TaccolaDa Torino a Pescara, i confidi al capolinea si moltiplicano

Confidi Adriatico a un passo dalla liquidazione, le difficoltà di Unionfidi Piemonte: gli istituti di garanzia per i prestiti sono in difficoltà, quelli confindustriali ancora di più. La soluzione delle fusioni con gli altri confidi artigiani e commerciali serve a prendere tempo

(VINCENZO PINTO / AFP)

La crisi dei Confidi non si arresta. Le società finanziarie che garantiscono i prestiti alle piccole e medie imprese attraverso un sistema mutualistico stanno vedendo altri pezzi del loro sistema attraversare difficoltà profonde, se non irreversibili. A volte, ed è il dato preoccupante, anche dopo aggregazioni che avrebbero dovuto ridurre i rischi e migliorare l’efficienza.

Ultimo caso critico, in ordine di tempo, è quello che riguarda Confidi Adriatico, frutto della fusione, lo scorso anno, tra Confidi Mutualcredito di Pescara e Fidindustria Puglia Consorzio Fidi, di Bari. A quanto risulta a Linkiesta, la richiesta inoltrata alla Banca d’Italia per l’iscrizione nell’Albo dei confidi vigilati (ex art. 106 TUB) è stata respinta in due occasioni. La prima volta nell’agosto 2016, la seconda nelle scorse settimane, dopo la presentazione di un nuovo programma di attività per il triennio 2017-2019. La mancata iscrizione si deve al fatto che la situazione patrimoniale, anche in prospettiva, non viene considerata idonea a garantire al confidi di operare in condizioni di sana e prudente gestione. Dalla società, a cui è stato chiesto se Via Nazionale avesse approvato o meno l’iscrizione, si risponde che la domanda è ancora in corso di istruttoria. Il bilancio 2016, aggiungono dalla società, è stato approvato dall’Assemblea Ordinaria dei soci del 28 aprile ed è in corso di pubblicazione sul sito aziendale. A Linkiesta risulta che la società di revisione contabile Kpmg abbia dichiarato l’impossibilità di esprimere un giudizio sul bilancio 2016.

Il presidente di Confidi Adriatico, Andrea Leone, ha rasssegnato le dimissioni (circostanza confermata dalla società). A dicembre si era dimesso il vicepresidente ed ex presidente di Confidi Mutualcredito, Giorgio Di Rocco. Ora il futuro del confidi abruzzese-pugliese è appeso a un filo. Secondo quanto ricostruito da Linkiesta, in un recente cda si è valutata l’ipotesi di una messa in liquidazione della società. In seguito i vertici hanno deciso di valutare un piano B, consistente nel cercare un altro confidi di dimensioni maggiori con cui realizzare un nuovo merger. Confidi Adriatico, a cui è stato chiesto un commento sull’attuale prospettiva di continuità aziendale della società, ha risposto che “Si evince dal paragrafo 12 della Relazione degli Amministratori sulla gestione”. L’ultimo bilancio a cui fare riferimento, il 2015 di Mutualcredito, ha ritenuto “valido l’utilizzo della continuità aziendale per la predisposizione del bilancio d’esercizio”. Ma poco prima si faceva riferimento all’aspettativa che la Banca d’Italia avrebbe autorizzato l’iscrizione all’Albo 106 e alla consapevolezza dei «rischi esogeni e indogeni insiti sia nel raggiungimento degli obiettivi dimensionali e di redditività previsti nel piano 2015-2017 nonché nel rafforzamento patrimoniale previsto per fine triennio tramite l’emissione di 5 milioni di euro di azioni di partecipazione cooperativa».

La società Confidi Mutualcredito, commentano fonti sindacali, negli anni passati si era distinta positivamente per l’attenzione mostrata verso i lavoratori, ai quali aveva garantito il passaggio dal contratto commercio al più generoso contratto credito. A guida e composizione del personale prevalentemente femminile, è stata a lungo considerata un caso positivo. La crisi è coincisa con quella più generale dei confidi e con quella delle banche territoriali dell’Abruzzo. Nella regione, va ricordato, sono state incorporate, dopo difficoltà e ristrutturazioni, ben cinque banche del territorio, tradizionali clienti dei confidi: BLS e Carispar, incorporate da Bper, Tercas e Caripe, passate in Banca Popolare di Bari, e CariChieti, passata, dopo mille scandali, in Ubi assieme ad altre due delle famose quattro popolari risolte nel 2015 (Etruria, Banca Marche, Cariferrara e appunto CariChieti). A Confidi Mutualcredito le cose sono cominciate ad andare male 3-4 anni fa, quando le pratiche si sono assottigliate e le sofferenze delle aziende sul territorio sono esplose. Nel 2015, dopo contratti di solidarietà e cassa integrazione in deroga, si è arrivati all’uscita volontaria di una decine di persone sul totale di 23 dipendenti, evitando la procedura di licenziamento collettivo. «Ho chiesto un incontro con la società, perché ci sono delle possibilità di effettuare un piano di abbassamento dei costi attraverso contratti di solidarietà», commenta Francesco Trivelli, segretario generale di Fisac-Cgil Pescara e coordinatore di Fisac Abruzzo-Molise.

