È proprio vero: il crimine non paga. Soprattutto se sei membro di una piccola gang giapponese di Nagoya, nel centro del Paese e ti ritrovi a dover svaligiare negozi di alimentari perché, altrimenti, non hai niente per mangiare. È successo alla fine di maggio: due membri dell’organizzazione mafiosa, uno di 52 anni e l’altro di 59 (quindi, già un po’ stagionati) sono stati colti sul fatto dalla polizia. Stavano rubando circa 700 euro di cibo da un negozio di alimentari. “Il nostro gruppo è così povero che siamo stati costretti a rubare per mangiare”, si sono giustificati.
Ma come: il criminale mafioso, da che mondo è mondo, annega nei soldi. Si accende i sigari con le banconote, viaggia in macchine lussuose (guidate da un autista) quando non è su un elicottero, si circonda di belle donne e tratta con i più importanti uomini della politica e della società. Ebbene, non è sempre così. In particolare la banda di Nagoya, che si era appena staccata dalla Yamaguchi-gumi, la più importante associazione mafiosa giapponese, non avrebbe niente di tutto questo: sono anziani, poveri e un filo sprovveduti.
In Giappone, dopo la sconfitta nella Seconda Guerra Mondiale, le bande mafiose sono state tollerate perché considerate un male necessario: permettevano di mantenere l’ordine e la sicurezza nelle strade e aiutavano il governo a rendere più veloci alcune operazioni (senza molti scrupoli sui mezzi utilizzati). Di conseguenza, a differenza della mafia italiana e/o americana, la yakuza è del tutto legale. O almeno, non è illegale.
Il problema è che, complice anche la crisi, la libertà d’azione della yakuza viene ristretta sempre di più: non possono nemmeno aprire un conto in banca, adesso. E neppure ricevere email. Insomma, saranno anche leciti, ma molto in difficoltà. Per questo non c’è nulla da stupirsi se, dopo anni di vacche grasse, alla fine anche loro comincino a derubare i negozi di alimentari. Come dei delinquenti qualsiasi.