Trarre energia dai rifiuti è un obiettivo che si sta perseguendo a tutte le latitudini. Entro quest’anno a Copenhagen sarà attivato l’avveniristico impianto di smaltimento e valorizzazione energetica dei rifiuti di Amager Bakke, grazie al quale verranno raggiunti nuovi record per il trattamento degli scarti urbani, la produzione di energia e la salvaguardia dell’ambiente.
Nonostante le strepitose performances dichiarate, quella di Amager Bakke è l’ultima evoluzione di un processo vecchio quanto gli esseri umani: si tratta di bruciare i rifiuti per eliminarli e per recuperare parte dell’energia che vi è ancora intrappolata.
Già nel paleolitico, infatti, qualche pioniere dell’ecologia deve aver pensato che – invece di bruciare solo la legna – si potevano bruciare anche gli scarti prodotti dalla propria famiglia per scaldarsi e cuocere il cibo. Oltretutto, era anche più comodo: non doveva andare a raccogliere rami secchi e portarli fino alla grotta e, viceversa, non doveva andare a buttare i rifiuti da qualche parte. Geniale e molto green!
Per l’inceneritore di Copenhagen il principio di base, quindi, è sempre lo stesso, invariato nel corso del tempo: si ottiene energia spendendo altra energia. Come? Basta scaldare i rifiuti urbani (spendendo energia) che per loro natura sono ricchi d’acqua (ne contengono fino al 70%), fino a quando l’acqua viene eliminata e le particelle che li compongono passano allo stato gassoso. In questo modo possono finalmente bruciare liberando la propria energia. E’ a questo punto che i rifiuti possono scaldare grotte, palafitte, case e grattacieli.
Da un secolo e mezzo abbiamo imparato che è più efficace ed ecologico raccogliere i rifiuti e bruciarli in grossi impianti dedicati piuttosto che nel cortile dietro casa o dietro grotta. Dai primi inceneritori nati a Nottingham nel 1874 e a Manhattan nel 1885, raccogliere tutti i rifiuti della città, concentrarli in un posto e bruciarli tutti assieme presenta dei vantaggi in termini di efficienza e permette anche di fare avvenire la combustione in modo più controllato.
L’avveniristico impianto Amager Bakke fa parte della classe degli inceneritori a grate, ha una efficienza energetica enorme rispetto alle generazioni precedenti, ma ancora limitata solo al 28% proprio perché deve trattare i rifiuti ad alta temperatura e fare evaporare tutta l’acqua che contengono per poterli valorizzare. Inoltre, deve raffreddare e gestire in modo adeguato tutti i gas e i fumi prodotti per limitare l’inquinamento dell’ambiente.
Il processo prende il nome di termoliquefazione e permette di trasformare in bio-olio la frazione umida dei rifiuti solidi urbani. Il bio-olio prodotto si può impiegare direttamente come olio combustibile oppure si può inviare a un successivo stadio di raffinazione, ad esempio nella raffineria Eni di Sannazzaro. Si ottengono così biocarburanti da usare nelle nostre automobili
Al Centro Ricerche Eni per le Energie Rinnovabili e l’Ambiente hanno pensato di fare un grande passo avanti guardando ancora più indietro rispetto al nostro amico del Paleolitico, pensando bene di studiare un evento naturale molto più grande e più antico e della durata di diverse centinaia di milioni di anni.
Questo processo, basato sulla decomposizione anaerobica dei primi organismi viventi, ha permesso di creare e di accumulare nelle viscere della terra il petrolio e il gas naturale che ben conosciamo. Quella volta per la natura sono stati necessari milioni di anni e enormi pressioni che hanno sviluppato temperature elevatissime. Ma all’Eni hanno imparato a replicare l’intero processo in due o tre ore a temperature di soli 250-310 C. E per giunta senza dover prima eliminare l’acqua.
Il processo prende il nome di termoliquefazione e permette di trasformare in bio-olio la frazione umida dei rifiuti solidi urbani (vale a dire: il contenuto del cassonetto dell’umido, che spesso chiamiamo impropriamente “dell’organico”).
Il bio-olio prodotto si può impiegare direttamente come olio combustibile oppure si può inviare a un successivo stadio di raffinazione, ad esempio nella raffineria Eni di Sannazzaro. Si ottengono così biocarburanti da usare nelle nostre automobili.
Detto in altri termini, meno tecnici e per la semplificazione i miei colleghi mi perdoneranno, i principali vantaggi del processo sviluppato nel Centro Ricerche Eni per le Energie Rinnovabili e l’Ambiente di Novara sono molteplici. Innanzitutto (e non è banale) si usa come materia prima una materia di scarto per la quale esiste già una filiera di raccolta, offrendo al contempo una soluzione alternativa e virtuosa alla gestione dei rifiuti/fanghi delle aree urbane; si tratta la biomassa umida così com’è evitando i costi per l’essiccamento caratteristici di tutti gli inceneritori (compreso l’Amager Bakke!); sono sufficienti condizioni più blande rispetto ad altri processi termici di conversione come la gassificazione (800-1000 °C) o la pirolisi (400-500 °C). Inoltre si produce un bio-olio con elevato contenuto di carbonio ed elevato potere calorifico (circa 35 MJ/Kg) e la resa energetica è di oltre l’80%, nettamente superiore rispetto alla valorizzazione dei rifiuti a biogas (50-60 %) ed agli inceneritori (10-30 %);
Dopo il primo impianto pilota, realizzato a Novara e in grado di trattare mezza tonnellata di rifiuti per volta, è in corso la realizzare di un impianto dimostrativo molto più grande.
Questa rivoluzionaria classe di impianti per la gestione dei rifiuti umidi può dare al nostro Paese un decisivo contributo per il raggiungimento degli obiettivi fissati dalla Direttiva Europea sulle fonti rinnovabili nei trasporti (RES), consentendo di ottenere un biocarburante avanzato da materie prime di scarto. E riprendendo la ormai celebre frase che usano i colleghi impegnati in questa ricerca: Come natura crea, ma molto più in fretta!