbarazzante, peggio il rammendo del buco, come si dice dalle nostre parti. Ha ammesso gli introiti (pare regolarmente denunciati al fisco), ha restituito i vestiti e i prestiti, ha urlato al complotto delle opposizioni ma non è ovviamente riuscito a giustificare il lavoro fittizio della moglie. Comunque i francesi non gli credono, i sondaggi crollano. L’orgoglio e la certezza di essere il migliore giocano brutti scherzi. La storia francese si ripete in modo spietato: Giscard, Balladour, Jospin, Barre, Royal, Strauss Kahn, tutti caduti sul filo di lana.
La vittoria di Benôit Hamon alle primarie sodialiste ha impresso una svolta radicale al partito, svolta che attira consensi dell’elettorato piú povero e rabbioso, ma che comporta il rischio scissione. L’ala riformista, vicina allo sconfitto Manuel Valls, guarda verso altri lidi. In particolare verso Emmanuel Macron, che sta conquistando settori del centro destra e del centro sinistra su una linea attenta alla Francia piú nuova, più dinamica, soprattutto piú ansiosa di riforme di sistema.
La partita si è ristretta a due leader di movimento, estranei al gioco politico tradizionale: Marine Le Pen ed Emmanuel Macron. Non era mai successo
Macron ha 39 anni, è brillante e elegante. Portato in alto dalla stampa, comincia a piacere nelle piazze. Uomo dell’establishment, al quale già fanno riferimento i soliti noti del bel mondo parigino, da Alain Minc a Jacques Attali, Macron riesce anche a presentarsi come uno che si è fatto da solo, che viene dal basso, che sa parlare alla pancia dei francesi.
Come mai prima d’ora, la partita sembra ristretta a due leader di movimento, estranei appunto al gioco politico tradizionale. Abbiamo detto di Marine Le Pen e del Front National, di fatto un “non partito”, senza rappresentanti in parlamento, con deboli strutture e senza contributi pubblici. Ma ancora piú sorprendente l’ascesa di Emmanuel Macron, sicuro finalista e probabile prossimo presidente della Repubblica se esiste ancora una logica nella politica francese. Il suo movimento, En Marche, è nato soltanto un anno fa, ha sedotto la societá civile, i giovani, i senza partito, gli scontenti di tutti i partiti.
La fotografia dei sondaggi, a oggi, vede Marine Le Pen e Emmanuel Macron, testa a testa, in leggero calo, ma sempre oltre il 24 per cento, soglia di sicurezza per disputarsi la finale. Poi, testa a testa per il terzo posto, François Fillon, in leggera ripresa e, a sorpresa, Jean Luc Melenchon, l’anziano leader della sinistra radicale che ha raccolto attorno a sé vasti settori popolari, pezzi del partito socialista e comunista, l’area ecologista, molti giovani e persino qualche simpatizzante del Front National di Marine Le Pen.
Per quanto lontani anni luce sul piano idologico, sia la Le Pen sia Melanchon hanno una forte impronta anti europea e anti sistema.
Oggi Melanchon tallona FIllon al 18 per cento e ha praticamente eliminato dalla corsa il partito socialista e il suo candidato Hamon.
Facendo un po’ di conti, i partiti e i movimenti antisistema sommano circa il 40 per cento dei votanti, cui vanno sommati gli astensionisti, le schede bianche e i voti che andranno a minuscole formazioni. Il partito socialista e probablmente i Republicains (se Fillon non recupera) – ossia le due formazioni che hanno sempre dominato in alternanza la scena francese – rischiano di rimanere fuori corsa. A disputarsi l’Eliseo, un movimento antisistema, il Front National di Marine Le Pen, e un movimento che vuole rifondare il sistema, En Marche, di Emmanuel Macron. Se il giovane banchiere fallisse, dovremo scrivere un’altra storia della Francia e dell’Europa. Ma se il tentativo riuscisse, la ricostruzione di un sistema terremotato comporterà sforzi giganteschi e tanti ostacoli da superare, a cominciare dalla ricerca di una maggioranza in parlamento.
Se Macron vincesse dovremmo scrivere un’altra storia della Francia e dell’Europa. Ma se il tentativo riuscisse, la ricostruzione di un sistema terremotato comporterà sforzi giganteschi e tanti ostacoli da superare, a cominciare dalla ricerca di una maggioranza in parlamento
Molto probabilmente, Macron dovrá fare i conti con una maggioranza politica di centro destra e non è da escludere una “grande coalizione” alla tedesca o per meglio dire una “coabitazione” alla francese, cioè con un primo ministro espresso dai Republicains. Si fa giá il nome di François Baroin, pupillo di Sarkozy.
Va detto che in questa grande confusione pre elettorale, la Francia produce anche nuove idee.
