I Cinque Stelle alla prova del Nord. E stavolta non possono sbagliare

Sì dai grillini ai referendum per l'autonomia, è loro il quesito lombardo. Ma se vogliono andare a governare la vera sfida è raddoppiare i consensi alle Politiche del 2018. Per questo servirà uno sforzo (anche) comunicativo in più

Per provare a vincere le prossime elezioni Politiche, il Movimento 5 Stelle dovrà conquistare le terre che si sono finora mostrate più diffidenti nei suoi confronti. Quelle del Nord. Una questione di numeri: fra Lombardia, Piemonte e Veneto si concentra quasi un terzo dell’elettorato italiano, senza contare il fondamentale contributo del suo sistema economico al Pil nazionale. Ma è anche una questione di posizionamento politico, perché è al Nord dove il centrodestra a trazione leghista ha ricominciato a macinare consensi. L’obiettivo del movimento di Beppe Grillo è dunque di raggiungere il 20% anche in quelle regioni. A partire dalla Lombardia, che mette a disposizione un decisivo numero di seggi parlamentari. E per riuscirci si concentrerà molto probabilmente su un messaggio differenziato rispetto a quello che verrà portato per esempio al Sud. Si dovrà parlare meno di reddito di cittadinanza e più di impresa, sicurezza e immigrazione. La strategia sarà però chiara solo a fine settembre, dopo che sarà stato annunciato il nome del candidato premier pentastellato al raduno di Rimini.

Un passo importante, i 5 Stelle lo hanno intanto compiuto rendendo possibili i referendum consultivi per l’autonomia della Lombardia e del Veneto. Sono stati i loro voti a essere determinanti nei rispettivi Consigli regionali, dove era richiesta una maggioranza di due terzi per autorizzare la consultazione. Il centrodestra da solo non ce l’avrebbe fatta. In Lombardia i 5 Stelle sono stati ancora più determinanti, perché il quesito che il 22 ottobre sarà sottoposto ai cittadini è il loro. Non una Lombardia a Statuto speciale – come ipotizzava il testo depositato dal centrodestra con il sostegno del governatore leghista Roberto Maroni – quanto invece la richiesta di maggiore autonomia in base al terzo comma dell’articolo 116 della Costituzione repubblicana. Posizione pragmatica che ha evitato, dicono, il probabile rischio di un ricorso del Governo alla Consulta. In più, si voterà per la prima volta con il voto elettronico. “I leghisti la raccontano in un altro modo, la raccontano con la Padania, con l’indipendenza, noi – dice a Linkiesta Stefano Buffagni, consigliere regionale del M5S in Lombardia – vogliamo semplicemente avvicinare le risorse e la gestione delle risorse ai territori. Non dobbiamo dire che tutti sono uguali ma incentivare chi amministra bene ad amministrare meglio. E incentivare chi non amministra bene a migliorare”. Buffagni indica nel referendum per l’indipendenza della Scozia, quello del 2014, un modello. Almeno per quanto riguarda il metodo: malgrado abbiano vinto i No, il coinvolgimento popolare ha costretto comunque il Governo di Londra a concedere maggiori spazi di autonomia a Edimburgo.

Si dovrà parlare meno reddito di cittadinanza e più di impresa, sicurezza e immigrazione. La strategia sarà però chiara solo a fine settembre, dopo che sarà stato annunciato il nome del candidato premier pentastellato al raduno di Rimini

I grillini che inseguono la Lega, si dirà. Ed è questa lettura diffusa che gli esponenti del Movimento 5 Stelle vivono come un affronto inaccettabile. I referendum del 22 ottobre in Lombardia e Veneto sono presto diventati i referendum di Maroni e di Zaia. Semplificazione giornalistica. Ma anche frutto di una storia trentennale, quella appunto leghista, che ha imposto l’autonomia come tema di confronto politico a livello nazionale. Senza contare che per ragioni istituzionali (sono loro a firmare i decreti di indizione) i due governatori hanno avuto gioco facile a intestarsi la battaglia politica dei referendum. La posizione del Movimento 5 Stelle sull’autonomia non è però cosa recente. Già sette anni fa il blog di Grillo ha sostenuto che la Repubblica così com’è impostata è frutto di una forzatura storica: meglio puntare agli Stati Uniti d’Italia. “Da 150 anni – si leggeva sul blog il 9 dicembre 2010, alla vigilia delle celebrazioni per l’unità nazionale – siamo in guerra, anche con noi stessi, per affermare un’identità che non abbiamo… Siamo un luogo che sta cadendo a pezzi, in cui molte Regioni non vedono l’ora di un liberatorio sciogliete le fila e ritornare a essere la Repubblica di Venezia con i suoi mille anni di storia, la Repubblica di Genova, lo Stato delle Due Sicilie…. E’ necessario rivedere il nostro passato e dimenticare il ‘glorioso’ Risorgimento per rimanere insieme in una federazione di Stati, simili a quelli preunitari, ognuno con la sua storia e la sua autonomia”.

