“Mi chiamo Maria Giuseppina, Geppi è un nome d’arte tipo Shalpy. Mia mamma mi ha dato il nome di nonna che però si chiamava Maria Giuseppa. Geppi, con due p e la i normale, di imbuto”. Anche se lo scrivono tutti con la y. Così si presenta Geppi, con due p e la i di imbuto, Cucciari al Festival di SkyArte che si è tenuto a Napoli il primo weekend di maggio. Si parla di percorsi, stop, ripartenze, progetti e rimpianti con la certezza che la volatilità del lavoro, per un’artista, come probabilmente per chiunque altro, debba essere uno sprone e non un limite. Comica, conduttrice, attrice, speaker radiofonica a Un Giorno Da Pecora, nel corso della sua carriera Geppi non si è fatta mancare nulla. Nemmeno le interviste, anche se non le piacciono quando è lei a dover rispondere alle domande, e i commenti di chi la vede in tv e pensa di conoscerla o di poterla avvicinare per un autografo o un selfie in qualsiasi momento, persino durante un funerale. Un ottimo spunto per uno sketch, un’ottima occasione persa per tacere. Per fortuna si può ridere di tutto. O quasi.
Il tuo percorso lavorativo. A che punto sei?
Il mio percorso, come sempre, è complesso e in divenire, pieno di bivi, di stop, di ripartenze. Lo stesso vale per tutti quelli che fanno questo mestiere in cui fare progetti è bene, saperli cambiare altrettanto. Definire un percorso significa avere una grande lucidità nella vita, cosa che non possiedo.
Però a un certo punto questo percorso avrà pur avuto un inizio. Quando hai deciso di voler fare questo mestiere?
Quale mestiere?
Tra radio, tv, cinema, scrittura. Scegline uno.
No, non credo sia possibile. Mi piace tutto, non ho una particolare attrazione verso un solo campo tra quelli di cui mi occupo. Se ci fosse qualcosa che non mi piace, del resto, non lo farei.
Quindi cosa fai?
Ho sempre voluto fare qualcosa che avesse a che fare con la leggerezza, la comicità e l’umorismo.
Ispirata da…
È qualcosa che arriva da lontano. Fin da giovanissima avevo dei bollori sessuali per Dean Martin e Jerry Lewis. Soprattutto Dean, mi sembrava così buffo, allegro. Poi ho maturato la passione per Bud Spencer e Terence Hill ma anche qui solo uno dei due mi smuoveva delle pulsioni.
Poi queste pulsioni sono diventate spirito di emulazione?
No, già a cinque anni volevo fare la comica.
Era successo qualcosa in particolare?
La prima volta che feci ridere un pubblico di persone ero all’asilo. Fui un’indimenticabile cugina di Bernadette alla recita di fine anno. Ero la bimba più piccola che prendeva parte a quella rappresentazione. Ringrazio ancora suor Pierina per avermi dato questa possibilità. Avevo solo una battuta, era: “Bernadette, c’è la Madonna!”. Riuscii a dire: “Madonna, c’è Bernadette!”. Tutta la gente rise e io sul momento non capii bene cosa stesse succedendo. Poi sono stata sul palco anche al liceo, i professori ci facevano recitare Pirandello e Brecht. Anche lì, di nuovo, avevo l’istinto di rendere comici personaggi che in realtà non lo erano per niente, sulla carta.
Vuoi dire che ci sei nata?
Forse. Ma la decisione definitiva l’ho presa quando un Capodanno, su una rete che non citerò ma che fa rima con Sky, fecero incontrare Dean Martin e Jerry Lewis dopo tanto tempo. Loro piansero perché avevano litigato e non si vedevano da un bel pezzo. Lì ho visto un momento di sensibilità, qualcosa che andava oltre la semplice risata e mi sono convinta. L’ho detto subito in casa e forse se avessi detto che volevo spacciare l’avrebbero presa meglio. “Prima ti laurei, poi fai quello che vuoi”, così reagirono i miei.
