Giovani e lavoro: il 63% ora chiede nuove modalità di rappresentanza collettiva

L'Italia resta ancora agli ultimi posti per assunzione di "nuove leve" nel mercato del lavoro, con un tasso di occupazione al 53,7%, staccato di quasi 20 punti dalla media Ue. Per questo motivo i giovani italiani ora chiedono una nuova rappresentanza collettiva che li aiuti a cambiare verso

Giovani e lavoro, una storia impossibile. La situazione delle nuove generazioni nel mercato del lavoro italiano continua a non brillare di luce propria, nonostante l’uscita dalla fase più acuta della crisi. Non è servito nemmeno il programma triennale europeo “Garanzia Giovani” per cambiare verso, tant’è che l’Italia continua ad essere il Paese che lascia maggiormente i giovani in inoperosa attesa tra il non studio e il non lavoro.

A confermarlo è la ricerca “Giovani, lavoro e rappresentanza”, realizzata nell’ambito del “Rapporto Giovani” dell’Istituto Giuseppe Toniolo, in collaborazione con il sindacato dei metalmeccanici Fim Cisl della Lombardia e presentata mercoledì 10 maggio a Milano nell’ambito del X Congresso dello stesso sindacato.

Secondo lo studio, condotto a febbraio 2017 su un campione di 2000 giovani dai 20 ai 34 anni, la percentuale di Neet (Not in Education, Employment or Training) nella fascia 15-34 è pari al 26%, oltre 10 punti sopra la media europea e il tasso di occupazione in età 25-29 è pari al 53,7%, staccato di quasi 20 punti dalla media Ue. Di questo i giovani italiani ne sono consapevoli e ragionevolmente preoccupati. In particolare, ciò che mette in allerta le ‘nuove leve’ è la difficoltà del trovare un lavoro che consenta di guadagnare abbastanza per non vivere alla giornata e progettare un proprio futuro (27,9%). La tanto sognata realizzazione nel proprio lavoro invece viene dopo (25,3%) così come il tipo di contratto, che, date le circostanze, può andar bene anche se non è a tempo indeterminato, ma solo se il lavoro è ben remunerato (23,5%). Su livelli più bassi, la richiesta che il lavoro non sia totalizzante (e vada a comprimere la vita extra-lavorativa) e che l’ambiente di lavoro sia positivo.

Ma le giovani generazioni italiane non devono far fronte solo alla mancanza di lavoro, bensì anche al cambiamento in atto dello stesso dovuto all’impatto di tre grandi trasformazioni: Invecchiamento della popolazione, Immigrazione e Innovazione tecnologica. In questo caso, è interessante notare come la percezione dei giovani italiani rispetto alle cause individuate, cambi a seconda del titolo di studio raggiunto. Considerato il fattore immigrazione, infatti, la maggior parte di coloro che denunciano una possibile concorrenza dei ‘nuovi arrivati’ possiede il titolo della scuola dell’obbligo (65%), mentre soltanto la metà dei laureati ne è convinta (33%). Per quanto riguarda i rischi di posti di lavoro bruciati dall’innovazione tecnologica – e in particolare dall’automazione dei processi produttivi -, si passa dal 64% di persone abbastanza o molto preoccupate tra chi ha il titolo inferiore al 55% per i laureati, presentando quindi una posizione non troppo discordante. La preoccupazione, invece, verso il ricambio generazionale, bloccato in alcuni settori per l’estensione della permanenza al lavoro delle generazioni più anziane, risulta traversale alle varie categorie sociali.

Nonostante ci sia una minoranza che crede nell’intraprendenza personale (44,2%), per la maggior parte dei giovani italiani (69,7%) sono il governo con le sue politiche pubbliche e le aziende con i propri investimenti i soli in grado di allargare le possibilità di occupazione. Ma c’è di più: i sindacati, per il 51,6% dei giovani possono avere un ruolo positivo sulla possibilità che tali politiche vengano realizzate

Secondo Alessandro Rosina, curatore dell’indagine dell’Istituto Toniolo e docente di Demografia e Statistica Sociale all’Università Cattolica, «i dati della ricerca mostrano come esista una forte consapevolezza da parte dei giovani non solo delle difficoltà presenti nel rapporto con il mondo del lavoro ma anche dell’impatto, su rischi e opportunità, delle grandi trasformazioni in corso. Tutto questo alimenta un’ampia domanda di rappresentanza nelle nuove generazioni che rimane ad oggi largamente insoddisfatta. La risposta, secondo gli intervistati, può arrivare dall’emerge di forme nuove di rappresentanza collettiva o da un forte rinnovamento delle forme esistenti».

