TaccolaBanche, così la Toscana torna un feudo renziano

Dietro la clamorosa marcia indietro dell’assemblea di Chiantibanca, che ha bocciato Bini Smaghi, c’è la pressione della Federazione toscana delle Bcc, guidata dal renzianissimo Matteo Spanò. Intanto la Cambiano del padre di Lotti rimane l’unica Bcc che ha scelto la solitudine (e non vuole pagare)

Mentre infuriano le polemiche sugli interessamenti del governo Renzi su Banca Etruria, e mentre Mps attende ancora il via libera di Bruxelles al piano di salvataggio, c’è un altro pezzo del sistema bancario toscano che è in subbuglio. È quello del credito cooperativo, che in Toscana vede tra i maggiori operatori in Italia. L’ultimo colpo di scena ha riguardato Chiantibanca: nell’assemblea di domenica 14 maggio è stato sconfitto non un candidato qualunque alla presidenza, ma un banchiere del calibro di Lorenzo Bini Smaghi. A vincere è stata una lista fortemente appoggiata dalla Federazione Toscana Banche di Credito Cooperativo. Al cui vertice c’è il renzianissimo Matteo Spanò, già compagno di scout del segretario del Pd e la cui carriera è andata in parallelo a quella dell’ex premier. I renziani hanno evitato di perdere un pezzo importante del credito toscano. Mentre un’altra delle grandi Bcc della regione, quella di Cambiano, è l’unica ad avere optato per la “way out”, la possibilità di andare da sola trasformandosi in Spa. Particolare non irrilevante: è la banca nella quale figura come dirigente Marco Lotti, padre dell’attuale ministro dello Sport e uno degli artefici della riforma delle Bcc.

Andiamo con ordine. La Bcc di Cambiano è considerata “renzianissima” per la presenza di Lotti senior, ma anche perché a presiderla è Paolo Regini, marito della senatrice Pd Laura Cantini, già vice di Renzi alla Provincia di Firenze. Fu anche la banca che garantì, nel 2009, un prestito di 72mila euro alla fondazione Festina Lente per finanziare la campagna elettorale che portò Renzi a sindaco di Firenze. Lo scorso anno, quando la riforma veniva scritta, le polemiche non mancarono e furono indirizzate all’attivismo dello stesso Luca Lotti, all’epoca sottosegretario alla presidenza del Consiglio. Le critiche nacquero dalla decisione di permettere di svincolarsi dal gruppo bancario che si andava creando (e che all’epoca si immaginava unico) alle Bcc con un patrimonio netto superiore a 200 milioni di euro: un limite che avrebbe permesso alla banca di Cambiano, una delle maggiori Bcc in Italia, di saltare l’asticella, assieme a un’altra dozzina di banche. Un’altra parte della polemica riguardò il fatto che nella conferenza stampa (e comunicato stampa) di presentazione della riforma il limite di 200 milioni fosse riferito non al patrimonio netto ma alle sole riserve (inferiori rispetto al patrimonio netto). Tra i più critici, all’epoca, ci fu il senatore della minoranza Pd Massimo Mucchetti. Il presidente della Commissione Industria del Senato scrisse una dura lettera pubblicata dal Fatto Quotidiano (l’Unità secondo quanto riportato in calce all’articolo non aveva voluto pubblicarla) nella quale sosteneva che la tassa una tantum (il 20% delle riserve) che la banca avrebbe dovuto pagare sarebbe stata troppo pesante per i conti dell’istituto. L’operazione è andata avanti e il primo gennaio 2017 è avvenuta la trasformazione in Spa. Il dettaglio che non è sfuggito ai più attenti è che, poco dopo, la banca ha annunciato un contenzioso in sede tributaria per evitare di pagare l’imposta (pari a 54 milioni di euro), a causa del fatto che la natura dell’Ente Cambiano, ovvero la società che ora raccoglie tutti i soci della Bcc, «per legge è rimasta quella di una cooperativa a mutualità prevalente». Se la way out risultasse a costo zero, ci sarebbe carburante per alimentare altre polemiche incendiarie.