E così è andata…
Mi sono laureata in Giurisprudenza con un po’ di fatica. Subito dopo mi sono messa a fare pratica legale e poi ho liberato il mondo del diritto da questa presenza disturbante. Già ai tempi di notte facevo cabaret, di giorno andavo a lavorare prima da un avvocato e successivamente da un notaio. Arrivavo con le occhiaie alla zuava e con delle magliette improbabili. Quando me ne sono andata il notaio mi ha detto: “Finalmente andrà a far ridere da qualche altra parte, non più nel mio studio”.
Ho iniziato a parlare di uomini e donne a Zelig quando la gente mi confondeva con questo personaggio pensando che mangiassi tutto ciò che mi capitava davanti o che non riuscissi a trovarmi un uomo. Entrambe cose piuttosto vere, tra l’altro. Ma non è piacevole che te le ricordino quando stai andando a fare la spesa
L’hai preso in parola. A proposito di cose che fanno ridere, guardi programmi comici in tv?
Io guardo tanta tv, Rai Mediaset, Sky, adoro SkyArte, i documentari, Netflix, tutto. Secondo me devi conoscere lo strumento nel quale ti vuoi esprimere anche guardando cose che magari non faresti mai per una serie infinita di ragioni. Quindi guardo anche la comicità.E ti fa ridere?
Dentro.Profondamente, dunque?
Credo che sia molto difficile farmi ridere. Ho un aspetto un po’ corrucciato quando lavoro perché questa è la mia espressione sempre. Il mio sguardo non è totalmente divertito anche quando la situazione in cui magari mi trovo lo è. Non rido facilmente.Dici che questo è il problema, insomma?
Di chi?Tuo. Il problema è che è difficile farti ridere, non che non ci siano cose divertenti in tv…
Rido con molta morigeratezza, mettiamola così. In generale ho dei problemi con la volgarità perché ho un forte potere immaginifico legato alla parole, mi si crea subito un’immagine nella testa. Per questo, e parlo per me, non uso parolacce, non parlo di determinate parti del corpo. Assumuno subito una forma reale. Mia madre mi ha sempre tenuto in guardia sulla volgarità, ci teneva alla mia verginità pubblica. Non ho mai parlato di sesso, per quanto se ne sa, potrei essere vergine.Hai parlato molto di uomini, però.
E per questo ho lasciato Zelig.In che senso?
Ho iniziato a parlare di uomini e donne a Zelig quando la gente mi confondeva con questo personaggio pensando che mangiassi tutto ciò che mi capitava davanti o che non riuscissi a trovarmi un uomo. Entrambe cose piuttosto vere, tra l’altro. Ma non è piacevole che te le ricordino quando stai andando a fare la spesa. Zelig, del resto, faceva il 44 % di share, sempre ammesso che questo numero significhi qualcosa in generale. Nello specifico voleva dire che, una volta passata su quel palco, tutti o quasi ti riconoscevano per strada perché ti avevano vista in tv. Quando però ho visto questa confusione tra “persona” e “personaggio” da parte di chi mi guardava da casa, ho smesso di continuare a lamentarmi in televisione. Nonostante questo, ancora oggi mi dicono: “Ah, ma tu sei quella grassa!” oppure “Allora? Ce l’hai il fidanzato?”.Siamo certi che ti chiedano anche altro.
Sì. Ad esempio: “Funziona il bifidus?”.Funziona?
Guarda, sono molto grata di aver fatto quel percorso nella pubblicità ma anche lì mi sono sentita di interromperlo quando le persone sembravano avermi identificata con quel prodotto. Stessa situazione che si era creata con Zelig, insomma. Sarò anche rude ma queste cose mi offendono. In quel periodo ero un po’ dimagrita e la gente prendeva questo come prova del fatto che quello yogurt funzionasse, poi avevo preso qualche chilo e allora no, era tutta una bufala. Ma vaffanculo, una donna non vale quanto pesa. La gente pensa che io sorrida poco e tenda a stare sulle mie perché adesso me lo posso permettere. Quello che non sanno è che prima ero peggio! La notorietà è un lato della vita con cui ti devi confrontare. Una volta mi hanno chiesto un autografo in chiesa. Ero a un funerale. Non ho altro da aggiungere.E al tuo percorso lavorativo senti di avere altro da aggiungere, invece?
Sì, certamente. A marzo dell’anno prossimo anno tornerò a teatro con un monologo in cui finalmente farò qualcosa di diverso rispetto a quello che in genere mi chiedono di fare.Chi ti chiedono di fare?
