Alla Camera va in scena l’orgoglio della Casta. «L’antipolitica è un imbroglio»

Dalla Prima Repubblica con furore. I protagonisti di un tempo si ritrovano a Montecitorio per difendere la propria storia. «Quella classe dirigente era eletta, oggi sono tutti cooptati», ricorda Violante. «Amo il Parlamento» ammette Bianco. Il monito a Renzi: «Chi insegue i grillini finirà male»

«Io ho amato il Parlamento, mi è piaciuto essere deputato». Un’affermazione controcorrente, dati i tempi che corrono. Forse persino coraggiosa. Gerardo Bianco lo ammette senza troppi giri di parole. Mentre spira forte il vento dell’antipolitica, la classe dirigente di un tempo difende con orgoglio il proprio ruolo. È la rivincita della Prima Repubblica. Tutti insieme intorno a un tavolo rappresentano una bella fetta della storia parlamentare italiana. Vicino all’ex democristiano e leader del Partito Popolare Italiano ci sono Luciano Violante e Pier Ferdinando Casini, già presidenti di Montecitorio. E con loro Franco Marini, un tempo presidente del Senato. Nella sala Aldo Moro della Camera, in platea, un folto gruppo di ex parlamentari. Tra il pubblico si riconosce Publio Fiori, deputato Dc per sette legislature consecutive. Seduto in terza fila ecco Claudio Scajola, l’ex ministro berlusconiano di cui si erano perse le tracce. Tutti applaudono, nessuno vuole rinnegare la propria storia. Insieme ancora una volta per la presentazione dell’ultimo libro di Gianfranco Rotondi. Altro democristiano mai pentito. Si intitola “Meglio la Casta, l’imbroglio dell’antipolitica”, già il titolo è tutto un programma. Un tomo anticonformista per denunciare limiti e contraddizioni dello spirito del tempo.

A Gerardo Bianco spetta il ruolo di protagonista. Già ministro, leader di partito, fino a poco tempo fa era il presidente dell’associazione ex parlamentari. Ma è anche un amico dell’autore. «Conosco Rotondi da quando aveva i calzoni corti», rivela. L’orgoglio si accompagna presto a una nota nostalgica. Bianco rimpiange il sentimento di appartenenza e dignità che i nuovi deputati sembrano aver perduto. «E ne sento la sofferenza». Amarezza sì, ma anche voglia di reagire alla caccia alle streghe di cui si sente vittima. «Noi saremmo la Casta? – insiste l’ex Dc – Se siamo diventati un bersaglio così facile da colpire, evidentemente non siamo una casta».

«Stiamo diventando come alcune repubbliche africane: se va bene, chi arriva al potere toglie i diritti a quelli che c’erano prima. Se va male, li arresta. Sarà così anche per noi. Se va bene Renzi ci toglierà le pensioni, se va male arriva Grillo e ci arresta pure»

Quando è iniziato il crollo? Quando ha preso il sopravvento la sfiducia verso il Palazzo? Bianco torna con la mente alla stagione 1992-1993: tangentopoli, gli scandali e gli arresti. «Ma se fosse studiato a fondo, si scoprirebbe che quello fu uno dei bienni più fecondi della nostra storia repubblicana». Di quel periodo è rimasta un’immagine. «Un magistrato venne qui con un ufficiale della Guardia di Finanza per sequestrare i verbali della Camera, che erano già a disposizione di tutti». Una scena che è il simbolo di quel trauma: «Era la stessa Camera ad essere messa sotto accusa». Anni bui per la classe politica, «mentre i ministri cadevano come birilli». Luciano Violante è entrato per la prima volta a Montecitorio negli anni Settanta. È diventato presidente della Camera esattamente venti anni fa. Anche lui riconosce il momento della rottura tra il paese e il Palazzo nel 1992. «Da quel momento in poi, si ritenne che tutto ciò che era venuto prima fosse sbagliato e corrotto». Sotto i colpi di tangentopoli sono caduti i partiti della Prima Repubblica, lì si trovano le radici della moderna antipolitica. Ma per molti quel passaggio fu anche un alibi. «La critica alla politica – spiega Violante – serve anche a deresponsabilizzare la società». Il paradosso della questione è evidente, considerato che ad attaccare la politica, spesso, sono le persone che si candidano a occuparne gli stessi spazi.