La Bcc di Cambiano, renzianissima, è stata l’unica a scegliere di andare da sola. A caro prezzo, oltre 50 milioni. Soldi però che sono messi in discussione da un contenzioso annunciato dalla stessa banca. Se la way out risultasse a costo zero, ci sarebbe carburante per alimentare altre polemiche incendiarie

Anche Chiantibanca (sede a Monteriggioni, Siena) è una delle maggiori Bcc italiane. Ha 52 sportelli, 450 dipendenti, 24.700 soci e impieghi per 2,6 miliardi. Per un certo periodo si parlò anche di una fusione con la Bcc di Cambiano, ma il progetto è poi naufragato. Di certo c’è stato negli anni un piano di espansione, anche attraverso varie acqusizioni e, in tempi recenti, la banca ha inteso occupare gli spazi lasciati vuoti da Banca Etruria nei confronti delle piccole imprese. Negli anni Chiantibanca scorsi ha acquisito diversi istituti locali. Nel 2010 ci fu la fusione, che portò all’attuale nome, tra Banca del Chianti Fiorentino e Banca Monteriggioni. Nel 2012 si è aggiunto il Credito cooperativo fiorentino, che fu di Denis Verdini (accollandosi 35 milioni di sofferenze dell’istituto). Nel 2016 è stata la volta della Bcc Area Pratese e Banca di Pistoia. Chiantibanca si è insomma ingrandita e a lungo si pensò che potesse essere la banca più idonea per esercitare la way out, ossia l’opzione di non affiliarsi alla holding prevista dalla riforma delle banche del credito cooperativo.

Poi qualcosa cambiò: nella primavera del 2016 decise di scendere in campo un big del credito come Lorenzo Bini Smaghi, ex membro del board della Bce e attualmente presidente anche del colosso (quello sì) francese Société Générale. A lungo è stato indicato come vicino a Renzi, ma le interviste più recenti sono state tutt’altro che morbide. Che ci era andato a fare nel Chianti? Nelle interviste Bini Smaghi ha sempre parlato di un suo coinvolgimento motivato dal fatto che la sua famiglia è socia della banca da generazioni. Fatto sta che, appena arrivato, è scoppiato uno dei classici bubboni della finanza italiana. È arrivata un’ispezione di Banca d’Italia che ha fatto emergere due fatti: una mancata svalutazione per tempo del credito deteriorato. E, soprattutto, un‘alterazione della classificazione di Btp per 100 milioni inseriti a bilancio. Ne sarebbe stata cambiata la natura (da “available for sale” a “held to maturity“) per poterlo inserire tra le immobilizzazioni. Questo avrebbe comportato una sovrastima del patrimonio netto della banca. La combinazione dei due fattori ha portato a un risultato netto, per l’anno 2016, che è crollato da 7 milioni di utile a 90 milioni di perdita. Primo risultato dell’ispezione sono state le dimissioni di cinque i componenti del Cda. Non di Bini Smaghi, che era arrivato alla presidenza dopo che questi fatti erano avvenuti. Tra i dimissionari c’era l’ex direttore generale Andrea Bianchi (32 anni in Chiantibanca, di cui 18 da dirigente), che peraltro aveva in precedenza chiamato Bini Smaghi alla presidenza. Su queste manipolazioni la procura della Repubblica di Firenze ha appena aperto un fascicolo per ostacolo alla vigilanza e false comunicazioni sociali, per il momento contro ignoti. L’inchiesta si è attivata dopo una relazione dell’organismo di vigilanza della banca.