Non è detto che le utopie – lo dice la parola stessa – siano davvero irrealizzabili. Finora, si è sperato di ottenere risultati migliori correggendo le stesse politiche. E se provassimo a cambiare politiche? Fra tutti i segnali allarmanti e negativi che arrivano dalla Francia elettorale – il populismo, il razzismo, la minaccia di dall’euro, il fenomeno Marine Le Pen in testa nei sondaggi, etc – c’è almeno questa grande voglia di riflettere su altre strade possibili. Thomas Piketty è l’economista piú innovativo e di maggior successo del momento. Per quanto discutibile, e discusso, il suo successo e le sue idee si sono inserite con prepotenza nella galleria di intellettuali e opinionisti – Huellebeq, Finkelkraut, Zemmur e altri – che hanno costruito fama e successo su un’idea difensiva di Francia assediata, in declino, in crisi di valori, travolta da ondate migratorie e correnti islamiste.
Anche Emmanuel Macron, ex banchiere Rotschild, ex ministro dell’economia di Hollande, è uscito dagli schemi. Per comodità (o pigrizia) giornalistica, anch’io l’ho definito lib/lab, l’uomo che avanza al centro, il leader che spera di conquistare pezzi di destra e di sinistra. In effetti il suo programma è ancora abbastanza generico e indecifrabile, anche se ci sta lavorando un altro degli economisti europei piú stimati, Pisani Ferry, del centro studi di Bruges.
Per la destra, Macron è un socialista mascherato, il delfino di Hollande portato in auge con un colpo di Stato mediatico che sarebbe all’origine dello scandalo Fillon. Per la sinistra, che oggi guarda a Melénchon, è un traditore, un candidato costruito a tavolino dai poteri forti, dalla grande finanza e da quella parte di classe dirigente francese che vuole distruggere il sistema di protezioni sociali, il welfare alla francese, costoso ma di sicuro generoso per tutti.
La grande novitá di Macron é il metodo, la voglia di costruire un progetto e un programma non sulla base di un’idea di partito o di una concezione culturale/politica onnicomprensiva ma attraverso la consultazione di settori e categorie della società di oggi, sempre piú parcellizzata e complessa. Come si fa a tenere insieme industria e ecologia, una società anziana e giovani disoccupati, trasporto pubblico e auto di lusso, divertimento colto e precariato, competitività e solidarietà, aperture multirazziali e sicurezza? Come mettere d’accordo le direttive europee e l’esigenza di investire nel pubblico, come cambiare l’Europa senza respingerla?
In questa grande confusione pre elettorale la Francia produce anche nuove idee. Non è detto che le utopie siano davvero irrealizzabili. Finora si è sperato di ottenere risultati migliori correggendo le stesse politiche. E se provassimo a cambiare politiche?
È un azzardo, una scommessa complicata, ma può essere vincente. Al punto che Macron è giá riuscito a conquistare personalitá e settori della sinistra orfana ed ex compagni di governo. La speranza della Francia democratica è che su di lui per converga il voto popolare e di sinistra, in una sorta di moderno fronte repubblicano che allontani l’incubo del Front National. Incubo che potrebbe materializzarsi, dato lo stato comatoso del centro destra, il cui candidato François Fillon appare sempre meno credibile. Il rischio é che una parte dei suoi elettori convergano su Marine Le Pen. E il disastro sarebbe completo.
Al di là della dinamica elettorale, il rischio c’è. Basta ascoltare le voci della Francia profonda, il disagio e la disperazione di milioni di francesi che non hanno piú nessuna fiducia nei partiti e nelle istituzioni. Paura e insicurezza, assenza di futuro : questi sono i sentimenti dominanti in ampie categorie sociali. Le cause, almeno quelle percepite sulla pelle, sono note : criminalità, immigrazione, terrorismo. L’antidoto piú immediato, che é poi il “mantra” di Marine Le Pen, confini, barriere, difesa nazionale, patriottismo economico. In sostanza Frexit.
La Le Pen, nel corso della campagna elettorale, ha condotto un gioco astuto e pagante : é riuscita a diventare il punto di riferimento di qualsiasi dibattito costringendo tutti gli avversari a discutere di questi temi. Inoltre ha abbandonato gli slogan facili ma inquietanti contro l’Europa per rifugiarsi in una piú confortevole opzione referendaria, stile british, quindi, in fin dei conti, piú tranquillante e piú credibile. Candidati bruciati da scandali, destra in crisi, crescita del populismo, assenteismo, sinistra a pezzi e sull’orlo della scissione. La politica francese ha chiuso con il bipartismo perfetto. Due destre, due sinistre, un grande centro si disputano l’Eliseo. In attesa dell’uomo nuovo, fuori dagli schemi, salvifico, preferibilmente giovane. Più che una storia francese, sembra piú una storia politica italiana di partiti a pezzi e maggioranze fragili. Ma forse no, perché Macron è un generale giovane e fortunato, uno che si è trovato al momento giusto nel posto giusto. E il mito di Bonaparte riemerge con lui.
* editorialista Corriere della Sera