«Sembriamo la terza classe del Titanic» dice, ridendo, una ragazza in fila nell’apparentemente immobile e kilometrica coda dei “posti in piedi” per il concerto di Carmen Consoli all’Anfiteatro del Vittoriale. Sono le 21.20, il live inizierà a minuti e la speranza di entrare per tempo si affievolisce di secondo in secondo. Al controllo borse ci informano che non si tratta di un semplice sold out, di quelli tanto in voga ultimamente, bensì di un overbooking. E se troverete questa parola hashtaggata sulla cover del prossimo disco indie-mainstream più on air di Chihuahua nell’estate 2003, potete mandarci una colorita bestemmia via polizia postale. Lo capiremo.
Stipati, appiccicati e impertinenti nella piccionaia dell’anfiteatro, riusciamo ad entrare tutti, anche noi della terza classe, prima dell’inizio. C’è il lago di Garda a fare da sfondo al palco, si sta alzando pure un venticello fresco, quasi fin troppo per essere il 29 luglio.
La Cantantessa appare sul palco, scenografia ridotta al minimo, con un lungo abito nero e, imbracciata la chitarra, si comincia.
La scaletta non è delle più semplici. L’apertura è affidata a un brano in dialetto siciliano, poi Maria Catena, Mio Zio, una cover di Joni Mitchell (Little Green). Chi si aspettava una serata karaoke per la prima metà del concerto resta a bocca asciutta. E per grazia di Dio, visto che poche cose sono più fastidiose di chi ti si sgola di fianco durante un live. Una bella mano di autotune o ve ne tornate a vendere il cocco bello sotto il sole di Riccione, ragazzi. «Si dice che ogni artista abbia il pubblico che merita» rompe il ghiaccio Carmen «e allora io da stasera posso pure cominciare a montarmi un po’ la testa».
Chi si aspettava una serata karaoke per la prima metà del concerto resta a bocca asciutta. E per grazia di Dio, visto che poche cose sono più fastidiose di chi ti si sgola di fianco durante un live
Tutto bello, tutto giusto.
Ma la domanda, seppur un po’ impertinente, resta: come diavolo ha fatto la Cantantessa a portarsi a casa un overbooking? Non si vede mai in tv, la sua presenza sui social è evidentemente affidata a uno staff che si limita a dare informazioni sulle date dei concerti senza ricamarci troppo sopra e, quel che è peggio, la Consoli non fa nemmeno mezza storia Instagram. In pratica, nel periodo storico-musicale in cui stiamo vivendo, è una zebra a pois, un’anomalia del sistema, qualcosa che non dovrebbe nemmeno esistere per le vigenti logiche di marketing e product placement. Eppur si muove, eccome se si muove, verrebbe da dire.
Ora come ora, quando chiunque faccia o tenti di fare di musica strombazza ai quattro social di essere #1 perché il suo è il brano più ascoltato dalla cassiera dell’Iper di Carugate, in questa gara a chi ce l’ha più lungo, il follower, la Cantantessa appende i like al chiodo e, appunto, imbraccia la chitarra.
Mettiamoci pure che alle spalle la Consoli ha un disco, L’abitudine di Tornare, uscito nel 2015 dopo cinque anni di silenzio assoluto. Un album pregevole seppur poco passato in radio e non esattamente Spotify Viral. Questo perché, come disse qualcuno che di queste cose, di musica, sa scrivere bene, lo fa da un sacco di tempo (più che altro per anzianità, forza di inerzia e mutuo da pagare): “non si può pretendere di fare un disco senza hit”. Eppure Ottobre e la Signora del Quinto Piano (versione originale) avrebbero avuto tutte le carte in regola per esserlo, delle hit. Anzi, peccato non averle sentite live visto che l’intero L’Abitudine di Tornare è stato risolto con la titletrack senza approfondire oltre.
Ma, quindi, perché c’erano così tante persone a vedere una che “non vende più”? Per ascoltare dal vivo i successi della sua carriera pluridecennale, certo, ma Carmen Consoli non è mica Albano e Romina, non è i Cugini di Campagna. Carmen Consoli non è, allo stesso tempo, nemmeno la voce più bella del panorama musicale italiano (citiamo Elisa o Giorgia, tanto per fare due esempi al volo). Però è senza ombra di dubbio quella migliore. Potrebbe suonare come un controsenso, ma no, non lo è. Carmen Consoli con una chitarra in braccio è la musica nel senso più pieno, libero e viscerale del termine. Non sa di finto, mai. Non ha quel ruffiano retrogusto di plastica da ipermercato. Alla presentazione de L’Abitudine di Tornare disse che avrebbe fatto un nuovo disco se e quando si fosse ritrovata ad avere qualcosa da dire. Altrimenti avrebbe continuato la sua vita, tra la spesa al mercato, il figlio Giuseppe e tanti saluti alle luci della ribalta. Un discorso del genere, che trova poi attestazione nel tempo, nei fatti, è un atteggiamento del tutto rivoluzionario nei confronti dell’industria musicale per come è concepita (male) oggigiorno. Per questo Carmen è un’icona, un bene da tutelare, da esporre in pensieri, parole, opere e opinioni per mostrare agli altri come si fa. O come si dovrebbe fare.
Carmen Consoli non è, allo stesso tempo, nemmeno la voce più bella del panorama musicale italiano (citiamo Elisa o Giorgia, tanto per fare due esempi al volo). Però è senza ombra di dubbio quella migliore. Potrebbe suonare come un controsenso, ma no, non lo è. Carmen Consoli con una chitarra in braccio è la musica nel senso più pieno
Tornando al live, nonostante qualche assenza illustre del calibro di In funzione di nessuna logica, Bambina impertinente, Besame Giuda e Stato di Necessità, ci sono state le famigerate “hit”. Incredibile quanto la forza del testo di Amore di Plastica, classe 1996, trascini tuttora orde di fanciulle di ogni età che la cantano a cannone come per dirgliene quattro a quello stronzo di Gianluigi. Gianluigi, non volerci male, ma per aver suscitato una frustrazione del genere qualcosa devi aver pur fatto. La prossima volta vedi di ricordarti almeno il suo compleanno, amico Gianluigi, chiunque tu sia. Prima di ritrovarti a vagare nel buio con una Venere storpia.
L’Ultimo Bacio, Mandaci una Cartolina, Parole di Burro (immortale tributo alla sensualità) e si chiude con Blunotte mentre il venticello di inizio serata si trasforma in un principio di tromba d’aria che pone fine al live un po’ più bruscamente del previsto.
Le persone, quelle in piccionaia ora stanno davanti a tutti, pure ai Poltronissima sotto palco, corrono alle macchine controvento, inciampano, sfoderano k-way (ma, seriamente, chi esce con un k-way il 29 luglio?), se ne tornano a casa soddisfatte.
Saper mettere in fila le parole è un dono.
Riuscire a farle durare nel tempo, un’arte.
Carmen Consoli che sfida una tromba d’aria chitarra e voce portando a termine un’impeccabile Blunotte è la cartolina più vivida, rivoluzionaria e reale di una musica italiana ancora eroica, significativa, possibile. Senza bisogno di hashtaggare l’#overbooking.