Gli obesi sono il doppio degli affamati. Con le diete del «senza» ormai spendiamo di più per «non» mangiare. Gli chef pluristellati occupano i palinsesti televisivi, ma non vediamo chi il cibo lo produce: gli agricoltori. Gli ogm, la dieta mediterranea, il chilometro zero, il green sono diventati slogan da guru. Mentre l’illegalità imperversa in gran parte della filiera alimentare. «Il cibo, dunque, ci nutre o ci consuma?», si chiede l’economista e agronomo Andrea Segrè nel suo ultimo libro Mangia come sai (Editrice Missionaria), che sarà presentato a Bologna il prossimo 2 maggio (librerie Coop Ambasciatori, ore 18).
Segrè parte da un viaggio fatto a piedi nella piana di Gioia Tauro, per comprendere fino in fondo le condizioni di produzione e di lavoro nelle campagne di quell’angolo di Calabria. Gli scarti, qui, non sono solo quelli del cibo, di cui Segrè si occupa da tempo come fondatore di Last Minute Market, il progetto che mira al riutilizzo degli sprechi alimentari della grande distribuzione. Gli scarti, nella piana calabrese, sono anche i braccianti degli agrumeti, gli immigrati sfruttati per pochi euro l’ora, ammassati nella tendopoli di San Ferdinando.
Nel suo percorso, Segrè vede le clementine cadere a terra marce. Mentre nei supermercati calabresi si vendono i mandarini importati dal Sudafrica. Paradossi del mondo del cibo. E intanto, nel Paese che il cibo l’ha messo in mostra con l’Expo del 2015, la criminalità agroalimentare mette in tavola prodotti come la mozzarella sbiancata con la calce o il filetto agli anabolizzanti. Cibo killer, ma anche cibo falso. Come il finto made in Italy e i prodotti Italian sounding.
Quello di cui avremmo bisogno, dice Segrè, non è tanto il cibo green che impazza oggi – «come se bastasse l’associazione a un colore per certificare la bontà di un prodotto». Quello di cui avremmo bisogno è il «cibo vero». Dove ogni passaggio è trasparente e controllabile da tutti.
Ma la nostra attenzione al cibo e al conteggio delle calorie ci ha trasformati ormai in uomini dietetici. E l’ultima tendenza è quella di negare. Imperversano le diete del “no” e del “senza”: senza glutine, senza lattosio, senza zuccheri, senza grassi. Togliere per mangiare. Dopo i vegetariani e i vegani, ecco i “negani” e i “senzani”.
E mentre ci arrovelliamo il cervello cercando sugli scaffali cibi modificati e privati di qualche elemento, continuiamo a sprecare e a buttare cibo nella pattumiera. Fatichiamo ancora a smuovere le abitudini che ci portano a sprecare cibo. Solo un italiano su due, ad esempio, prepara la lista di quello che effettivamente serve prima di mettere piede al supermercato.
Riempiamo i carrelli fino all’orlo. E mentre sulla Terra ci sono ancora 800 milioni di persone affamate, gli ipernutriti sono quasi il doppio. Nel mondo ogni anno muoiono 36 milioni di persone per carenza di cibo e 29 per il suo eccesso. Come si può oggi insegnare il valore del rispetto del cibo?
Innanzitutto, scrive Segrè, si può «recuperare» molto – quasi tutto – di ciò che viene gettato via ancora buono da mangiare. Ma occorre anche risolvere il problema a monte. E per questo serve un altro passaggio: i futuri cittadini dovranno maturare una «coscienza alimentare» che suggerisca loro scelte dove la qualità della vita, la sostenibilità ambientale, sociale ed economica siano i presupposti di uno sviluppo equilibrato e sano. Segrè la chiama «intelligenza alimentare». Che significa essere in grado di scegliere i prodotti con sempre maggiore consapevolezza, premiando o punendo aziende e Paesi responsabili o irresponsabili dal punto di vista sociale e ambientale. Dunque, gira e rigira, anche mangiare diventa un atto politico.