Ultimo caso critico è quello di Confidi Adriatico. Il bilancio 2016 non è stato approvato. La richiesta inoltrata alla Banca d’Italia per l’iscrizione nell’Albo dei confidi vigilati è stata respinta. E sarebbe stata anche valutata la messa in liquidità della società

Il caso di Confidi Adriatico non è però certo isolato. Tutte le società di garanzia mutualistica del credito stanno patendo alcuni problemi comuni. L’aumento delle sofferenze, in primis, e la possibilità di accesso al Fondo centrale di garanzia anche da parte delle banche, che quindi non hanno più bisogno di appoggiarsi a un confidi. E che soprattutto possono mettere zero euro di capitale a copertura di quei crediti, e avere la vita più facile nei passaggi dei vari stress test della vigilanza bancaria europea. Una circostanza che dovrebbe attenuarsi grazie a una riforma del Fondo Centrale di Garanzia che assegnerà una garanzia percentualmente minore alle imprese con rating alto, quelle che avrebbero comunque i finanziamenti.

Detto questo, tra i diversi tipi di confidi a soffrire di più in questi anni sono stati quelli industriali, aderenti al mondo di Confindustria. A questa categoria appartengono sia Confidi Adriatico sia Unionfidi Piemonte, con sede a Torino, città dove c’è stato il crack più rumoroso del comparto, quello di Eurofidi. Del caso Unionfidi si è occupato di recente il quotidiano online Lo Spiffero. Anche in quel caso siamo di fronte a un bilancio 2016 non ancora approvato. Si attende inoltre di capire di più dell’esito di un’ispezione di Bankitalia. «Gli ispettori avrebbero rilevato una situazione di notevole sofferenza ascrivibile, in particolare, a perdite su crediti inesigibili che hanno finito per erodere il patrimonio», si leggeva nella ricostruzione del giornale online. Secondo indiscrezioni raccolte da fonti attendibili – continuava l’articolo -, a mettere in crisi finanziaria il consorzio sarebbe stata anche la svalutazione di un pacchetto di azioni di Veneto Banca acquistate in eccedenza rispetto al prestito subordinato concesso dall’istituto di credito veneto, finito nella bufera. «La perdita, in questo caso, si aggirerebbe attorno a un milione 700mila euro. Cui va aggiunta un’ulteriore svalutazione di accantonamenti effettuata nel recente passato di un ulteriore mezzo milione». A Linkiesta da Unionfidi confermano che il bilancio 2016 non è stato approvato e che l’approvazione del bilancio è uno degli ordini del giorno delle assemblee separate a Torino e Cosenza del 26 giugno e di quella generale del 7 luglio. Se si debba passare da un aumento di capitale non è ancora chiaro. L’istituto è in attesa di ricevere la relazione della Banca d’Italia a seguito dell’ispezione. «Il momento è certamente complicato per il sistema dei Confidi, e non solo per quelli appartenenti al comparto confindustriale», commenta Giuliano Sanlorenzo, direttore generale di Unionfidi S.C.. «Sono attualmente in corso valutazioni sulle possibili azioni utili a rafforzare un sistema che dimostra segni di debolezza».

Tra i diversi tipi di confidi a soffrire di più in questi anni sono stati quelli industriali, aderenti al mondo di Confindustria. A questa categoria appartengono sia Confidi Adriatico sia Unionfidi Piemonte, che ha subito di recente un’ispezione di Banca d’Italia

Ma perché i confidi industriali sono più colpiti? Al netto di considerazioni sulle gestioni e sull’ingerenza della politica locale, ci sono dei caratteri strutturali. Nei confidi industriali ci sono aziende di maggiori dimensione rispetto, per esempio, a quelli artigiani. Il rischio viene meno frazionato. Inoltre si viene a creare un effetto di selezione avversa: le aziende di dimensioni medie e medio-piccole che sono in condizioni buone hanno accesso al credito presso le banche normali. Ai confidi si rivolge chi ha più difficoltà di ottenere i prestiti. Da qui la maggiore incidenza di sofferenze.

La lettura viene sostanzialmente confermata anche da Federconfidi, l’associazione confindustriale del comparto. Per porre un rimedio a queste situazioni di fragilità, da qualche anno è iniziato un processo di fusione – appoggiato dalle associazioni di categoria – di confidi all’interno delle varie regioni (o interregionali, come nel caso di Confidi Adriatico, tra Abruzzo e Puglia) e appartenenti spesso a categorie datoriali diverse: industriali, artigiane e commerciali. Così è avvenuto in Emilia-Romagna, dove nel 2016 c’è stata la fusione per incorporazione di Fidindustria nella Unifidi di Cna e Confartigianato. In Lombardia è stata creata nel 2015 Confidi Systema!, dalla fusione per incorporazione in Artigianfidi Lombardia di Confidi Lombardia, Federfidi Lombarda, Cofal (Consorzio fidi agricoltori lombardi) e Confidi Province Lombarde. Dinamiche simili si sono avute in Trentino, in Friuli e nelle Marche. Ultimo della lista è stato l’accordo in Campania tra la Gafi e la Confidi Regione Campania. In genere queste aggregazioni sono state accompagnate da contributi regionali anche cospicui. La dimensione e la capacità di dotarsi di uffici di gestione del rischio più strutturati sono elementi di forza, come hanno avuto modo di sottolineare gli ultimi rapporti sui confidi in Italia curati dal Comitato Torino Finanza, istituito presso la Camera di commercio di Torino.

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