Non sopporti le persone grasse? Hai un grosso problema

È ora di parlare di grassofobia, un fenomeno diffusissimo di cui nemmeno ci accorgiamo. Il libro di Gabrielle Deydier, “Non si nasce grassa”, spiega perché un rapporto malsano con il cibo è tipico di tutta la società e non solo degli obesi

Perché ci si sente infastiditi quando una persona obesa si siede accanto a noi nel treno, o disturbati se mangia una brioche per la strada – ma non si accorgono di essere già grassi? Si chiama “grassofobia” questo sentimento, ed è un fenomeno diffusissimo come spiega Gabrielle Deydier, l’autrice di un saggio appena uscito in Francia, nel quale dimostra che la grassofobia la dice lunga sul rapporto con il cibo ed il corpo che hanno non solo le persone obese, ma un’intera società.

Sei al ristorante. Il bambino al tavolo accanto chiede un dolce alla mamma. “Tesoro, non vuoi mica finire come quella signora, vero?” Oppure in una pasticceria, ordini due cornetti sotto lo sguardo sprezzante della cliente seguente che dice: “per me, ne basta uno”. Quando l’ascensore è pieno, gli altri danno la colpa a te perché occupi troppo spazio. Il dentista, prima ancora di guardarti in bocca teme che il suo sedile si rompa. Quanto al medico, qualunque sia il motivo della visita, farà necessariamente un accenno al peso eccedentario. Una sera, dormi in un ostello e, siccome russi, la ragazza accanto ti sveglia urlando: “Mi fai schifo cicciona, sei grassa, sei brutta, ora ti registro e ti metto su YouTube”.

È proprio con questa scena che si apre il libro-inchiesta della francese Gabrielle Deydier, “On ne naît pas grosse” (Non si nasce grassa, éditions Goutte d’Or). 1,53m, 150 kg, e una vita intera a dover scusarsi perfino di esistere, a subire commenti e sguardi storti. Ed è per questa ragione che ha deciso di scrivere: per non scusarsi più, e per richiamare l’attenzione del pubblico su quest’odio quotidiano, estremamente diffuso, anche se tuttora ignorato: la grassofobia, ovvero la stigmatizzazione delle persone obese.

Il termine di grassofobia (grossophobie) viene usato già da tempo in Francia da una rete molto vivace di attiviste femministe e anti-grassofobia. Denunciano le derive nella piazza pubblica oppure nei media e scambiano liste di medici considerati ‘safe’, cioè aperti a curare persone grasse e a esaminarle senza fare una smorfia di disgusto. Però finora, la discussione stenta ad oltrepassare questi ambiti ristretti.

“Ma essere grassi non era cattivo per la salute?” “È sbagliato ricordare a queste persone che basterebbe “darsi una mossa’?” Chi lotta contro la grassofobia, o semplicemente vive in un corpo obeso, ha per forza sentito queste riflessioni varie volte. “È troppo facile nascondersi dietro l’argomento della salute, reagisce Gabrielle Deydier. Quando entro in un bar, non inizio mica a fare grandi discorsi sui pericoli dell’alcol e della cirrosi al fegato.”. E puntualizza: “è giusto lottare contro l’obesità, ma non bisogna confondere lotta contro l’obesità e lotta contro le persone obese. Quelli che usano tali argomenti non hanno idea di cosa siano realmente l’obesità e le sue sofferenze.”

«È troppo facile nascondersi dietro l’argomento della salute, reagisce Gabrielle Deydier. Quando entro in un bar, non inizio mica a fare grandi discorsi sui pericoli dell’alcol e della cirrosi al fegato.»

Dietro il corpo di un obeso c’è infatti molto di più di una golosità sfrenata, una scarsa attività fisica e una gran pigrizia – come si tende a pensare. I fattori vanno da problemi genetici o metabolici a disfunzioni ormonali, alimentazione squilibrata, povertà e problemi psicologici. O, come nel caso di Gabrielle, un insieme di cause.

La sua storia inizia con una ragazzina un po’ cicciottella, come spesso succede, che, nell’estate dei suoi 16 anni compra un paio di jeans taglia 42 (46 italiana). “Ma è una taglia per obese!”, reagisce sua madre. Aiutata dalle compagne di classe, Gabrielle prova varie diete che non riesce a seguire, finisce per vedere un medico che le diagnostica erroneamente uno sbilanciamento ormonale e le prescrive medicine e una dieta ipocalorica. È un disastro: i farmaci le fanno venire brufoli enormi, la dieta è troppo severa. Gabrielle non ce la fa, comincia a sgarrare, a compensare l’odio del proprio aspetto mangiando di più, e di nascosto. Da quel momento, il suo rapporto con il cibo non sarà mai più sano e spontaneo.

Il tema dell’alimentazione è stato probabilmente il più difficile da confessare, ammette nel suo libro. All’inizio, “pensavo di poter fare a meno”. “Mi sembrava una sfida insormontabile. Scrivere sul mio rapporto con il cibo supponeva smettere di mentire a me stessa. Ma anche rivelare a chi mi conosce una realtà vergognosa, con il rischio di apparire come un mostro, un’ammalata mentale incapace di controllare le proprie pulsioni”.

Eppure, nel parlare di questo rapporto distorto e di come il cibo possa diventare un compenso e un modo di automutilazione di fronte alla sofferenza di non corrispondere al modello dominante di bellezza, l’autrice va ben oltre il caso degli obesi. Si rivolge in effetti anche ai disturbi del comportamento alimentare che, senza necessariamente essere visibili, colpiscono un numero di persone ben più alto. E chiede: “perché è così difficile per una donna riconoscere di essere golosa? Perché il fatto di mangiare molto in pubblico viene considerato come poco femminile e come un segno di debolezza?”

Non è un caso che il libro “Non si nasce grassa”, appena pubblicato in giugno, abbia già suscitato numerose interviste e recensioni sulla stampa francese. Ma è stata la reazione del pubblico a sorprenderla di più: “Sono rimasta stupita, racconta, dai numerosi commenti positivi, che non venivano necessariamente da persone in sovrappeso, ma da donne che si sono riconosciute nel mio racconto, in quello che dico su questa pressione permanente e sul sentimento di non essere all’altezza, di non corrispondere all’ideale di bellezza”. “Non avrei mai potuto immaginarlo, conclude, ma alcune mi hanno perfino detto che, grazie a questo libro, oseranno perfino mettersi in costume quest’estate”.

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