Un tempo i leghisti urlavano secessione, e la questione settentrionale faceva molto più rumore. Anche sotto il mitico Po. Quest’anno ci proveranno invece due referendum consultivi – in Lombardia e in Veneto – a riportare al centro del dibattito politico il tema del Nord e delle sue aspirazioni autonomiste. Li hanno indetti due presidenti di Regione leghisti, Roberto Maroni e Luca Zaia, con il sostegno di tutto il centrodestra, ma anche il voto decisivo del Movimento 5 Stelle. Da ultimo, persino numerosi amministratori locali del Pd si sono schierati per il Sì all’autonomia. Comunque vada, sarà la prima volta che su questo argomento 16 milioni di cittadini italiani saranno chiamati a pronunciarsi in una consultazione istituzionale, pur non vincolante. Ecco perché è utile sapere di che si tratta.
I referendum sono distinti: uno in Lombardia, uno in Veneto. Si voterà però in concomitanza nella stessa giornata: domenica 22 ottobre. Le urne saranno aperte dalle ore 7 alle 23. Diverse, però, sono le modalità di voto previste. La Lombardia, su impulso dei consiglieri grillini, ha deciso di sperimentare il voto elettronico. Ai seggi, gli elettori troveranno quindi dei tablet. Il Veneto invece continuerà a utilizzare le tradizionali schede di carta. Nella sostanza, l’obiettivo dichiarato dalle due Regioni è lo stesso: ottenere maggiori forme di autonomia dallo Stato. In termini tecnici, si tratta di negoziare un’autonomia differenziata, come previsto già dal terzo comma dell’articolo 116 della Costituzione repubblicana. Nella forma, i due quesiti referendari sono però formulati in maniera diversa. Essenziale, quello del Veneto: “Vuoi che alla Regione del Veneto siano attribuite ulteriori forme e condizioni particolari di autonomia?”. Più circostanziato, il quesito che gli elettori lombardi troveranno sulla loro scheda elettronica: “Volete voi che la Regione Lombardia, in considerazione della sua specialità, nel quadro dell’unità nazionale, intraprenda le iniziative istituzionali necessarie per richiedere allo Stato l’attribuzione di ulteriori forme e condizioni particolari di autonomia, con le relative risorse, ai sensi e per gli effetti di cui all’articolo 116, terzo comma, della Costituzione e con riferimento a ogni materia legislativa per cui tale procedimento sia ammesso in base all’articolo richiamato?”.
Le urne saranno aperte dalle ore 7 alle 23. Diverse, però, sono le modalità di voto previste. La Lombardia, su impulso dei consiglieri grillini, ha deciso di sperimentare il voto elettronico. Ai seggi, gli elettori troveranno quindi dei tablet. Il Veneto invece continuerà a utilizzare le tradizionali schede di carta
Ci sono due aspetti da considerare, per capire quanta efficacia potranno avere (se l’avranno) i due referendum del 22 ottobre. Il primo aspetto è appunto la loro natura consultiva. Il giorno dopo le votazioni, in Lombardia e in Veneto non cambierà nulla. Se vinceranno i Sì, alle due Regioni non saranno attribuite di diritto maggiori forme di autonomia. La trattativa che dovrà seguire i due referendum (se ci sarà) sarebbe già possibile ora, proprio sulla base dell’articolo 116 della Costituzione: è quello che inizialmente il centrosinistra aveva ricordato a Maroni e Zaia, i quali però hanno sostenuto di non essere mai stati ascoltati dai Governi in carica. L’articolo 116 è, dunque, una guida essenziale. La norma stabilisce che la singola Regione interessata, sentiti gli enti locali, può chiedere di avere maggiori materie di competenza fra quelle elencate nel successivo articolo 117 in materia di organizzazione della giustizia di pace, ambiente, istruzione, oltre che fra quelle attualmente concorrenti con lo Stato, come per esempio il coordinamento della finanza pubblica e del sistema tributario. Una volta firmata, l’intesa fra Stato e Regione deve essere ratificata con una legge, che per essere approvata deve ottenere il voto della maggioranza assoluta dei componenti (non bastano i presenti) delle due Camere. Un iter non scontato e lungo.
Ecco perché l’aspetto di maggior peso dei due referendum può essere il secondo. Quello politico. I presidenti di Lombardia e Veneto hanno dichiarato di voler ottenere un sostegno popolare chiaro, perché il Governo non li possa ignorare quando chiederanno formalmente l’apertura di una trattativa che, come detto, sarebbe di diritto possibile avviare già oggi ma che i promotori dei referendum sostengono di non aver mai ottenuto. Se i referendum non saranno vincolanti, è il ragionamento di Maroni e Zaia e dei loro sostenitori, vincolante sarà il messaggio politico che uscirà dalle urne la sera del 22 ottobre. E qualunque Governo sarebbe costretto a prestarvi ascolto. Per fare un esempio più eclatante, anche quello sulla Brexit non è stato un referendum vincolante, ma di fatto lo è diventato. Oltrettutto, in pochi, persino fra i detrattori di questa operazione politica, dubitano che il Sì possa prevalere largamente sia in Lombardia sia (ancor di più) in Veneto. Anche per questo a determinare la solidità del messaggio popolare sarà soprattutto un risultato: non la semplice vittoria del Sì, ma il livello di affluenza. In Veneto serve che voti la metà più uno degli elettori. In Lombardia, invece, non c’è quorum.
La trattativa che dovrà seguire i due referendum (se ci sarà) sarebbe già possibile ora, proprio sulla base dell’articolo 116 della Costituzione: è quello che inizialmente il centrosinistra aveva ricordato a Maroni e Zaia, i quali però hanno sostenuto di non essere mai stati ascoltati dai Governi in carica
Fin qui, il percorso istituzionale che porterà al voto del 22 ottobre, che costerà in tutto qualche decina di milioni di euro. Dietro i referendum ci sono però anche calcoli più strettamente politici. Non potrebbe essere altrimenti. Da una parte, la Lega e il centrodestra che cercano di consolidare i buoni risultati delle Amministrative e di riconfermarsi alla guida delle Regioni del Nord (in Lombardia si voterà entro la primavera, Maroni è alla scadenza del primo mandato), offrendo un messaggio antico ma sempre verde: tenersi i soldi a casa propria. Dall’altra parte, un Pd che cerca di rimettersi in sintonia con un territorio che ha spesso faticato a rappresentare, evitando di lasciare solo alla Lega il tema delle autonomie (contro Maroni si dovrebbe candidare il sindaco di Bergamo, Giorgio Gori, che ha lanciato il comitato per il Sì insieme al sindaco di Milano, Giuseppe Sala, e altri). In mezzo, c’è il Movimento 5 Stelle, che vuole dimostrare di non essere solo il partito dei No, sfruttando un’importante occasione per radicarsi in un Nord da cui non è ancora riuscito a ottenere grande fiducia.
@ilbrontolo