Nonostante ci sia una minoranza che crede nell’intraprendenza personale (44,2%), per la maggior parte dei giovani italiani (69,7%) sono il governo con le sue politiche pubbliche e le aziende con i propri investimenti i soli in grado di allargare le possibilità di occupazione. Ma c’è di più: i sindacati, per il 51,6% dei giovani possono avere un ruolo positivo sulla possibilità che tali politiche vengano realizzate. Ed è proprio da quest’ultimo dato che deriva un elemento rilevante della posizione dei giovani italiani rispetto alla domanda di rappresentanza espressa, per non trovarsi in ordine sparso e impreparati di fronte alle sfide presenti e future.

Lo studio segnala che solo una minoranza (8,8%) sostiene che nessuna possibilità di rappresentanza a favore dei giovani sia possibile, mentre il 15,1% pensa che sia possibile all’estero ma non in Italia. Nonostante ciò la grande maggioranza della categoria chiede a gran voce una rappresentanza, ma si divide sugli strumenti: per il 12,7% è più utile trovarsi uniti occasionalmente su obiettivi specifici, al contrario per quasi un intervistato su due è necessaria una struttura organizzata. Più precisamente, metà di chi chiede una struttura di quest’ultimo tipo sostiene che la forma più adatta possa arrivare da un rinnovamento degli attuali sindacati (31,7%), mentre per l’altra metà (sempre 31,7%) servirebbero proprio dei nuovi sindacati, capaci di superare i limiti di quelli attuali nel rispondere alle nuove esigenze del mercato del lavoro.

A migliorare la posizione riguardo gli enti in questione, inoltre, non è tanto l’aiuto alla possibilità di fare carriera (8,3%), ma la tutela del posto di lavoro e le condizioni personali (17,4%) e il fatto che i sindacati forniscano servizi utili ai lavoratori, fiscali o relativi a certificazioni e pratiche (19,7%). Ma a interessare maggiormente i giovani italiani è la capacità del sindacato di operare per favorire e rafforzare le condizioni di lavoro in generale (44,7%). Anche in quest’ultimo caso, è interessante mettere a confronto i livelli di istruzione: chi ha un titolo basso tende a dare più importanza al sindacato come istituzione che tutela il proprio posto di lavoro (20,3%) rispetto a chi possiede una laurea (15,2%); viceversa chi ha titolo alto tende ad accentuare la visione del sindacato come istituzione in grado di migliorare le condizioni di lavoro in generale (48,3%) contro il 41,5% di chi si è fermato alla scuola dell’obbligo. In ogni caso anche tra chi si è fermato solo alla scuola dell’obbligo il consenso verso un’azione di miglioramento delle condizioni generali delle nuove generazioni risulta doppio rispetto a chi limita il ruolo del sindacato alla difesa di chi ha già un lavoro.

La ricerca dimostra, allora, che esiste una forte richiesta da parte delle giovani generazioni del Bel Paese di una rappresentanza che faccia loro da portavoce in materia di lavoro. Come sottolinea Enrico Civillini, segretario generale della Fim Cisl Lombardia: «Oltre alla richiesta al sindacato di rinnovarsi profondamente per poter garantire una risposta convincente ai bisogni di rappresentanza, cogliamo con favore la voglia dei giovani di partecipare e di contare in uno spazio che dia loro protagonismo. I giovani hanno bisogno di esempi positivi e ci consegnano ancora un credito di fiducia che non possiamo sprecare, chiedendoci di dare loro un ruolo nei processi di sviluppo del Paese e di poter far parte di un’associazione che, partendo dalla soluzione dei problemi collettivi, possa dare risposta anche alle esigenze individuali».

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