I politici sono corrotti. Gli immigrati rubano. I medici fanno gli interessi delle multinazionali. E non parliamo dei giornalisti: raccontano balle. Tutto vero? No. O forse sì. Vediamo. La crisi dei nostri giorni è racchiusa soprattutto in questo, nella mancanza di fiducia. Che poi è legata strettamente alla perdita di autorità e di autorevolezza: a chi possiamo affidarci nella nostra navigazione quotidiana? La fiducia è la vera merce rara che si tira dietro gli altri grandi temi del dibattito pubblico: il lavoro, i giovani, i nuovi immigrati. Per ogni idea, per ogni parola detta, per ogni decisione presa scatta in tempo reale la gara ad affermare il contrario, a smontarne le ragioni e a criticarne gli effetti. Solo perché così si fa.
Se ne dovranno rendere conto, i tanti appassionati di lunghi dibattiti come quello attorno alla nuova legge elettorale in Italia. Sono dibattiti che il pubblico fatica a seguire, non riesce a sentirsi coinvolto: chi mi vuole fregare? Ma non si può dare la colpa solo al pubblico. Capita, da cronisti, di seguire l’appuntamento elettorale del politico di turno, che per strada viene fermato soprattutto per un selfie da collezione, non importa se poi lo si voti o meno. Sorrisi, battute, abbracci. Una volta che l’onda passa oltre, il commento: questi si fanno vedere solo quando cercano voti, poi spariscono. Un po’ come accade ai giornalisti, appunto, accusati di arrivare là dove si fiuta un titolo ad effetto, per poi ripartire alla caccia di una nuova preda.
No, non è una legge elettorale che può restituire fiducia ai cittadini. E non sarà una campagna giocata sul pericolo delle bufale a trasformare le convinzioni più diffuse. La fiducia è tutta da (ri)conquistare, nell’epoca dei commentatori seriali che si affidano soltanto alla propria visione del mondo per dire una parola definitiva su qualsiasi argomento. Hai voglia a fare un appello per dire che vaccinarsi è utile, se ti viene risposto: perché dovrei fidarmi? Nemmeno i numeri sugli effetti della prevenzione fanno riflettere, perché viene instillato il dubbio che non siano veri. Se poi un insegnante decide di caricare i propri studenti di compiti delle vacanze, si alza il muro dell’indignazione: chi si crede di essere per decidere come i nostri figli devono passare il tempo? Persino la carità cristiana ne va di mezzo. Se un parroco chiede di accogliere degli immigrati, la prima obiezione che viene mossa è: quanto ci guadagna?
Nessuno si fida più di nessuno. Le uniche parole a cui aggrapparsi restano gli slogan. È un’epoca in cui piovono i paroloni dei tempi di guerra. Quante volte sentiamo descrivere qualcosa che sta accadendo proprio con il termine ‘guerra’? E ci sono i traditori. E i patrioti. Sono slogan anche i messaggi apocalittici di quelli che chiedono un voto per cambiare tutto, perché tutto quello che c’è stato finora è sbagliato. Sono slogan quelli su cui si consuma il dibattito sulla società multietnica: i ‘falsi profughi’ contro ‘i muri da abbattere’. Slogan anche quelli che cercano di spiegare i cambiamenti imprevisti con il proliferare di ‘fake news’. Se il pubblico crede alle ‘fake news’, il problema non sono le ‘fake news’ ma è appunto la fiducia che non c’è più. L’unica azione consentita è ormai quella di schierarsi: o di qua o di là rispetto agli slogan.
Si è arrivati a questo punto perché ci sono pochi punti di riferimento condivisi. Colpa della tecnologia che ci ha messo tutti in rete abbattendo le gerarchie. Colpa della crisi finanziaria che ha fatto emergere le profonde diseguaglianze della globalizzazione. Colpa della rottura dell’ordine mondiale, diranno i più esperti, che ha messo in dubbio la mappa dei buoni e dei cattivi che sembrava immutabile dopo la caduta del Muro di Berlino. A chi ci si può affidare se tutto è uguale, se una scelta vale l’altra, se l’amico di ieri è il nemico di oggi? Probabilmente se ne uscirà riconquistando la dignità dei ruoli sociali desacralizzati. Dei politici, dei preti, degli insegnanti, dei giornalisti, dei medici.
Soprattutto occorrerà uscire dal tunnel delle parole. E offrire esempi di vita. Gli unici in grado di mettere davvero in discussione le idee.
@ilbrontolo