Quesiti linguisticiSi può essere “impanicati”? Risponde la Crusca

Usato soprattutto nel gergo giovanile, da Roma si è diffuso poi anche al Nord. Tanto che si trova anche nel titolo di qualche libro

Tratto dall’Accademia della Crusca

Si sente spesso, soprattutto nel linguaggio giovanile dell’area centro‑meridionale, il verbo impanicarsi usato per indicare (spesso esagerando un po’) l’entrare in uno stato di ansia, paura o terrore.

Anzitutto occorre dire che il verbo impanicarsi è una formazione parasintetica denominale, cioè si è formato attraverso il processo di parasintesi, che prevede la contemporanea affissione di un prefisso e di una desinenza verbale a una base nominale (o aggettivale).

Il processo parasintetico di formazione verbale è un meccanismo molto antico: si è infatti affermato già nella tarda latinità, circa dal III secolo d.C., soprattutto a causa della graduale desemantizzazione dei prefissi locativi (soprattutto ad‑, in‑, ex‑) ed è presente in tutte le lingue romanze.

In linea generale possiamo dire che il prefisso in‑ (diverso per origine e valore semantico dall’omonimo in‑ che è invece produttivo nella formazione di aggettivi e ha un valore privativo‑negativo, per es. intollerante, inesperto, inquieto) si premette soltanto a basi nominali o aggettivali da cui non sono stati già formati verbi non prefissati (per es. imburrare/*burrare, impensierire/*pensierire, ma non *indrogare/drogare). In italiano i prefissi possono apportare uno specifico valore semantico al lemma cui si premettono; in questi casi in‑ non possiede un significato specifico che contribuisce a modificare la semantica del verbo, ma ha un valore ingressivo o strumentale, e la sua caratteristica principale è di tipo “azionale”. Ossia normalmente contribuisce alla formazione di verbi (per lo più della prima classe in -are, ma anche della terza in -ire, oggi produttiva solo per queste formazioni) che indicano l’acquisizione di uno stato (o il passaggio da uno stato a un altro) come per es. imbiancare, impallidire, ingrandire, oppure designa un’azione che prevede l’uso di uno strumento per essere svolta, come per es. ingabbiare, imbrigliare, intelaiare.

Impanicare (e il riflessivo impanicarsi) ha come base il sostantivo panico ‘timore, ansia’ e ha un significato di tipo causativo, che può essere reso con la parafrasi “causare, suscitare, provocare, far prendere, far acquisire uno stato di panico”; non è attestato nei dizionari storici (Vocabolario degli accademici della Crusca, TOMMASEO-BELLINI, GDLI) né in quelli contemporanei (DISC, GRADIT, DELI, Devoto-Oli, Vocabolario Treccani), ma impanicarsi ‘essere o cadere in una crisi di panico’ figura a lemma nello ZINGARELLI, a partire dall’edizione del 2011, marcato come colloquiale e datato 1976. Non risultano attestazioni nella lingua letteraria fino a tutto il Novecento.

Il verbo impanicasse “impanicarsi” e il suo participio passato impanicato usato con valore aggettivale sono invece registrati nel Vocabolario del Romanesco Contemporaneo: Lettera I,J di P. D’Achille e C. Giovanardi come voci appartenenti al linguaggio giovanile.

Il linguaggio “dei giovani” è una varietà dell’italiano usata dai ragazzi in situazioni comunicative informali, colloquiali, soprattutto orali (ma non soltanto, anche nello scritto possono essere rintracciati degli usi tipici). Le caratteristiche e i fenomeni più significativi si manifestano spesso nel campo del lessico e della formazione delle parole. Talvolta, a causa dell’uso progressivo e sempre più generalizzato, i neologismi nati in questo settore possono diventare propri della lingua italiana neostandard.

Il verbo parasintetico riflessivo impanicarsi, dunque, è una formazione recente, è nato nel parlato giovanile e ha una connotazione espressiva; è usato prevalentemente a Roma (dove probabilmente è stato coniatoe da cui si è diffuso) e nell’area centro‑meridionale, anche se, come testimonia la località di provenienza di uno degli utenti che posto la domanda, si sente anche nel Nord, sebbene più sporadicamente.

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