La seconda operazione dell’ex membro del board della Bce è stata la decisione di abbandonare le strada della way out per puntare verso il gruppo bancario che fa capo alla Cassa Centrare Banca di Trento, un raggruppamento che si è creato alla fine del 2016 come polo alternativo alla “romana” Iccrea (si veda su questa battaglia tra i due poli il precedente articolo de Linkiesta sul tema). Il banchiere ha sempre difeso la scelta parlando di spazi maggiori per l’espansione in Toscana e minori rischi di sovrapposizioni e quindi di chiusure (che si sarebbero avute sotto il cappello di Iccrea) e di un gruppo che sarebbe stato a suo dire mediamente più solido (in un’intervista ha citato un Cet1 medio del 20%). Ma sembra aver pesato anche il fatto che Ccb abbia sottoscritto un bond subordinato per 20 milioni di euro a supporto della banca toscana, nel momento di maggiore difficoltà a seguito delle rettifiche (da Trento si dice che la sottoscrizione non è collegabile alla scelta di andare verso Ccb). Il progetto della “way out“, spiega Luca Erzegovesi, docente di Finanza all’Università di Trento, si deve anzitutto all’ispezione di Bankitalia, che ha tolto risorse notevoli per portare avanti il progetto di trasformazione in Spa. Ma si deve soprattutto all’opera di Bini Smaghi, convinto che la banca non avesse più i mezzi per andare da sola e che la vigilanza della Banca d’Italia vedesse più di buon occhio l’entrata sotto un gruppo. A suggellare la decisione ci sono state due votazioni dell’assemblea di Chiantibanca: una all’assemblea straordinaria dello scorso 18 dicembre. E una nell’assemblea di domenica 14 maggio. Dove i vari punti all’ordine del giorno sono stati approvati, fino ad arrivare al colpo di scena finale: nella ObiHall di Firenze i voti per la lista di Bini Smaghi si sono fermati a 1.178. Quelli per la lista Fedelta alla Storia e alla Cooperazione sono stati 1.519. Il colpo di teatro è servito.

Nel voto anti-Bini Smaghi di domenica è stata decisivo il ruolo della Federazione Toscana delle Bcc. A guidarle Matteo Spanò, compagno di Renzi negli scout e da allora con una carriera andata di pari passo a quella dell’ex premier

Che succederà ora? Il neopresidente è Cristiano Iacopozzi, docente a contratto a scuola di Economia e management dell’Università di Siena, consulente e formatore (anche per conto della Federazione Toscana delle Banche di Credito Cooperativo ) ed è stato nominato martedì 16 maggio da un consiglio che aveva finito per presentarsi senza un candidato alla presidenza. Le prime dichiarazioni sono prudenti e volte a respingere l’accusa che la lista vincente sia legata alla gestione passata. Ma ci sono pochi dubbi sulla volontà di riportare la Bcc nel gruppo Iccrea. Uno degli appigli potrebbe esser trovare delle irregolarità nelle assemblee che hanno deliberato a favore di Trento. Il tempo c’è, spiega Erzegovesi, perché il termine ultimo per l’entrata nei gruppi è il maggio del 2018 e le votazioni che stanno avvenendo nelle assemblee delle Bcc di tutta Italia in questi giorni (in occasione dell’approvazione dei bilanci 2016) dovranno essere confermate da successive assemblee. L’ostacolo, aveva ricordato lo stesso Bini Smaghi, è piuttosto di tipo economico: Ccb ha sottoscritto un prestito subordinato di ChiantiBanca per 20 milioni e ChiantiBanca ha già aderito all’aumento di capitale di Ccb per 3 milioni.

Ma come si è arrivati a questa marcia indietro? Linkiesta ne ha parlato con un banchiere che ha descritto da dentro il mondo delle Bcc attraverso una serie di post sul sito di approfondimento economico Pianoinclinato.it, con lo pseudonimo di “Banchiere Cannibale”. «A sostenere la lista antagonista, che pure si presentava senza l’indicazione del presidente e con nomi poco o nulla noti, c’era tuttavia la voce della Federazione Toscana guidata da Matteo Spanò, da sempre favorevole all’adesione a Iccrea», spiega. Spanò è un banchiere, vicepresidente vicario di Federcasse, presidente della Bcc di Pontassieve e a dir poco vicino a Matteo Renzi. Lo conobbe negli anni Ottanta negli scout (di cui dal 2012 presiede l’associazione, Agesci). Da allora la sua storia è legata a quell’ex premier. Camilla Conti sul Giornale ha ricordato le varie tappe. Quando Renzi è presidente della Provincia, Spanò con la sua società Arteventi cura l’organizzazione del “Genio Fiorentino”, evento culturale promosso dalla Provincia. Quando, nel 2009, l’attuale segretario Pd diventa sindaco, la Bcc di Spanò finanziò la Chil Post, società del padre di Renzi. La pratica (come ha ricordato Camilla Conti su Il Giornale) fu istituita da Marco Lotti, padre di Luca, poi passato alla Bcc di Cambiano. Con Renzi sindaco, continua Il Giornale, Spanò è promosso presidente dell’associazione Museo dei Ragazzi (oggi si chiama Muse) controllata dal Comune.

