#TuttoBlue: sapessi com’è strano manifestare per il Pd a Milano

La decisione del PD milanese di manifestare il 25 aprile sfilando di blu vestiti e agitando cartelli a caso con errori grossolani da ignoranti patentati è l'estremo gesto di un partito che non ha perso solo l'anima, ma anche le basi della propria cultura internazionalista

Ieri, a Milano, durante la manifestazione nazionale del 25 aprile si è consumato una sorta di strano rito politico-culturale: un partito importante e centrale nella vita politica italiana come il Partito Democratico (erede del Pci) è corso in cantina, ha disseppellito la pistola del nonno partigiano e, guardando al chilometro con un sorriso indecifrabile, dopo essersi infilato addosso qualcosa di blu — robe che manco a capodanno con le mutande rosse — si è sparato un’intera cartucciera dritto dritto nelle balle. Ridendo.

Cosa è successo? Semplice: il Pd milanese ha avuto l’idea di ammantare la propria presenza in manifestazione di un’ aura nuova. Oh, d’altronde è palese a tutti che il 25 aprile è una festa in crisi, nevvero? Già, però c’è novità e novità e qui il problema è che la brillante idea è stata quella di scendere in piazza non con le bandiere italiane e con il proprio simbolo originale (che riprende i colori della bandiera nazionale), ma scegliendo come colore il blu, anzi il “blue” in onore dell’Europa, condendo il tutto con un hashtag terrificante, frutto della crasi tra Blu e UE: #tuttoblue.

Mentre cercavano di conquistare l’assenso popolare suonando la Marsigliese (#truestory), tutto intorno completavano l’opera con un florilegio di cartelli compilati da qualcuno che degli anni scolastici ricorda a mala pena com’è fatto il Bignami. È così che, sotto l’etichetta di “Patriota europeo”, son finite allegre simpatizzanti del nazismo come Coco Chanel, geni multiformi rinascimentali che l’Europa al limite la chiamavano “impero” come Leonardo da Vinci, o predicatori dell’amore libero (per davvero però) e della distruzione delle frontiere (per davvero pure questo, però) come John Lennon, e persino una scrittrice come Jane Austen che, mentre capolavorava le sue cose sud-est dell’Inghilterra, assisteva alla conquista d’Europa da parte delle truppe di Napoleone. C’è stato qualcuno che ha addirittura camminato con discreta nonchalance con in mano cartelli con scritte come I’m blue dabadee dabada o Nel blu dipinto di blu.

E non importa neppure sapere se qualcuno gli ha fatto notare che quando scrivi Blue, in inglese leggi Tristezza, Malinconia, Depressione. Non ci importa perché la frittata è fatta (se vi piace), nel giorno più importante dell’anno, quel 25 aprile che dovrebbe unirci tutti dietro l’ideale della libertà. Della libertà, mica della patria. E invece i manifestanti “blue” hanno dimostrato che dell’Europa hanno un’idea un po’ balzana.

Magari non era il caso di scegliere un termine così ingombrante come Patria. Anche perché, vale la pena ricordare che sono proprio le patrie a creare i nazionalismi e quindi a creare le frontiere. E noi, e questo è decisivo da capire se si vuole sconfiggere il populismo nazionalista alla Le Pen o alla Salvini, non abbiamo bisogno di un’altra patria.

Non abbiamo bisogno di sostituire ai singoli nazionalismi un Ur-nazionalismo più grosso, abbiamo bisogno, al contrario, forse, di superare questi concetti, e di cooperare insieme per costruire uno spazio che dai quei nazionalismi sia esente. Se questo non è quello che vuole il Pd, allora significa che c’è stata una totale inversione di senso di una intera eredità culturale e politica. In questo caso non ci stupirebbe che il Pd dopo aver ripreso Patria, l’anno prossimo potrebbe rispolverare Famiglia, e poi, già che ci siamo, l’anno dopo potrebbe toccare anche a Dio. Liberi di farlo, ma, se lo fanno, che si vestano di nero e non di blu.

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