Nell’ottobre del 2014, Adelphi pubblicò Sette brevi lezioni di fisica, un libretto di sole 78 pagine con cui, con sorpresa di molti e con gaudio di Adelphi, il fisico italiano Carlo Rovelli scalò le classifiche vendendo nel solo primo anno di vita più di 300mila copie. Fu una specie di miracolo, prima ancora che una notizia. In Italia in media i libri vendono meno di 300 copie l’uno, mica 300mila. Per non parlare della saggistica, poi, e per non accennare nemmeno di striscio, all’interno della stessa saggistica, al micro mondo dei saggi di fisica.
Eppure accadde: un saggio si mise a fare a spallate con i bestseller nelle classifiche natalizie, poi in quelle primaverili, poi in quelle estive, alla fine gli tenne testa per un anno. Un caso più unico che raro dovunque, figuriamoci in Italia. E infatti al miracolo abbiamo gridato in tanti; come se quel volumetto aggraziato e minuto, con la sua tranquillizzante copertina adelphiana ci avesse fornito la prova che fosse ancora possibile fare quantità con la qualità, tirar fuori un bestseller senza parlar di tette e culi, finire in classifica con la scienza.
Ora da quella sbronza sono passati quasi tre anni e noi ci ritroviamo a leggere il nuovo libro di Carlo Rovelli, intitolato L’ordine del tempo, un volume più corposo — più del doppio di pagine — e decisamente più complicato visto l’argomento. E lo leggiamo con piacere, confidando con il passar delle pagine che l’incantesimo delle Lezioni si rifaccia vivo, sperando che funzioni e che anche questa volta, almeno per un attimo, ci faccia confidare al miracolo. Ma seppur sia lo stesso Rovelli a tentare di spiegarci, proprio con questo libro, che il tempo sostanzialmente non esiste e che il rapporto tra passato, presente e futuro non è quello che abbiamo sempre pensato, dalle Lezioni sembrano passati secoli.
Nel giro di questi tre anni, il mondo è cambiato moltissimo: Charlie Hebdo, Bataclan, Ebola, Trump, Brexit. E in tutto questo marasma urlato di breaking news, di attentati, di epidemie, di paure, si è imposta un’etichetta a tentare di definire una nuova epoca: la post verità.Etichetta pericolosa, insidiosa, infame come solo sanno essere le etichette post, ma che, malgrado la sua inesattezza — si suggerisce un cambio in corsa con “post autorevolezza” — è lì, davanti a noi e in mezzo a noi ogni giorno ormai.
Quella che descrive è un’evidenza ormai chiara a tutti: la mappa della conoscenza così come la conoscevamo, quella che negli ultimi trecento anni si era faticosamente costruita con le sue vette e le sue fosse, altezze e profondità che sancivano la differenza sostanziale tra l’autorevolezza qualitativa di un Lancet, un Nature o uno Science rispetto al blog della prima Farfallina84 che capitava, si è disintegrata, è scomparsa lasciandoci orfani, oltre che a livello ideologico, ora anche a livello gnoseologico.
Al posto di quella orografia del sapere fatta di Everest e di Fosse delle Marianne, ora ci ritroviamo una mappa praticamente opposta, ridisegnata, le cui altezze e profondità vengono misurate a like, a visite, a click. A un mondo scientifico il cui metodo è stato la più grande pietra angolare su cui costruire la modernità si è sostituito un mondo post-scientifico la cui pietra angolare è l’ego della gente, la soggettività esasperata, l’opinionismo da social network e il risultato non è semplicemente imbarazzante, è proprio pericoloso.
Cosa c’entra questo discorso con il bel volumetto dato alle stampe da pochi giorni da Adelphi? C’entra, eccome se c’entra. Perché nel mondo in cui viviamo oggi, a differenza di quello di soli tre anni fa, l’ecosistema in cui questo libro si trova a battagliare per trovare i suoi lettori si è trasformato da impervio a dichiaratamente ostile. E non è tanto perché questa volta le pagine sono più del doppio del precedente, né per il fatto che l’argomento sia decisamente molto più complesso. L’ostilità in questo caso è una variabile indipendente dal libro, è legata al mondo che c’è fuori.
È un mondo difficile, in cui scorrazzano con egual diritto ed egual danno i Trump, gli Al Baghdadi, le Le Pen, i Beppe Grillo; un mondo in cui migliaia di genitori scelgono di smettere di vaccinare i propri figli, l’altra metà crede all’esistenza di un gioco che convince al suicidio i loro figli, un mondo in cui si fa fatica a insegnare le teorie evoluzioniste a scuola, in cui contano ancora di più i preti e gli imam piuttosto che le donne e gli uomini di scienza. Un mondo in cui i Rovelli sono messi con le spalle al muro e in cui sta diventando sempre più complesso discutere con lucidità e competenza sulle cose senza finire a fare a botte su un’opinione.
Quindi, se proprio per questo lasciarsi trasportare da Rovelli nelle pieghe dello spazio tempo è un’esperienza notevole, a tratti lirica, magica, emozionante come un film di avventura, è anche, innegabilmente e per lo stesso motivo, un’esperienza difficile, complessa, a tratti frustrante. E questo nonostante la bravura dell’autore di restare fedele a un vocabolario quanto più comprensibile a tutti; nonostante i suoi sforzi di guidare sia la lettura che la “non lettura”. Mirabile a questo proposito l’invito a prendersi del tempo per riflettere di pagina 43. «Caro lettore», scrive Rovelli dopo aver spiegato che il presente è totalmente relativo, «fai una pausa, e lascia che questa conclusione sia assimilata dai tuoi pensieri. Secondo me, questa è la conclusione più stupefacente di tutta la fisica contemporanea».
Ognuna delle 180 pagine di questo libro suggerisce al lettore un’idea di complessità che è sempre più difficile salvaguardare in questo mondo di egocentrici baciapile riduzionisti. E ognuno di quelle pagine, infatti, fa venire la vertigine. Una vertigine doppia, in realtà. La prima, buona, è quella della conoscenza, un viaggio in acido verso le porte della percezione, della nostra identità e finanche del nostro posto nell’Universo. La seconda, cattiva, è una vertigine di paura, quasi di panico. Quella che ti spinge ad alzare la testa dal libro, guardare con sospetto chi ti sta attorno, sulla metro, sul treno, in biblioteca, sul tram e pensare che sta arrivando veloce il giorno in cui, per difendere la legittimità della scienza di fronte alla magia, al tifo positivista e alla superstizione religiosa, per difendere la complessità di quel che descrive Rovelli di fronte a un mondo riduzionista, ci sarà da combattere.