Gli stranieri trovano lavoro più degli italiani? Sì, e la colpa è delle nostre imprese

Con la ripresa dell’economia l'occupazione degli stranieri cresce più di quella degli italiani. Colpa non della "invasione" degli immigrati, ma della struttura della nostra economia, fatta prevalentemente di lavori poco specializzati e qualificati

Sì, è vero, gli stranieri residenti nel nostro Paese hanno più lavoro degli italiani, e con la ripresa dell’economia la loro occupazione sta crescendo più di quella dei locali. È un dato che probabilmente è destinato a rinfocolare una guerra tra poveri in Italia, soprattutto visto che è proprio tra gli immigrati che possiedono un basso titolo di studio, e non tra i laureati, che aumentano le possibilità di lavoro. È quanto ci confermano gli ultimi dati ISTAT, che mostrano che dalla fine alla recessione ad oggi il tasso di occupazione dei cittadini stranieri residenti nel nostro Paese (59,7%) è cresciuto quasi di pari passo con quello degli italiani (56,92%).

Anzi, a dire il vero guardando solo all’aumento del tasso dal primo trimestre 2014, vi è stata una crescita, per gli stranieri, di poco superiore, di alcuni decimi.

Si tratta di un dato importante soprattutto dal punto di vista qualitativo perché è un’inversione di tendenza rispetto al periodo della grande crisi, quando il lavoro degli extracomunitari è stato più falcidiato rispetto a quello degli italiani.

La statistica più significativa però è quella relativa ai dati assoluti. In breve la crescita del numero di occupati stranieri è stata del 8,5% a inizio 2017 rispetto al primo trimestre 2014, mentre quella di occupati italiani del 2,59%. Per essere ancora più chiari in confronto a tre anni fa ci sono circa 701 mila lavoratori in più, e di questi 514 mila sono italiani, e 187 mila stranieri, ovvero il 26,7% dei nuovi occupati è immigrato, una proporzione molto maggiore di quella presente globalmente nel nostro Paese, inferiore al 10%.


È questa la dimostrazione dell’”invasione”? No, al massimo è la dimostrazione delle condizioni strutturali della nostra economia, che ha necessità di un lavoro poco specializzato e qualificato, per non dire disponibile allo sfruttamento. Una domanda di lavoro che genera una competizione tra italiani e stranieri concentrata solo in alcuni settori, e per questo probabilmente ancora più pericolosa.
È quanto emerge chiaramente dai dati sull’aumento di occupazione per titolo di studio Ebbene, negli ultimi 3 anni tra gli italiani è stata massima la crescita del tasso di occupazione tra i laureati, +2,92%, mentre quello di chi aveva una licenza elementare o media è rimasto al palo. Esattamente l’opposto di quanto accaduto tra gli stranieri, tra cui è in ascesa più di tutte l’occupazione di chi ha la licenza media, +3,73%, mentre è solo del 0,39% la crescita di quella dei laureati.

Così diventa sempre più ampia la differenza di occupazione tra chi ha lo stesso livello di istruzione. I laureati stranieri hanno sempre meno lavoro rispetto agli omologhi locali e gli italiani con la licenza media sempre meno rispetto a quelli con lo stesso titolo tra gli stranieri.

Si crea una barriera crescente tra italiani e non italiani nel mercato del lavoro, che diventa ancora più segmentato e diviso. C’è un settore dei servizi o della manifattura ad alto valore aggiunto in cui i laureati italiani, e solo loro, negli ultimi anni stanno ricominciando a trovare lavoro, e c’è l’amplissimo campo dei lavori poco specializzati, nell’agricoltura, nella logistica, nella ristorazione, in cui in taluni casi lo straniero, più malleabile, è forse preferito.

L’effetto è doppiamente negativo. Da un lato c’è il potenziale conflitto che nasce dalla crescente competizione nell’ultimo segmento dell’economia, quello più povero, in cui la coperta è più corta. E dall’altro lato la minore integrazione tra le comunità. Se la presenza degli stranieri si concentrerà sempre più solo in alcuni settori, quelli in cui gli stipendi sono più bassi e la disoccupazione maggiore, sarà inevitabile l’accentuarsi dell’attrito con quella parte di italiani più sensibile al messaggio para-razzista, agli allarmi sull’”invasione”.

Lo stiamo già vedendo. Se un tempo la narrazione dei partiti più populisti e contrari all’immigrazione era più ideologica e nazionalista, e faceva presa, in Italia e all’estero, su un pubblico trasversale, in cui non mancava la borghesia cittadina, ora si rivolge sempre più alle classi popolari. L’argomento usato non è più solo e tanto quello astratto dell’identità e della tradizione, ma anche quello delle peggiorate condizioni economiche di chi lavora in settori economici impoveriti e dei timori per la criminalità di chi sta in periferia, anche al di là delle statistiche reali. Il target è appunto quel segmento di società italiana che più è in contatto con la comunità straniere.

Ma forse il dato peggiore è quella mancata crescita dell’occupazione degli stranieri laureati, che sono già pochi rispetto a quelli negli altri Paesi europei. Avremmo un enorme bisogno di vedere sempre più immigrati presenti in Italia trovare lavoro come ingegneri, medici, insegnanti, consulenti finanziari. Sarebbe l’inizio della vera integrazione, vorrebbe dire una distribuzione equilibrata degli stranieri all’interno della vita economica del Paese, una minore pressione su settori già deboli, un minore conflitto. Ma il trend che sta invece emergendo non permette di farsi molte illusioni.

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