Me stessa. Al cinema, ad esempio, sono sempre lo stesso personaggio. Un po’ nevrotica, arrabbiata ma divertente, dopotutto. Ci tenevo a fare qualcosa che non mi somigliasse, un viaggio diverso per tirarmi fuori cose differenti. Ed è questo quello che farò a teatro. Non dico altro, lo vedrete. Spero.C’è davvero una discrepanza così forte tra quello che sei e come ti vediamo?
Sì e no. Non sono “quella del bifidus”, “quella che odia gli uomini”, “quella che mangia tanto” e, in generale, mi dà fastidio che mi si identifichi con una cosa sola. Dentro ho un condominio di persone. Forse come tutti, non so. In questo condominio c’è un inquilino seduto in fondo alla sala, vicino all’uscio. Non lo ascolto quasi mai, la sua voce è come se fosse nascosta dal casino che fanno tutti gli altri. Oppure parla poco. Quando ci sentiamo, però, devo dire che non sbaglia mai. Soprattutto sul lavoro. Ed è un bene visto che, di mio, quando faccio qualcosa non sono mai contenta e vedo solo i difetti. Nonostante tutto, però, ho più progetti che rimpianti.Dopo il G’Day ho smesso di parlare con gli elettrodomestici. Al massimo può capitare che mi faccia due chiacchiere con il forno, ogni tanto. Seriamente, ho avuto la fortuna di fare tante altre cose in tv ma quel programma lo sentivo mio, lì ero davvero libera di essere me stessa. Con tutto il condominio di cui sopra
Prossimo progetto, oltre al teatro?
Ho scritto un film con Barbara Alberti e Paolo Zucca. Si comincia a girare a settembre.Trama?
Grossomodo è questa: alcuni agenti americani scoprono che un uomo in Sardegna ha comprato la luna. È un pescatore, dice che la luna è sua perché gli serve per lavorare.Quindi torni a recitare al cinema?
No, non comparirò in questo film. Ho solo contribuito a scriverlo.Nel 2012 hai vinto il’Oscar della Tv come miglior personaggio femminile dell’anno. Dove lo tieni?
Nel cuore.È un bel modo per dire che l’hai perso?
Allora secondo me uno sportivo è giusto che esponga i propri premi in casa, una persona che fa il mio mestiere è giusto che si tenga il ricordo del giorno in cui ha vinto qualcosa.Ne vincerai un altro?
Può sempre succedere tutto.Ti manca il G’Day?
Qui tocchi un tasto dolente.Perché parli ancora con il frigo?
No, dopo il G’Day ho smesso di parlare con gli elettrodomestici. Al massimo può capitare che mi faccia due chiacchiere con il forno, ogni tanto. Seriamente, ho avuto la fortuna di fare tante altre cose in tv ma quel programma lo sentivo mio, lì ero davvero libera di essere me stessa. Con tutto il condominio di cui sopra. Questo anche grazie ad una formidabile squadra di autori e di persone che lavoravano a questo progetto che ora, infatti, stanno facendo altre cose bellissime in campo televisivo. Il G’Day è arrivato dopo Victor Victoria e Victor Victoria è arrivato, quasi a sorpresa, dopo che avevo lasciato Zelig e della mia vita non sapevo bene cosa ne sarebbe stato. Avevo passato l’estate a progettare di aprire un chiringuito da qualche parte nel mondo. È stato un periodo molto bello, felice.Una canzone che ascolti quando sei felice.
Sono ossessiva con le canzoni, non dipende tanto dall’umore. Ci sono periodi in cui ne ascolto solo una, ma sempre. Adesso è il turno di Poison di Alice Cooper. Non mi chiedere perché, non c’è un motivo, ma ce l’ho nelle cuffie di continuo. Venivo da una fase Aznavour, appena conclusasi, poco prima ci sono stati gli Abba. Magari qualcosa di più recente mi capita di ascoltarlo, il mio periodo Florence and The Machine, ad esempio, è stato bellissimo e ve la consiglio. Il fatto è che vivo di ossessioni, musicalmente, come nella vita in generale.In generale, è vero che non ti piacciono le interviste?
Le odio.