Il primo G7 dei ministri degli Esteri dell’era Trump, tenutosi a Lucca, si è concluso lasciando le questioni più scottanti della politica internazionale ancora avvolte dall’incertezza. Dalla crisi in Siria al crescente confronto con la Nord Corea, che sta aprendo la porta a scenari da incubo, non è ancora chiaro quanto potrà cambiare nella politica estera americana. Sono tuttavia emersi alcuni elementi interessanti e abbiamo intervistato Paolo Magri, Direttore dell’Istituto per gli Studi di Politica Internazionale e professore di Relazioni Internazionali all’Università Bocconi, per un commento.
Professor Magri, alla luce di quanto emerso dal G7 di Lucca, è possibile ipotizzare una svolta nella politica estera di Washington?
Una svolta l’abbiamo già vista, resa in modo plastico dall’attacco di pochi giorni fa degli Usa contro una base aerea siriana. Trump ha abbandonato l’isolazionismo della campagna elettorale, ha abbandonato le promesse fatte di un atteggiamento più tollerante da parte dell’America nei confronti delle violazioni dei diritti umani e dei regimi che le perpetrano. Attaccando la Siria ha detto chiaramente che non saranno più tollerate stragi di bambini uccisi con le armi chimiche.
Gli Stati Uniti hanno più volte affermato che quello in Siria è stato un “colpo unico”. Una volta assestato quello, la svolta di Trump resterà più nei toni che in azioni militari concrete?
È un interrogativo a cui si potrà dare risposta in base a quello che succederà nei prossimi giorni e nelle prossime settimane. Probabilmente Trump, con lo strike in Siria, voleva mandare un messaggio forte a tutto il mondo: “L’America è tornata”. Sperava magari che gli altri attori coinvolti nello scenario mediorientale, Russia e Iran in particolare, cambiassero atteggiamento, ma dubito che questa singola azione degli Usa possa spingere Mosca e Teheran a cambiare la propria posizione. Così come dubito che il regime possa fermare i bombardamenti sulla popolazione civile e modificare la condotta che ha tenuto negli ultimi sei anni. Assad proseguirà la guerra in Siria e Trump si troverà a dover decidere come reagire a nuovi attacchi e nuovi morti. Riuscirà a mantenere la linea per cui si interviene solo se i bambini vengono uccisi con le armi chimiche, e non se uccisi con armi tradizionali? Il rischio è che, mentre per Obama il problema era la paralisi nel breve periodo per timore delle conseguenze nel lungo, per Trump non ci siano problemi ad agire nel breve periodo ma non abbia una solida strategia per il lungo.
Come impattano sui rapporti con la Russia queste mosse dell’amministrazione Trump?
Bisogna fare due considerazioni. Primo, nei giorni scorsi abbiamo sentito quello che ha detto il Segretario di Stato Tillerson, quello che ha detto l’ambasciatrice Usa presso l’Onu Nikki Haley, e quello che ha detto il Presidente Trump. E si sono contraddetti tra loro, quindi c’è ancora incertezza. Secondo, il G7 non ha imposto nuove sanzioni alla Russia e il viaggio di Tillerson a Mosca è stato confermato (non sarebbe stato immaginabile un simile viaggio se fossero state decise delle sanzioni). Dunque, oltre alla volontà di riaffermare il ruolo degli Stati Uniti nel mondo dimostrata con l’attacco in Siria, l’amministrazione americana ha anche chiaramente interesse a tenere aperto il canale del dialogo col Cremlino. Questa è la volontà di ambedue le parti, perché l’incontro con Tillerson avrebbe potuto cancellarlo anche la Russia, ma non l’ha fatto. Inoltre anche nell’attacco in Siria Trump ha rispettato le forme, avvisando in anticipo Mosca.
«Aver attaccato con un singolo colpo la Siria è un elemento di rischio, ma è avvenuto in un contesto in cui Russia, Iran e la stessa Damasco sono attori razionali, che valutano come reagire in base ai principi di azione/reazione propri della politica internazionale. La Nord Corea è invece un attore irrazionale, guidata da un leader irrazionale»
La Russia ha reagito duramente al bombardamento americano in Siria…
È vero. Mosca ha immediatamente sospeso l’accordo con gli americani per la prevenzione degli incidenti e la sicurezza nello spazio aereo siriano ed ha anche convocato una riunione del Consiglio di Sicurezza dell’Onu per denunciare l’attacco americano. Ma proprio la conferma dell’incontro con Tillerson, anche dopo queste misure, palesa la volontà russa di non interrompere il dialogo con gli Stati Uniti.Si è molto speculato sul fatto che l’attacco americano in Siria sia avvenuto durante la visita del presidente cinese, Xi Jinping, negli Usa. Trump ha voluto mandare un messaggio anche a Pechino e, soprattutto, alla Corea del Nord?
Come dicevo, il messaggio che si è voluto dare con quell’attacco è sicuramente rivolto a diversi attori, tra cui anche la Corea del Nord. Anzi, prima ancora dell’attacco in Siria l’amministrazione Trump aveva già speso parole molto dure nei confronti di Pyongyang, ventilando la possibilità di un attacco unilaterale, senza il consenso della Cina. Un’opzione che è stata ribadita poco fa direttamente da Trump via Twitter.Si può immaginare che anche la Nord Corea possa essere oggetto di un attacco, come quello che abbiamo visto in Siria?
La possibilità che gli Usa attacchino militarmente la Corea del Nord apre uno scenario nuovo. Aver attaccato con un singolo colpo la Siria è un elemento di rischio, ma è avvenuto in un contesto in cui Russia, Iran e la stessa Damasco sono attori razionali, che valutano come reagire in base ai principi di azione/reazione propri della politica internazionale. La Nord Corea è invece un attore irrazionale, guidata da un leader irrazionale. Nell’eventualità di un attacco americano si aprirebbero scenari di possibili reazioni da parte di Pyongyang estremamente inquietanti.