Tre anni e mezzo più tardi – dopo il grande successo alle Politiche e proprio mentre in Lombardia e Veneto iniziava l’iter legislativo per i due referendum – il blog è tornato sull’argomento con una nuova proposta. Dividere l’Italia in macroregioni, seguendo proprio la mappa preunitaria. “E’ ormai chiaro – scriveva Grillo l’8 marzo del 2014 – che l’Italia non può essere gestita da Roma da partiti autoreferenziali e inconcludenti. Le Regioni attuali sono solo fumo negli occhi, poltronifici, uso e abuso di soldi pubblici che sfuggono al controllo del cittadino. Una pura rappresentazione senza significato. Per far funzionare l’Italia è necessario decentralizzare poteri e funzioni a livello di macroregioni, recuperando l’identità di Stati millenari, come la Repubblica di Venezia e il Regno delle Due Sicilie”. Parole al limite della provocazione, che però svelano tutt’oggi la genesi di un lungo percorso politico che, nel Nord Italia, è ancora in cerca di un approdo sicuro. Non è un caso che Manuel Brusco, consigliere regionale del M5S in Veneto, abbia usato a suo tempo queste argomentazioni per spiegare la condivisione del percorso referendario. “La visione del Movimento, molte volte descritta nel blog di Grillo – ha detto Brusco – è quella degli Stati Uniti d’Italia, composta da macroregioni con forti autonomie locali e strumenti di democrazia diretta sul modello svizzero”.

Da 150 anni, scriveva il blog di Grillo nel 2010, siamo in guerra, anche con noi stessi, per affermare un’identità che non abbiamo… Siamo un luogo che sta cadendo a pezzi, in cui molte Regioni non vedono l’ora di un liberatorio sciogliete le fila e ritornare a essere Repubblica di Venezia con i suoi mille anni di storia, la Repubblica di Genova, lo Stato delle Due Sicilie

Con i referendum di Lombardia e Veneto i 5 Stelle segnalano dunque due prospettive. La prima è che non vogliono essere solo il partito dei No. La seconda è che il terreno di contesa elettorale con la Lega di Matteo Salvini è sempre più ampio. Non solo l’euroscetticismo e l’immigrazione, c’è anche il tema delle autonomie territoriali. Quello che ai 5 Stelle manca ancora – soprattutto al Nord – è di essere considerati interlocutori pienamente affidabili. Non basta sventolare il tema della legalità, bisogna anche allentare la presa sulla polemica di palazzo e occuparsi di un tessuto sociale ed economico in cerca di strumenti di lavoro utili prima che di chimere. “Imprese, lavoro, sicurezza e immigrazione”, è la lista delle priorità che secondo Buffagni sarà affrontata dopo l’estate, fra la campagna referendaria e quella per le Politiche del 2018. Se l’obiettivo è di prendere il 20% in regioni come la Lombardia, occorre infatti considerare che nel 2013 al 25,5% raccolto a livello nazionale corrispose il 14,3% delle Regionali. E anche a livello amministrativo non è andata benissimo: sopra gli Appennini, i 5 Stelle hanno finora conquistato solo 11 Comuni sui 45 che attualmente guidano in Italia. Tutti piccoli, tranne ovviamente Torino. Segno che occorre radicare una classe dirigente locale capace anche di sopperire alla mancanza di alleanze politiche. E anche che per ora il baricentro del Movimento è sbilanciato verso il Centro-Sud.

@ilbrontolo

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