Siamo quindi di fronte alla vittoria di un renziano in Chiantibanca, che si somma alla solida posizione dei renziani nella Bcc di Cambiano. Bisogna concludere che la svolta di Chiantibanca abbia motivazioni politiche? Secondo il Banchiere Cannibale le ragioni sono altre: «Questa scelta di posizione delle Federazioni regionali è naturalissima, così come quella a favore del Gruppo unico nazionale, motivandola con la maggiore efficienza ed economia di scala – commenta -. Le Federazioni hanno a mio avviso due strade di fronte: o estinguersi/ridimensionarsi, oppure contrastare la marea facendo pressioni sui soci che votino contro Trento in assemblea. Sono perciò cauto nell’abbracciare acriticamente la posizione di Bini Smaghi sull’identità dei “mandanti” della lista Fedeltà alla Storia ella Cooperazione, individuandoli nei vecchi amministratori, mentre più plausibile mi sembra l’ipotesi dell’interventismo delle Federazioni. La prova, naturalmente solo ex post, la si avrà con le prossime assemblee delle altre Bcc».

Perché l’assemblea ha bocciato Bini Smaghi? «Due sono le motivazioni possibili: o quella che fa riferimento ai “poteri forti” coagulatisi attorno al mantenimento del “credito facile”. Oppure quell’altra secondo cui Bini Smaghi fosse “malvisto” nel territorio perché rappresentante di istituzioni europee giudicate lontane dalle esigenze del territorio»


“Banchiere Cannibale”

Quali possono essere state le motivazioni che hanno fatto presa sui soci, convincendoli a votare per la lista Fedeltà alla Storia e alla Cooperativa? «Voglio credere possibile che la gente comune, i soci, i piccoli risparmiatori e artigiani clienti, ritengano non consono votare per una lista sospettata di legami con una gestione passata che ha causato perdite per 90 milioni ed è stata sanzionata da Banca d’Italia. Perciò a mio parere due sono le motivazioni possibili: o quella che fa riferimento ai “poteri forti” coagulatisi attorno al mantenimento del “credito facile”, oppure quell’altra secondo cui Bini Smaghi fosse “malvisto” nel territorio perché rappresentante di istituzioni europee giudicate lontane dalle esigenze del territorio. È difficile scegliere, entrambe hanno ragioni fondate per essere accolte».

Che succederà in futuro? «ChiantiBanca presenta bilanci solidi, perciò è plausibile aspettarsi che dopo la tempesta tornino calma e normale operatività – spiega il Banchiere Cannibale -. Se aderisse a Ccb, è mia opinione che ChiantiBanca abbia mani più libere per proseguire la sua strada di espansione dimensionale e territoriale, potendo anche contare su un notevole peso in Ccb, circa il 10%. Non ritengo realistico e opportuno che il nuovo CdA ritorni verso Iccrea, dovendo ribaltare la plebiscitaria votazione di dicembre a favore di Trento e avviando un tiro alla fune con la creatura di Giorgio Fracalossi per quanto riguarda la restituzione dell’aumento di capitale e del finanziamento ricevuto. Tuttavia sembra naturale pensare che il nuovo CdA si muova in tale direzione. D’altronde non è impossibile tornare indietro, anche se clamoroso e, a mio avviso, non profittevole per la Bcc toscana».

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