È l’incubo di tantissimi lavoratori ed è stato alla base dei numerosi provvedimenti presi a vantaggio degli esodati dopo la riforma delle pensioni firmata da Elsa Fornero. Parliamo della possibilità di ritrovarsi a 50-55-60 anni senza un lavoro, essere costretti a cercarlo, a sentirsi rispondere che vengono assunti solo giovani, solo neo-laureati, o 20enni cui applicare l’apprendistato.
I dati Istat diffusi in questi giorni parlano chiaro. Aumento della disoccupazione tra i cinquentenni. Eppure non bisogna sottovalutare un altro dato: I numeri ci dicono che l’assunzione di ultra-50enni non è più un tabù.
I dati resi noti dall’INPS mostrano che nel 2016 il 16,3% di tutte le nuove assunzioni è stata di persone oltre i 50 anni. Si tratta di una percentuale non irrilevante, soprattutto perchè in ogni caso il numero di lavoratori anziani alla ricerca di lavoro è certamente più ridotto di quello di giovani aspiranti se non altro alla prima occupazione.
Come sempre il dato più importante è rappresentato dal trend, che mostra cosa è cambiato rispetto agli anni passati. Ebbene, le assunzioni di ultra-50enni sono quelle in maggiore aumento rispetto al 2014. È accaduto sia nel 2015, quando abbiamo assistito a un deciso aumento generale delle assunzioni, grazie soprattutto agli sgravi fiscali, sia nel 2016 quando vi è stato un generale rallentamento.
Il numero di over 50 che hanno trovato un lavoro è cresciuto del 22,3% nel 2015 e del 17,8% nel 2016. Il secondo aumento maggiore nelle altri classi di età è quello dei 40-49enni nel 2015. I più giovani, fino ai 24 anni, hanno visto un incremento non superiore al 10% circa in entrambi gli anni, mentre nel 2016 si è avuto un grosso calo del tasso di crescita dei nuovi posti per chi ha tra i 25 e i 49 anni, l’area oggi realmente più critica per l’occupazione.
C’è di più, i dati visti includono tutti i tipi di lavoro, inclusi quelli stagionali o in apprendistato, ma se prendiamo in esame il principe dei contratti, quello a tempo indeterminato, la proporzione di assunzioni di ultra-50enni aumenta: nel 2016 ha raggiunto il 19,5%, contro il 17,5% dell’anno precedente.
È degno di nota che prendendo chi ha più di 40 anni complessivamente si arriva al 45,8%, era il 42,9% nel 2015. Mentre nel 2016 non si è saliti oltre il 38,4% nei contratti a termine.
Di fatto il calo delle assunzioni a tempo indeterminato l’anno scorso ha colpito molto di più i più giovani rispetto ai più anziani.
Nel 2016 anzi il segmento degli ultra-50 enni è l’unico che ha visto una significativa crescita di nuovi contratti permanenti, +4,7%, mentre per le altre classi di età in molti casi si è assistito a un calo, come quello del 4% per i 30-39 enni.
Attenzione, non stiamo parlando di qualcuno che ha già un lavoro.
Sappiamo come la proporzione di occupati più anziani in questi anni sia cresciuta molto. È l’effetto della riforma Fornero e in parte di quelle precedenti: i lavoratori sopra i 50 anni, in grandissima parte a tempo indeterminato, risultano sempre di più.
Tra il 2014 e il 2016 i 50-64 enni sono passati dal 30,9% al 33,1%. E sono cresciuti del 9,2% sul 2014 al contrario dei più giovani.
La maggioranza di questi non ha mai dovuto cercarlo un lavoro negli ultimi anni, rientra nelle statistiche semplicemente perchè non si è ritirato come facevano i loro coetanei di qualche tempo fa.
I dati però oggi ci dicono che una parte maggiore di quel che si immagina di questi occupati è tale perchè ha compilato un CV, risposto ad annunci, sostenuto un colloquio ed infine è stato assunto nonostante la “veneranda” età.
D’altronde la retribuzione media degli assunti a tempo indeterminato nel 2016 è cresciuta da 1891€ a 2008€, il 6,2%. E’ un segno chiaro di una preferenza, in un momento di minore ricorso al contratto permanente, per professionalità più alte, o per personale con esperienza.
È chiaro che è necessario ora un cambiamento culturale che forse però in parte è già in atto.
Se è sempre meno tabù assumete un 50enne specializzato, un manager, un professionista, quello che ci si aspetta, per mettere fine a quel “panico sociale” sulla mobilità lavorativa oltre una certa età, è che lo stesso possa accadere anche per quelle figure con minore specializzazione. D’altronde la fascia delle persone attive più anziane è anche quella con l’istruzione minore.
Quel che è certo è che ancora una volta alcuni stereotipi e spauracchi sul mondo del lavoro, che tanto contribuiscono anche alla determinazione di politiche governative, appaiono molto ridimensionati davanti alla realtà in evoluzione.