Ma le critiche a quel periodo sono davvero giustificate? L’impressione è che talvolta si finisca per confondere prerogative e privilegi. Violante indica un altro elemento di riflessione. Un aspetto poco discusso, forse, che eleva quella classe politica diverse spanne al di sopra dell’attuale. «Quella – racconta – era una classe dirigente eletta, non cooptata. E si batteva, era selezionata». La differenza è nello spessore di chi oggi siede in Parlamento. Violante ricorda ancora le indicazioni del partito. «Ci dicevano: appena avete un momento libero, andate in Aula ad ascoltare. Nella peggiore delle ipotesi, chi sta qui è stato votato da 20mila persone. Rappresenta qualcosa». E insomma, il dubbio viene. Era più Casta quella di allora, o chi oggi diventa parlamentare senza essere scelto dai cittadini? Per carità, il ricambio generazionale è necessario. Lo riconoscono anche i protagonisti del passato. Ma la qualità della classe dirigente è un tema imprescindibile: «Fa sorridere che lo dica un vecchio come me» spiega a un certo punto Franco Marini. «Ma non è pensabile costruire il rinnovamento sulla base della carta d’identità». Largo ai giovani, insomma. Ma dopo un’adeguata formazione.

Pier Ferdinando Casini oggi è un senatore, presidente della Commissione Esteri. Qualche anno fa è stato anche lui presidente della Camera. Ha sessantadue anni, ma quando è stato eletto la prima volta ne aveva ventisette. «Appena ricevuta la notizia, ricordo che andai a casa per avvertire mio padre. E lui si commosse». Chissà se oggi succederebbe lo stesso. «La reputazione allora era il principale punto di riferimento, adesso invece c’è persino chi si vergogna a dirsi parlamentare». Ecco rispuntare il vecchio paradosso. «Ormai – insiste Casini – l’antipolitica è diventata la corsia preferenziale per l’accesso alla politica». Accade in Italia, ma non solo. «Anche Donald Trump in campagna elettorale diceva di voler cacciare a pedate i signori di Washington, indicando genericamente tutto l’establishment».

«Io ho amato il Parlamento, mi è piaciuto essere deputato». Un’affermazione controcorrente, dati i tempi che corrono. Forse persino coraggiosa. Gerardo Bianco lo ammette senza troppi giri di parole. Mentre spira forte il vento dell’antipolitica, la classe dirigente di un tempo difende con orgoglio il proprio ruolo. Alla faccia delle crociate contro la Casta

In platea il pubblico assiste con partecipazione. Tra gli arazzi della sala Aldo Moro la sala è gremita. C’è Antonello Falomi, attuale presidente dell’associazione ex parlamentari. Mario Baccini, già ministro berlusconiano e pluriparlamentare. Resta senza una sedia Augusto Minzolini, che si è recentemente dimesso da Palazzo Madama. Vicino a lui segue l’incontro il senatore di Forza Italia Antonio Razzi. Orgoglio a parte, a un certo punto arriva anche l’autocritica. «Però non possiamo pensare che sia tutto un complotto nei nostri confronti» mette le mani avanti Casini. «A volte la politica ha offerto esempi che hanno alimentato questa campagna. Non siamo stati sempre in grado di isolare le mele marce». A pagare un conto particolarmente salato, rischiano di essere in tanti. «Non sono ottimista sui passaggi che ci attendono» racconta Rotondi. L’antipolitica è pronta a reclamare il suo tributo. «Stiamo diventando come alcune repubbliche africane: se va bene, chi arriva al potere toglie i diritti a quelli che c’erano prima. Se va male, li arresta. È così anche per noi. Se va bene Renzi ci toglierà le pensioni, se va male arriva Grillo e ci arresta pure».

Il riferimento non è affatto casuale. Mentre è in corso l’evento, a pochi metri di distanza la commissione Affari costituzionali sta per abbattere uno degli ultimi simboli della Casta. Il trattamento pensionistico degli ex parlamentari. Se non ci saranno sorprese, la prossima settimana sarà scelto il relatore e il provvedimento sarà pronto per andare in Aula. «Oggi assistiamo a un’attrazione fatale tra Movimento Cinque Stelle e Partito democratico attorno a quello che sembra essere diventato il punto di svolta della politica italiana: il vitalizio» racconta Bianco. Il tono si fa severo. Molti considerano il trattamento economico degli ex parlamentari un privilegio inaccettabile. «Chi la pensa così vive una totale ignoranza. Il ruolo di parlamentare è cosa ben diversa dall’impiegato». Almeno nei primi anni, il vitalizio era una garanzia di libertà per chi svolgeva la missione politica. Ecco perché al centro della campagna di discredito finisce anche la classe politica dei primi anni repubblicani. «Non possiamo accettare che dietro il vitalizio si nasconda un attacco alla storia». Tra le righe sono in molti a criticare Matteo Renzi e la decisione di scendere sul terreno dei Cinque stelle. Rincorrere i grillini sui temi dell’anticasta nasconde un evidente errore di strategia. «Guai per la classe politica che continua ad andare dietro all’antipolitica pensando di trarne dei vantaggi – ammonisce Casini – Perché tra la copia e l’originale, la gente sceglierà sempre l’originale».

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